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m (Fonte: "Gli indoeuropei e le origini dell'Europa - Lingua e storia"=)
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====La disuguaglianza sociale e l'organizzazione====  
 
====La disuguaglianza sociale e l'organizzazione====  
Fonte: “Organizzazione aziendale – Mercati, gerarchie e convenzioni”, Giovanni Costa e Paolo Gubitta, McGraw-Hill, 2004. Si tratta di uno dei testi base per la stesura della tesi “Software e Hardware Open Source” citata di seguito in “Sistemi Cooperativi”. I numerosi casi esemplari citati nel testo andrebbero integrati con quelli successivi al 2004.
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=====Fonte: “Organizzazione aziendale – Mercati, gerarchie e convenzioni”=====
Fonte: "Corso di sociologia", Arnaldo Bagnasco, Marzio Barbagli, Alessandro Cavalli, il Mulino
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Giovanni Costa e Paolo Gubitta, McGraw-Hill, 2004. Si tratta di uno dei testi base per la stesura della tesi “Software e Hardware Open Source” citata di seguito in “Sistemi Cooperativi”. I numerosi casi esemplari citati nel testo andrebbero integrati con quelli successivi al 2004. Fondamentale.
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=====Fonte: "Corso di sociologia"=====
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Arnaldo Bagnasco, Marzio Barbagli, Alessandro Cavalli, il Mulino
 
, 2007. Per il passaggio dalle società senza stato a quelle statali, cap.I, par.4.3, "Forti disuguaglianze e grandi imperi", pag.42, si dice: "Come abbiamo visto, sia le società di cacciatori e raccoglitori, sia le società di orticoltori, erano tendenzialmente egualitarie. Non vi era possibilità nè di accumulare grandi ricchezze, nè di trasferirle per eredità ai propri figli; le disuguaglianze che pure si producevano, erano quindi prevalentemente di carattere personale e non davano luogo alla formazione di privilegi permanenti, vale a dire riproducibili di generazione in generazione. Il quadro cambia radicalmente con le società fondate sull'agricoltura. Qui, tra la massa dei contadini da una parte e il massimo sacerdote o re e il gran numero di persone che popolano la sua corte, dall'altra parte, si crea un vero e proprio abisso sociale invalicabile. Sono due mondi tra loro interdipendenti, ma anche profondamente divisi. Governanti e governati, cittadini e contadini, letterati e illetterati: si incominciano a delineare le dimensioni che marcheranno per secoli e secoli la disuguaglianza tra uomini.". Il cap.XI, pag.253, tratta di "Stratificazione e classi sociali". Notevole la tabella 11.5 a pag.276, basata sul coefficiente di Gini, che riporta statistiche recenti verso l'anno 2000 che tracciano le differenze di reddito o di consumo in ogni nazione del mondo. Per citare solo un dato dell'analisi, nel par.8, "La durata della vita", a pag.279 si dice: "Le numerosissime ricerche svolte negli ultimi quarant'anni hanno invece mostrato che la relazione tra classe sociale e durata della vita è ancora oggi molto forte. Si pensi, ad esempio, che nella popolazione maschile adulta gli operai hanno una probabilità di morte quasi doppia rispetto agli impiegati.". Per quanto riguarda la burocrazia viene trattata all'interno delle organizzazioni, nel cap.4, "Gruppi organizzati: associazioni e organizzazioni", par.3, "Il modello della burocrazia", pag.105.
 
, 2007. Per il passaggio dalle società senza stato a quelle statali, cap.I, par.4.3, "Forti disuguaglianze e grandi imperi", pag.42, si dice: "Come abbiamo visto, sia le società di cacciatori e raccoglitori, sia le società di orticoltori, erano tendenzialmente egualitarie. Non vi era possibilità nè di accumulare grandi ricchezze, nè di trasferirle per eredità ai propri figli; le disuguaglianze che pure si producevano, erano quindi prevalentemente di carattere personale e non davano luogo alla formazione di privilegi permanenti, vale a dire riproducibili di generazione in generazione. Il quadro cambia radicalmente con le società fondate sull'agricoltura. Qui, tra la massa dei contadini da una parte e il massimo sacerdote o re e il gran numero di persone che popolano la sua corte, dall'altra parte, si crea un vero e proprio abisso sociale invalicabile. Sono due mondi tra loro interdipendenti, ma anche profondamente divisi. Governanti e governati, cittadini e contadini, letterati e illetterati: si incominciano a delineare le dimensioni che marcheranno per secoli e secoli la disuguaglianza tra uomini.". Il cap.XI, pag.253, tratta di "Stratificazione e classi sociali". Notevole la tabella 11.5 a pag.276, basata sul coefficiente di Gini, che riporta statistiche recenti verso l'anno 2000 che tracciano le differenze di reddito o di consumo in ogni nazione del mondo. Per citare solo un dato dell'analisi, nel par.8, "La durata della vita", a pag.279 si dice: "Le numerosissime ricerche svolte negli ultimi quarant'anni hanno invece mostrato che la relazione tra classe sociale e durata della vita è ancora oggi molto forte. Si pensi, ad esempio, che nella popolazione maschile adulta gli operai hanno una probabilità di morte quasi doppia rispetto agli impiegati.". Per quanto riguarda la burocrazia viene trattata all'interno delle organizzazioni, nel cap.4, "Gruppi organizzati: associazioni e organizzazioni", par.3, "Il modello della burocrazia", pag.105.
 
Fonte: "Dizionario di sociologia", Luciano Gallino, UTET, 2006. Vedere le voci "Stratificazione sociale", pag.673, e "Diseguaglianza sociale", pag.236. Utile per la bibliografia. I temi sono sviluppati  dall'autore con molta considerazione della teoria marxiana dello sfruttamento che vede nelle classi economiche e nella proprietà in quanto relazione economica il motore unico ed assoluto della storia e il punto focale della disuguaglianza. Questa teoria, che quantifica la relazione di dominio e sfruttamento attribuendogli un impossibile valore monetario, non spiega tutta la storia umana (alcuni milioni di anni) precedente l'avvento della proprietà privata e delle conseguenti classi economiche. Soprattutto non spiega la cosa più importante cioè la nascita stessa della proprietà privata e delle classi economiche (a parte il lodevole tentativo di F.Engels in "L'origine della famiglia, della proprietà privata, dello stato"). Considerando solo le classi economiche viene considerata preminente se non esclusiva la dimensione economica (la E di IEMP). Questo può sembrare credibile solo oggi quando lo scambio di mercato sembra l'attività socialmente prevalente. Ma rende incomprensibile la nascita della disuguaglianza, quando i fattori IMP (Ideologici, Militari, Politici) erano prevalenti in quanto organizzati in protostati dediti alla predazione delle economie agricole (egualitarie) dei villaggi, sottoposte a tributo, vassallaggio, corvèe. Non è il moderno capitalismo che può spiegare l'intero passato, ma sono la conoscenza storica delle organizzazioni IEMP e del loro mutevole intrecciarsi che possono spiegare la comparsa e l'affermazione del capitalismo, oggi una macro-organizzazione fondamentale assieme a stati-nazione ed imperi. Soprattutto non viene evidenziata la discontinuità storica della stratificazione sociale come proprietà emergente da un contesto e da fattori unici e irripetibili. Si narra invece la solita favoletta evoluzionista lineare per cui necessariamente si passa dalle società barbariche a quelle statali, dai grandi imperi al feudalesimo, dal feudalesimo al capitalismo, secondo leggi meccanicamente deterministiche. E poi, non si tratta di ragionare in modo riduttivo o gerarchico dando ad alcune "cause" una priorità maggiore che ad altre, ma di vedere il processo storico in un quadro di multifattorialità complessa e di "proprietà emergenti" che modificano il quadro complesso da cui sono nate. Per quanto riguarda la relazione tra disuguaglianza e organizzazione sociale vedi "Burocrazia" a pag.79, "Dominio" a pag.249, "Divisione del lavoro" a pag.243, "Organizzazione" a pag.475.
 
Fonte: "Dizionario di sociologia", Luciano Gallino, UTET, 2006. Vedere le voci "Stratificazione sociale", pag.673, e "Diseguaglianza sociale", pag.236. Utile per la bibliografia. I temi sono sviluppati  dall'autore con molta considerazione della teoria marxiana dello sfruttamento che vede nelle classi economiche e nella proprietà in quanto relazione economica il motore unico ed assoluto della storia e il punto focale della disuguaglianza. Questa teoria, che quantifica la relazione di dominio e sfruttamento attribuendogli un impossibile valore monetario, non spiega tutta la storia umana (alcuni milioni di anni) precedente l'avvento della proprietà privata e delle conseguenti classi economiche. Soprattutto non spiega la cosa più importante cioè la nascita stessa della proprietà privata e delle classi economiche (a parte il lodevole tentativo di F.Engels in "L'origine della famiglia, della proprietà privata, dello stato"). Considerando solo le classi economiche viene considerata preminente se non esclusiva la dimensione economica (la E di IEMP). Questo può sembrare credibile solo oggi quando lo scambio di mercato sembra l'attività socialmente prevalente. Ma rende incomprensibile la nascita della disuguaglianza, quando i fattori IMP (Ideologici, Militari, Politici) erano prevalenti in quanto organizzati in protostati dediti alla predazione delle economie agricole (egualitarie) dei villaggi, sottoposte a tributo, vassallaggio, corvèe. Non è il moderno capitalismo che può spiegare l'intero passato, ma sono la conoscenza storica delle organizzazioni IEMP e del loro mutevole intrecciarsi che possono spiegare la comparsa e l'affermazione del capitalismo, oggi una macro-organizzazione fondamentale assieme a stati-nazione ed imperi. Soprattutto non viene evidenziata la discontinuità storica della stratificazione sociale come proprietà emergente da un contesto e da fattori unici e irripetibili. Si narra invece la solita favoletta evoluzionista lineare per cui necessariamente si passa dalle società barbariche a quelle statali, dai grandi imperi al feudalesimo, dal feudalesimo al capitalismo, secondo leggi meccanicamente deterministiche. E poi, non si tratta di ragionare in modo riduttivo o gerarchico dando ad alcune "cause" una priorità maggiore che ad altre, ma di vedere il processo storico in un quadro di multifattorialità complessa e di "proprietà emergenti" che modificano il quadro complesso da cui sono nate. Per quanto riguarda la relazione tra disuguaglianza e organizzazione sociale vedi "Burocrazia" a pag.79, "Dominio" a pag.249, "Divisione del lavoro" a pag.243, "Organizzazione" a pag.475.

Versione delle 12:51, 23 set 2014

Indice

Approfondimenti

Per ogni tema trattato verranno indicati i testi principali usati come fonte di ispirazione. Questi testi contengono a loro volta amplie bibliografie che si potranno utilizzare per indagare su aspetti più profondi di ogni tema trattato. I testi citati sono in una buona armonia tra di loro loro e in alcuni casi si richiamano direttamente ed esplicitamente. Senza questa armonia le tesi sostenute non avrebbero coerenza. È nelle fonti che vengono trattati i punti critici e i problemi aperti, nonchè linee alternative di ricerca su cui verificare la coerenza complessiva. Il criterio seguito è quello di trovare le teorie più libere da vecchi condizionamenti culturali come l'ingenua credenza in un progresso irreversibile e necessario presente nelle teorie fin qui dominanti. Questo per avere gli strumenti concettuali minimi per affrontare le crisi che oggi ci troviamo davanti. Sia nel testo precedente che negli approfondimenti non c'è alcuna pretesa di stabilire "cosa si deve fare" o "quale sia la verità". Nè leggi naturali nè leggi storiche indicano in modo autoritativo ed univoco cosa si "deve" fare. Ogni singola tesi o fatto citato può essere criticato, rivisto, reinterpretato. Le tesi e le fonti citate servono solo come una tavolozza di possibilità per affrontare in modo organizzato e alla radice le grandi crisi che, queste sì, "dobbiamo" affrontare. Sia l'Antica Europa che le società non industriali erano fatte di uomini reali, con le loro pulsioni e la loro violenza, e non vanno mitizzate come un eden perduto. Ma possono aiutarci a ritrovare una relazione più saggia tra noi stessi e tra noi e la Natura. Come in un albero, ogni tema trattato nelle fonti citate parte dal tronco e da pochi rami principali per arrivare alle foglie e alle radici. Inoltre per qualsiasi argomento o voce, wikipedia è attendibile quanto l'Enciclopedia Britannica. Se ne consiglia l'uso, è uno strumento cooperativo.

C'era una volta l'Antica Europa

Autorevoli esperti sostengono che le tesi di Marija Gimbutas, archeologa all'università americana di Berkeley ma di origine lituana, rappresentino un svolta rivoluzionaria nel modo di considerare la civiltà nella quale oggi viviamo, il nostro passato, il rapporto tra donne e uomini, il rapporto tra l'umanitá e il nostro pianeta. Marjia Gimbutas ha studiato nei Balcani e nell'area del Danubio una civiltà assolutamente originale che presenta caratteristiche opposte a quella che sarà la civiltà indoeuropea, che oggi è "la civiltà". La civiltà dell'Antica Europa sposta migliaia di anni indietro la comparsa di culture sofisticate, complesse, che si espandevano con l'arte e la speculazione intellettuale, pacifiche, amanti della bellezza e dell'armonia, con una cosmogonia centrata sulla figura della "dea". Questa civiltà era basata su un rapporto di genere, tra maschio e femmina, che vedeva la donna al centro della spiritualità e delle pratiche sacrali, e la natura come origine e arrivo del processo vitale secondo il ciclo nascita-morte-rinascita. La presa d'atto documentaria dell'esistenza stessa di questa civiltà smentisce la favoletta storica che vede l' umanità progredire in modo meccanico e lineare da una condizione di barbarie e di estrema semplicità di vita ad una sempre più complessa e raffinata. In realtà culture molto avanzate e complesse sono sparite, a volte misteriosamente, a volte perchè sopraffatte da altre culture più semplici e rozze ma aggressive ed efficienti nella loro aggressività. La complessità nasce dal fatto che queste culture scomparse vivano in realtà negli strati profondi della memoria collettiva, riemergendo a volte appena le condizioni ideologiche o le scoperte storiche lo permettano, come dimostra il libro seguente di R.Eisler.

Fonte: "Il calice e la spada"

Riane Eisler, Frassinelli, 2006. Introduce alle teorie di M.Gimbutas e delinea il passaggio dal culto di forze spirituali femminili a quello di personaggi maschili portatori di una cultura molto diversa. Vedere a pag.349 la mappa delle invasioni indoeuropee disegnata apposta da M.Gimbutas per R.Eisler. Importante l'introduzione di Mauro Ceruti che riassume le conoscenze acquisite sul nostro passato e spiega l'utilità di queste scoperte per costruire il nostro futuro. Fonte:"La civiltà della dea", Marija Gimbutas, Stampa Alternativa, Volume 1, 2012, e Volume 2, 2013, traduzione e cura di Mariagrazia Pelaia. È l'opera fondamentale sulla civiltà denominata "Antica Europa" che si espande da un primo nucleo sud orientale verso Nord e Occidente. La Gimbutas unifica popolazioni e culture nel segno di una Grande Dea creatrice che guida i popoli verso una convivenza pacifica ed egualitaria. Uno scenario supportato da una poderosa mole di dati e dal meticoloso e puntuale esame della religione, della scrittura, della struttura sociale, che si conclude con l’analisi del suo declino attribuito alla comparsa degli indoeuropei Kurgan, bellicosi e patriarcali. Fonte: "Il linguaggio della dea", Marjia Gimbutas, Venexia, 2008. È l'unico esempio di archeoreligione , o archeomitologia, iniziato con lo studio dei simboli e delle rappresentazioni artistiche scoperte nei numerosi siti dell 'Antica Europa che si sono diffuse verso l'intera Europa continentale. Il libro contiene una bibliografia esaustiva, anche delle opere della Gimbutas stessa.

Fonte: "Cucuteni Trypillia - Una grande civiltà dell'Antica Europa"

Vaticano, Palazzo della Cancelleria, Roma, Catalogo della Mostra, 16 settembre - 31 ottobre 2008 . A cura del complesso museale nazionale "Moldova" di Iasi, Romania. La mostra è stata organizzata sotto l'alto patrocinio del ministero della cultura e degli affari religiosi della Romania, del ministero della cultura e del turismo di Ucraina, e con un contributo della repubblica di Moldova. A pag 40 una breve descrizione delle conclusioni degli studiosi sul tipo di civiltà portata alla luce a Cucuteni e Trypillia: "Non vi erano differenze tra le varie tipologie abitative. Dunque non è possibile stabilire quali case appartenessero a persone ricche e quali a persone povere. Le variazioni nelle dimensioni delle abitazioni potrebbero essere attribuite al numero dei membri della famiglia che vi risiedeva, o dipendere dalle tecniche di costruzione delle case. Pertanto, non è possibile parlare di ineguaglianza sociale [come nelle società in cui vigeva la schiavitù], ma solo dell'esistenza di una naturale gerarchia all'interno di ciascuna comunità. Come non si può sostenere che esistesse una categoria di guerrieri, in quanto la maggior parte degli abitanti era dedito all'agricoltura. Gradualmente, iniziarono ad emergere gli artigiani (ceramisti, addetti alla lavorazione dei metalli, intagliatori del legno e della pietra, costruttori), così come dei personaggi con un ruolo specifico nel campo della religione. L'abbondanza di statuine antropomorfe femminili e la parallela scarsità di sculture a soggetto maschile sembra suggerire l'importanza del ruolo delle donne all'interno di queste comunità". Qui si tocca il punto centrale della gerarchia definita "naturale", cioè della naturale differenza tra gli esseri umani contrapposta alla "artificiale" gerarchia costruita sulla cristallizzazione ereditaria di queste differenze. Si ipotizza anche la nascita di nuove attività sociali che potrebbero aver generato dei ruoli diversi. Ma il ruolo principale, se si parla di ruoli o gerarchie, era quello della Madre, divinizzata, e della donna.

Fonte: "Gli indoeuropei e le origini dell'Europa - Lingua e storia"

Francisco Villar, Il Mulino, 1997. Vedere Parte Prima, cap.III, pag.93, "La Vecchia Europa" e Parte Seconda cap.I, pag.131, "Una società guerriera" (quella indoeuropea). Collega le manifestazioni storiche delle varie civiltà europee allo sviluppo del linguaggio e della scrittura. Fonte: "L'America dimenticata - I rapporti tra le civiltà e un errore di Tolomeo", Lucio Russo, Mondadori Education, 2013. Il par.2.3, pag.27-32, "Dai Balcani alla Mongolia", è un ottima introduzione al tema delle relazioni tra le civiltà, ed alla Antica Europa, termine introdotto da Marija Gimbutas in "The Goddesses and Gods of Old Europe: Myth and Cult Images (6500-3500 B.C.)", Thames and Hudson, London, 1974. Dice L.Russo a pag.27: "Nel VI e V millennio a.C. La cultura che è stata detta 'Antica Europa' (Old Europe), localizzata nella penisola balcanica, era la più ricca e complessa dell'Eurasia.". Vedi anche fig.7 pag.29. Sempre in questo libro di L.Russo c'è un'ottima panoramica delle teorie e dei fatti storici e protostorici che mettono in dubbio la tesi di un progresso lineare irreversibile dalla "semplicità" alla "complessità" (complessità di cui manca una definizione credibile). Vedi par.5.1, "Dalla fede nel progresso alla moda dei collassi", pag.71-75. Vi si citano Mario Liverani e Joseph Tainter, citati qui di seguito.

Noi e gli altri

Mentre la sociologia tratta in genere le società moderne, l'antropologia culturale tratta le società che sono sempre state considerate fino a tempi più recenti come "società arretrate". In tutte le definizioni di queste società appare il prefisso "pre" : pre-industriali, pre-statali, pre-istoriche, pre-moderne. Questa impostazione è stata ufficialmente abbandonata dagli antropologi attuali. L'evoluzione biologica, culturale e storica segue numerosi corsi che si intrecciano, ognuno dei quali non si può definire come "migliore" e "a misura di tutti gli altri". Per iniziare è necessario mettere a fuoco gli elementi fondamentali dell'antropologia culturale, dell'antropologia economica, dell'antropologia politica, dell'antropologia della violenza. Sono queste le quattro fondamentali attività IEMP intorno a cui i gruppi umani si organizzano nel perseguire i propri obiettivi, cioè la ricerca consapevole del significato delle proprie esperienze, la sopravvivenza nell'ambiente naturale, la gestione dei rapporti e degli equilibri di potere all'interno dei gruppi e tra i gruppi, l'uso della violenza letale per la difesa, la predazione, il controllo del territorio.

Fonte: "Dizionario di sociologia"

Luciano Gallino, UTET, 2006. Pag.16: "Altro generalizzato". Pag.19: "Altro significativo". Da collegare a "La civiltà delle buone maniere" di N.Elias citato negli Approfondimenti al paragrafo “La stratificazione sociale e l'organizzazione”, perchè vi si indicano i ruoli che cambiando nel corso della storia cambiano la struttura della nostra psicologia. Dice G.H.Mead: "Noi non possiamo essere noi stessi se non siamo anche membri di una società in cui esiste una comunanza di atteggiamenti che regola gli atteggiamenti di tutti. Non possiamo avere dei diritti se non abbiamo degli atteggiamenti comuni. Ciò che abbiamo acquisito come persone autocoscienti ci rende appunto membri della società e costituisce il nostro Sé. I Sé possono esistere solamente in rapporti bene definiti con altri Sé. Non si può tracciare una stabile linea di demarcazione tra i nostri Sé e i Sé degli altri dal momento che i nostri stessi Sé esistono ed entrano in quanto tali nella nostra esperienza solo in quanto esistono anche i Sé degli altri, che entrano in quanto tali nella nostra esperienza. L’individuo possiede un Sé solo in relazione ai Sé degli altri membri del suo gruppo sociale e la struttura del suo Sé esprime e riflette il generale modello di comportamento del suo gruppo sociale, allo stesso modo della struttura del Sé di tutti gli altri individui appartenenti allo stesso gruppo sociale” (Mead, "Mente, sé e società dal punto di vista di uno psicologo comportamentista", 1934, pp. 177 – 178 – 179). L'individuo umano come organismo biologico ha un ruolo estremamente attivo in questa interazione simbolica con i gruppi con cui entra in relazione, famiglia, amici, istituzioni sociali costituite da ruoli codificati. È una costruzione di identità, una costruzione del suo Sè, che parte da un nucleo attivo che Mead chiama "io". È questo nucleo che costruisce gli altri Sè presenti come Altro Generalizzato. Sulla base di questi presupposti Mead fonda anche la sua concezione della società ideale quale comunità democratica integrata, pluralistica e cooperativistica, in cui gli individui sono membri di numerosi gruppi sociali, differenziati funzionalmente all’interno di una stessa totalità sociale. Condizione fondamentale per realizzare una società cooperativa, non conflittuale e sufficientemente differenziata, è che sussista un’adeguata organizzazione degli atteggiamenti comuni. Un importante approfondimento del concetto di "altro generalizzato" è "altro significativo" ("Carattere e struttura sociale", H.Gerth e C. Wright Mills, 1969, Torino) dove viene evidenziato il ruolo speciale nella formazione della psiche individuale di alcune persone, in primis le figure autoritarie.

Fonte: "Corso di sociologia", Arnaldo Bagnasco, Marzio Barbagli, Alessandro Cavalli

il Mulino, 2007. Nel cap. VI, "Identità e socializzazione", pag.139, tratta della funzione dei ruoli sociali nella formazione della psiche individuale. Cita gli studi di G.H.Mead a pag.146 su "l'altro generalizzato.". Fonte: "Antropologia culturale - Un'introduzione", Amalia Signorelli, McGraw-Hill, 2007. Il manuale della allieva del più grande antropologo italiano, Ernesto De Martino, è una buona introduzione ai temi dei rapporti umani e delle varie culture che le società hanno elaborato nel corso del tempo nei vari ambienti geografici. Il cap.2 "La costruzione degli altri da noi" tratta in una sessantina di pagine tutti i temi che tratta anche il paragrafo "C'era una volta l'Antica Europa". È importante la premessa da cui parte la trattazione delle differenze tra esseri umani: "Abbiamo ripetuto più volte che la diversità tra gli esseri umani non è un dato ontologico, quanto un prodotto mutevole delle relazioni tra esseri umani: la diversità è storica, relazionale, dinamica.". Segnaliamo i paragrafi "Raccoglitrici e cacciatori", "I diversi interni" (anche se Mario Liverani in "Uruk, la prima città" sostiene ipotesi "conflittuali” diverse che completano quelle di A.Signorelli), "Gli indoeuropei", "I colonizzati". Il cap.4 " La ricognizione delle diversità: sistemi di sostentamento, strutture e istituzioni sociali, insediamenti" riprende sempre in una sessantina di pagine i temi del cap.2 : da un lato l'economia del dono e della reciprocità dei cacciatori-raccoglitori, dall'altro le forme del potere degli imperi agrari e la stratificazione sociale apparsa con capi, sovrani, re. Pag.219: "La struttura sociale adottata da questi grandi imperi (non solo quelli del Medio Oriente e della Valle del Nilo, ma anche quelli orientali e quelli americani) ha segnato un cambiamento di estrema rilevanza nelle forme di organizzazione delle società: è in queste grandi formazioni economico-sociali che le società assumono una struttura stratificata. In altre parole, nasce qui la stratificazione sociale, vale a dire l'organizzazione della società in strati, di cui la condizione servile è lo strato più basso.". Pag.224, al paragrafo "Ubbidienza, consenso, egemonia": "I sistemi sociopolitici rappresentano casi esemplari di contraddizione, nella misura in cui sono, tutti, basati su rapporti di comando e ubbidienza, di dominio e subalternità, di sopraffazione e sottomissione. Perchè alcuni esseri umani comandano? Perchè altri, in genere molto più numerosi, ubbidiscono? La spiegazione funzionale suggerisce che si ubbidisce perchè si riconosce la validità, la razionalità, la convenienza personale e collettiva dei comportamenti imposti da chi comanda. Questo può essere vero in alcuni casi, ma è del tutto insufficiente per spiegare perchè milioni e milioni e milioni di esseri umani hanno accettato e accettano di vivere nella condizione femminile di sottomissione, nella condizione servile di schiavitù, nella condizione lavorativa di sfruttamento e alienazione, nella condizione militare di destinati a morire, nella condizione di consumatori di un'esistenza mercificata.". La risposta di A.Signorelli sta nella produzione del consenso attraverso l'egemonia culturale esercitata sulle masse dalle élite di potere. Questo avviene sicuramente ma solo perchè le masse percepiscono che non hanno alternative. È questo meccanismo che le costringe ad accettare sul piano culturale l'egemonia dei ceti dominanti. Secondo Michael Mann “la gente non è stupida”. La mancanza di alternative, e la mancanza di alternative culturali, deriva dai meccanismi che hanno originato i primi stati e che poi si sono propagati e cristallizzati diventando enormi sistemi socio-economici come gli imperi con le loro periferie e colonie, dai quali non si può scappare e nei quali non si possono costruire economie o culture diverse da quelle che attualmente occupano tutti gli spazi geografici e culturali disponibili. È questa la teoria dello "ingabbiamento" che spiega l'origine dei primi stati, sostenuta da Robert L. Carneiro e ripresa da Michael Mann. Nel primo caso, nell'ipotesi che queste relazioni di dominio dipendano in primis dall'egemonia culturale delle élite, per liberarsene basterebbe una presa di coscienza culturale di massa, basata su educazione e autoeducazione. Così predicano quasi tutti i partiti e movimenti politici di opposizione, compresi i partiti di orientamento marxista (in forte declino come partiti di opposizione ma saldamente rimasti al potere come partito unico di governo in alcuni stati importanti). Nella seconda ipotesi invece, per uscire dalla gabbia che è ideologica, politica, economica e militare, è necessario ricostruire in modo diverso tutte le condizioni sociali di esistenza IEMP che si sono strettamente intrecciate e sintonizzate tra loro nel corso di secoli e secoli. È questa la mia proposta. Per far questo non è sufficiente “pensare” ma è necessario anche “agire” quotidianamente nel proprio contesto di vita. Questa seconda ipotesi, che vede molto più oneroso il lavoro di costruzione di una società alternativa, è però l'unica realistica. È stata sostenuta nel passato dai socialisti definiti "utopisti" che sarebbe più corretto definire "socialisti sperimentali". Il collasso della ex URSS e dei paesi satelliti conferma la necessità di guardare in modo realistico, storicizzato, sperimentale e partecipativo al lavoro di costruzione collettiva di società umane diverse, libere, differenziate.

Fonte: "Gli argonauti del Pacifico Occidentale. Riti magici e vita quotidiana nella società primitiva"

Bronislaw Malinowski, Bollati Boringhieri, 2004. Pubblicato nel 1922, questo libro è il frutto di una ricerca sul terreno condotta nelle isole Trobriand (Papua-Nuova Guinea), presso società di orticoltori che praticavano anche la pesca e l'allevamento di maiali a fini cerimoniali. Centrale nello studio di Malinowski è il sistema di scambi detto "Anello di Kula" che si svolgeva - e si svolge ancora - tra una trentina di isole, stabilendo rapporti di partenariato tra individui appartenenti a società diverse. Oggetto dello scambio sono collane e braccialetti privi di utilità pratica, ma carichi di valore simbolico. Il richiamo agli Argonauti dell'Antichità classica nel titolo si riferisce ai viaggi compiuti su canoe decorate che stabiliscono i contatti tra donatori e donatari. È uno studio esemplare, al di là del tempo trascorso, grazie al fatto che Malinowski indagava società ancora vitali e indipendenti nella loro indentità culturale.

Fonte: "Un grosso sbaglio. L'idea occidentale di natura umana"

Marshall Sahlins, Elèuthera, 2010. Molto prima di Hobbes e fino ai nostri giorni, fra miti, religioni, filosofia e scienza, la civiltà occidentale è stata ossessionata dallo spettro di una natura umana così avida e litigiosa, cosi "bestialmente" egoista, che deve essere tenuta a bada da un pugno di ferro istituzionale da cui traggono la loro giustificazione gerarchie e diseguaglianze sociali. È il paradigma di "Homo homini lupus". Questa visione presuppone una contrapposizione fondante tra natura e cultura che antropologia e paleontologia invece contraddicono. La natura dell'Homo sapiens è la sua cultura, anzi le sue culture. E la stessa idea che siamo schiavi delle nostre inclinazioni animali non è altro che una creazione socio-storica, cioè culturale. Un'idea non proprio felice, visti i risultati. Thomas Hobbes, autore del "Leviathan", una teoria della nascita dello stato come di una costruzione volontaria collettiva e spontanea, utile al mantenimento della pace interna ed esterna, è stato definitivamente smentito dalla evidenza storica di millenni indagati con precisione e pazienza nei dettagli più intimi. È lo stato e la costellazione di stati che chiamiamo impero che hanno portato la violenza all'interno ed all'esterno. Non ha portato la pacificazione, altrimenti oggi vivremmo in condizione di sicurezza e di pace. Certo questa spirale, una volta innescata, è stato impossibile fermarla. Niccolò Machiavelli invece non aveva molto interesse alle costruzioni collettive spontanee quanto piuttosto all'azione di un singolo principe. Machiavelli consigliava l'uso della violenza letale e dell'inganno spacciato per astuzia, il comportamento del leone e della volpe, al fine lecito (come i mezzi per raggiungerlo) della costruzione di un principato, di uno stato, di un impero. Sia Hobbes che Machiavelli vedevano come totalità unica i reticoli del potere militare e politico. Non vedevano il reticolo ideologico della religione, della morale, dell'arte. Vedevano poco anche il reticolo economico proprio mentre Venezia, Genova, Firenze e Milano inventavano il primo capitalismo. Machiavelli non arriva a capire, prendendonsela con la "fortuna", l'importanza che aveva avuto per Valentino Borgia il potere ideologico-religioso del padre che era il papa Alessandro VI, morto il quale il povero principe-cardinale faceva in breve tempo una fine ingloriosa. Quanto a Hobbes, costui azzera la natura culturale dell'uomo riducendolo ad una massa di istinti animali, secondo una concezione puramente negativa e spregiativa (gerarchica) del mondo animale. Ignorava che l'essere umano da due milioni di anni aveva sviluppato, senza re e senza stati, un formidabile apparato simbolico e "culturale" che erano diventati ormai la sua "natura", come la moderna antropologia evoluzionista insegna. La soluzione di Hobbes è la burocrazia coercitiva dello stato. Il principe di Machiavelli si ispira invece al prototipo antropologico del "leader carismatico" teorizzato dal grande sociologo Max Weber, un conservatore liberale che aveva teorizzato anche sulla burocrazia. La sua teoria del "Fuhrerprinzip" purtroppo negli anni 1920 trovava nella sua Germania una sgradita inaspettata incarnazione in Adolf Hitler. Un principe, un condottiero capace di costruire un "reich" della durata di soli ventanni. Hobbes era nato nel 1588 quando l'impero spagnolo e la sua "invincibile armata" minacciavano di invadere l'Inghilterra. Machiavelli aveva vissuto il nascente imperialismo francese di Carlo VIII minacciare con le “horrende” guerre italiche l'autonomia degli stati regionali italiani. Entrambi osannati per il loro "realismo" e la loro "modernità", la loro profonda conoscenza della natura umana, non avevano capito il processo monopolistico della costruzione degli imperi, costituito da guerre, conquiste, distruzioni, omologazioni e standardizzazioni religiose, economiche, militari e politiche che avrebbero cambiato la psiche umana. In sostanza Hobbes e Machiavelli non avevano capito che la logica del potere distributivo ("quello che io guadagno è quello che tu perdi", oppure più crudamente "mors tua vita mea") porta ad una concorrenza distruttiva dove il più forte costruirà culturalmente uno più forte di lui che lo destituirá. Questo in genere avviene negli interstizi IEMP o nelle marche di frontiera. I vincitori governano su un cumulo di macerie in attesa del loro declino. Così ci si è trovati dopo la fine della II guerra mondiale, conclusa nel 1945 dC con Hiroshima e Nagasaki, epilogo attuale di questa storia di imperi sempre più estesi. La II guerra mondiale è stata una enorme distruzione a cui è seguita nel dopoguerra, sì certo, una temporanea ricostruzione basata sul petrolio ma durata solo trent'anni di relativo benessere caratterizzati dal terrore di una minaccia nucleare. Il vincitore URSS è collassato poco dopo. L'altro vincitore, gli USA, tentano in ogni modo, lecito o illecito, morale o immorale, pacifico o letale, democratico e non, di contrastare il loro lento declino.

Fonte: “Economia dell'età della pietra - Scarsità e abbondanza nelle società primitive”

Marshall Sahlins, Bompiani, 1980. Tratta delle culture dei cacciatori raccoglitori, della loro “economia” intesa come organizzazione sociale della sopravvivenza, del confronto di questa economia con l'economia moderna. Secondo Sahlins le società dei cacciatori raccoglitori si possono considerare una vera società dell'abbondanza (affluent society), poiché realizzavano con il minimo sforzo la massima efficienza nel procurarsi il necessario per vivere. Si calcola che questo fosse loro possibile “lavorando” in media due ore al giorno nel corso dell'anno. I cacciatori raccoglitori consumano pro capite meno energia di qualsiasi altro gruppo umano conosciuto. Quanto al loro stile di vita, era uno stile di vita “non materialistico” che dava priorità alle relazioni sociali, alle speculazioni culturali ed estetiche sulla natura, al semplice piacere di vivere.

Fonte: "L'anarchia selvaggia"

Pierre Clastres, elèuthera, 2013. Pierre Clastres era un etnologo e antropologo allievo di Claude Levi-Strauss di cui ricordiamo in particolare "Il pensiero selvaggio" nel quale CLS sostiene la pari dignità cognitiva di questa forma di esperienza rispetto al pensiero scientifico occidentale. Il volumetto racchiude quattro saggi di cui segnaliamo in particolare "Archeologia della violenza: la guerra nelle società primitive", e "Età della pietra, età dell'abbondanza" che è la prefazione francese all'opera di M.Sahlins "Economia dell'età della pietra". M.Sahlins, Pierre Clastres e Claude Levi-Strauss hanno lavorato insieme a Parigi per un certo periodo condividendo studi e analisi pur avendo posizioni distinte. Il volumetto è utile perchè contiene tutta la bibliografia di Pierre Clastres, il cui lavoro è magistrale per semplicità, chiarezza, creatività, capacità di vedere i problemi rovesciando prospettive date-per-scontate. Pierre Clastres denuncia la pretesa di spiegare le società "selvagge" dal punto di vista della cultura occidentale moderna, come se si trattasse di società che non hanno "ancora" raggiunto la "perfezione" occidentale "moderna" secondo un modello meccanicistico e deterministico di evoluzione storica unilineare. Si tratta invece di società diverse e dinamiche che seguivano dei percorsi evolutivi diversi finchè ciò gli è stato permesso. Questa pretesa è espressa in modo uniforme sia dagli economisti classici sia dai teorici marxisti, accomunati dalla stessa fede in un processo storico basato esclusivamente sulle "forze produttive" che vede il capitalismo o il socialismo (o entrambi come in Cina) rappresentare il compimento necessario della storia umana. La critica di Pierre Clastres è particolarmente efficace verso l'antropologia marxista definita una "etnologia della miseria" che si risolve in una "miseria della etnologia". Pierre Clastres, morto tragicamente in giovane età, quando non insegnava a Parigi viveva come etnologo assieme agli indiani amazzonici Guayakí, Guaraní, Chulupi.

Fonte: "La società contro lo stato - Ricerche di antropologia politica"

Pierre Clastres, ombre corte/culture, 2003, Verona. Pag.149: "Non c'è dunque re nella tribù, ma un capo che non è un capo di Stato. Che cosa significa? Semplicemente che il capo non dispone di alcuna autorità, di alcun potere coercitivo, di alcun mezzo per impartire un ordine. Il capo non comanda, la gente della tribù non ha alcun dovere di obbedienza. Lo spazio della chieftanship non è il luogo del potere, e la figura assai mal nominata del "capo" selvaggio non prefigura sotto nessun aspetto quella di un futuro despota. Non è certo dalla futura chieftanship che si può dedurre l'apparato statale in generale." Le società "selvagge" erano il luogo di una intensa attività intellettuale e di una raffinata filosofia politica. Ispirate agli stessi principi di difesa dei diritti di eguaglianza, libertà e autonomia individuale scoperti in occidente dopo i viaggi nelle Americhe, e proclamati nel corso delle rivoluzioni inglese, americana, francese.

La differenza di genere

L'esistenza storica di una condizione femminile completamente diversa si prova in vari modi. Con l'evidenza archeologica dell'Antica Europa, con l'eguaglianza di genere nelle comunità di cacciatori e raccoglitori sopravvissute, con l'esistenza attuale di numerose società definite "matriarcali" che si possono anche denominare "matrifocali". Uno degli esempi più importanti di società matrifocali è quello dei Moso nello Yunnan in Cina, trattato di seguito. Le società matrifocali, tra cui quella dei Moso, non sono impostate su relazioni del tipo dominatore/dominato, ma su relazioni di cooperazione coordinate da una figura materna attraverso la pratica del consenso. Risolta la questione dell'esistenza storica del matriarcato, è tuttora da far accettare come un problema centrale di ricerca, da indagare in profondità, l'origine del patriarcato e poi del nesso tra patriarcato, disuguaglianza sociale (trasmissione ereditaria di ricchezza e status), guerra e origine delle prime città-stato. Max Weber tratta del rapporto tra patriarcato e stati tradizionali ("patrimoniali") in "Economia e Società", nel capitolo "Sociologia del potere", alla sezione "Potere patriarcale e potere patrimoniale", che inizia così:"La struttura patriarcale del potere è di gran lunga il più importante tra i principi strutturali pre-burocratici". Tra gli esempi della continuità tra questa struttura patriarcale e gli "stati patrimoniali" cita l'antico Egitto dei Faraoni come un immenso "oikos" patriarcale. Alex Bentley, della università di Bristol, andando indietro nel tempo, ha pubblicato una ricerca sulla americana PNAS del 28 maggio 2012, in cui associa la prima manifestazione di diseguaglianza ereditaria rinvenuta nel modo di sepoltura, alla patrilocalità, cioè "un sistema di parentela centrato sul maschio nel quale le femmine devono spostarsi per andare ad abitare nelle residenza dei maschi che sposano. Questa nuova evidenza ricavata dall'esame degli scheletri è consistente con altre evidenze archeologiche, genetiche, antropologiche ed anche linguistiche della patrilocalità nell'Europa neolitica" ("This is a strong indication of patrilocality, a male-centered kinship system where females move to reside in the location of the males when they marry. This new evidence from the skeletons is consistent with other archaelogical, genetic, anthropological and even linguistic evidence for patrilocality in Neolythic Europe"). Questo nella Europa centrale del 5000 AC, 7000 anni fa, nel primo Neolitico, su territori le cui mappe sarebbe utile confrontare con quelle di Marija Gimbutas.

Fonte: "Corso di sociologia", Arnaldo Bagnasco, Marzio Barbagli, Alessandro Cavalli, il Mulino, 2007

La citazione nel testo del paragrafo omonimo si trova nel cap.13, pag.312. Tutto il cap.13, "Le differenze di genere", pag.303-327, è fondamentale per inquadrare la questione e capire l'impostazione prevalente con le sue lacune, limiti, omissioni, contraddizioni. Questo capitolo va integrato con il cap.1, "Le società premoderne", pag.31-51., e con il cap.16, "Famiglia e matrimonio", pag.375-400, dove si accenna alla discendenza matrilineare (che comporta in genere la matrilocalità) contrapposta a quella patrilineare. La Tab.13.2 a pag.310 mostra la divisione del lavoro fra uomini e donne in 185 società studiate dagli antropologi. A pag.311 il manuale è categorico: "...non è mai esistita una società nella quale il potere politico fosse nelle mani delle donne." Poco più avanti: "Da allora l'idea che in qualche società vi fosse il matriarcato è stata ripresa più volte da vari studiosi. Ma oggi possiamo dire che essa non ha alcun fondamento." Non spiegano perchè. Tutto il par.4.1, "Lo status delle donne", pag.311, è una analisi contradditoria che segue il solito paradigma evoluzionistico deterministico unilineare del passaggio dalle società di caccia/raccolta, caratterizzate dalla mancanza di classi e "da una certa uguaglianza nelle relazioni tra uomini e donne", a quelle orticole, cioè senza stato, a quelle agricole basate su una organizzazione statale. Tutte le citazioni seguenti sono tratte da questo paragrafo. La fondamentale presenza dello stato nelle società definite "agricole" caratterizzate dall'irrigazione con canali, dall'uso di aratri, da estensioni di terreno coltivato di proprietà templare o palatina, non viene associata alla brusca caduta dello status delle donne in questo tipo di società, caduta così definita: "...il regalo che le società agricole fecero alle donne fu di condannarle a svolgere il lavoro domestico, a partorire ed allattare figli, a servire padri, mariti e fratelli." (servire ed essere schiavi spesso sono sinonimi). Nella loro "spiegazione" di questa drammatica svolta nella condizione della donna è centrale il ruolo da essi attribuito alla divisione del lavoro tra uomini e donne, senza tener minimamente conto delle contemporanee condizioni di dominio che valevano sia per gli uomini ridotti a servi o schiavi dalle nuove strutture statali sia delle donne soggiogate dentro la famiglia e fuori. "Con lo sviluppo della agricoltura intensiva, la divisione sessuale del lavoro si accentuò. Agli uomini furono riservati i compiti di maggior rilievo: preparare i terreni, arare, scavare i canali per l'irrigazione.". Cosa si intende dire con "Agli uomini furono riservati i compiti di maggior rilievo" ? Per questi "compiti" M.Liverani in "Uruk la prima città" parla di un guardiano con frusta ogni dieci lavoranti. Non fa parte della sociologia indagare con precisione sulla organizzazione del lavoro? Se così viene trattata dai nostri autori la servitù maschile, come verrà trattata la doppia servitù femminile? Non si dice che fossero schiavi, tributari di corvèe, servi della gleba a svolgere questi "compiti di maggior rilievo". Non si dice che questa "divisione sessuale del lavoro" era una divisione del lavoro imposta da élite religiose e politiche totalmente maschili insediate nei templi e nei palazzi reali da poco costituiti. Non si dice che i "compiti di maggior rilievo" erano quelli delle élite cittadine, della casta sacerdotale, degli scribi, dei politici-guerrieri, tutti compiti dai quali le donne erano totalmente escluse. Questa divisione del lavoro vedeva la donna doppiamente svantaggiata perchè nelle società patriarcali le donne dovevano "servire padri, mariti, fratelli" che a loro volta erano servi o sottomessi delle agenzie templari e palatine. I tre fattori a cui gli autori riconducono lo status della donna nel tempo e nello spazio sono: "il sistema di parentela, la frequenza con cui una società è in guerra, il contributo economico fornito dalle donne". Si tratta della posizione della donna nelle reti dei poteri sociali della Ideologia, della Economia, del Militare, del Politico. Ma le reti IEMP sono strettamente intrecciate e promiscue, non vanno considerate come dei semplici "fattori" analitici astratti. Gli stessi autori le avevano involontariamente unificate parlando poco prima degli Irochesi, un popolo classificato nel tipo "cacciatori-raccoglitori": "In questa popolazione gli uomini si assentavano spesso, e per lunghi periodi di tempo, dal villaggio, per andare a combattere contro altre tribù. Ma anche quando erano a casa non esercitavano alcun controllo sul modo in cui le donne lavoravano e vivevano. Prendere decisioni politiche spettava al consiglio degli anziani, formato esclusivamente da uomini. Ma le donne anziane esercitavano su di loro una notevole influenza. In primo luogo perchè erano loro ad eleggere i membri di questo consiglio. In secondo luogo perchè esse avevano il controllo sul cibo e su molti manufatti (mocassini, pelli, pellicce) e si potevano rifiutare di darli agli uomini se non erano d'accordo con le decisioni che questi prendevano". Per inciso questo conferma la vivacità e la qualità della vita politica tra i "selvaggi" come sostenuto da Pierre Clastres in "La società contro lo stato", citato sopra. Sempre nel cap.13, "Le differenze di genere", al paragrafo 2, "Essenzialismo e costruttivismo", e nel paragrafo 3, "Genere e cultura", si dà invece per scontata la dicotomia tra l'impostazione che spiega le differenze (di status) tra uomo e donna in termini di costruzione sociale (costruttivismo) e quella che le spiega in termini di biologia (essenzialismo). È invece la dicotomia tra mente e corpo (di cui parleremo più avanti a proposito di Angela Giuffrida) che genera guerra, dominio sulle donne, stratificazione sociale, distruzione dell'ambiente naturale. Nel paragrofo 4 dello stesso capitolo, pag.309, "La divisione sessuale del lavoro nelle società preindustriali e industriali", questo manuale argomenta le sue tesi utilizzando espressioni quali "per lo più" per sfumare e alterare il significato delle sue affermazioni: "Occupare cariche e prendere decisioni politiche e combattere in guerra sono due di queste, entrambe per lo più svolte dagli uomini" (grassetto non presente nel testo originale). Come si fa a sostenere che "combattere in guerra" non sia una attività esclusivamente maschile senza sollevare la mitica leggenda delle gloriose amazzoni? Leggenda che gli autori del nostro manuale di sociologia non possono sostenere avendo escluso in precedenza l'ipotesi della esistenza storica di qualsiasi società matriarcale come quella delle amazzoni. "Allattare i bambini e curare i giovani sono altre due (attività) e queste cadono sulle spalle delle donne." Le attività della tabella 13.2 a pag 310, e quelle elencate sopra riguardano l'economia (la sopravvivenza) e la sfera politico militare. Non si fa alcun accenno alla sfera culturale, del sacro, dell'arte dalla quale la donna è esclusa e che contribuisce in massimo grado allo status di chi la esercita. Come è possibile ignorare nelle varie società umane il ruolo della cultura e la posizione diversa che vi assumono tuttora nel mondo uomini e donne? Per spiegare la divisione sessuale del lavoro si adottano tre ipotesi: la maggiore forza fisica degli uomini, la compatibilità con allattamento e cura dei piccoli (ma non possono essere curati anche dai maschi?), la spendibilità dei maschi nei compiti più rischiosi perchè meno importanti delle femmine per la riproduzione. Inoltre a proposito della divisione del lavoro, anzichè intenderla nella sua accezione negativa di separazione potrebbe essere interpretata come forma positiva di cooperazione, soprattutto nel caso della divisione sessuale del lavoro. Si propone qui di riconsiderare la divisione del lavoro in termini diversi nel caso della cooperazione mutualistica spontanea (unione dei compiti) e nel caso della cooperazione forzata (divisione dei compiti). Inoltre, sempre a proposito di "sfumature di linguaggio" usate per introdurre in modo inavvertibile significati non dichiarati esplicitamente, si consideri il titolo del paragrafo 4, "La divisione sessuale del lavoro nelle società preindustriali e industriali". Definendo "pre-industriali" le società "non-industriali" si dà per scontato, senza necessità di provarlo scientificamente, che esista una progressione necessaria dalle une alle altre. Le società industriali essendo le ultime avrebbero secondo questa logica un primato "ontologico" sulle prime. È la vecchia favoletta mai dimostrata delle forze produttive che si sviluppano per conto proprio non si sa come generando la divisione del lavoro. È una forma di determinismo tecnologico applicato alle civiltà non industriali. Secondo tutti gli antropologi culturali, Clifford Geertz in primis, invece, tutte le società studiate e note sono "contemporanee", dai Papuasi ai Vichinghi, dai Navajo ai modermi giapponesi, dai cinesi capitalisto-comunisti agli antichi eschimesi. Tutte, non vanno messe su una scala temporale gerarchica ma vanno considerate insieme su un piano di completa parità secondo un relativismo totale. Nessuno oggi osa stabilire quali siano le "leggi deterministiche" dei processi culturali (uso il termine "processi" anzichè il termine biologico di "evoluzione"). Processi che caratterizzano la specie umana da almeno due milioni di anni. Anzi si stanno avanzando ipotesi di revisione della sintesi darwiniana della teoria dell'evoluzione biologica che affiancano alla selezione naturale la cooperazione mutualistica. Teoria dell'evoluzione che come si sa è basata sulla casualità della variazione genetica.

Fonte: "Benvenuti nel paese delle donne", Francesca Rosati Freeman

XL edizioni, 2010. Tratta del mondo dei Moso, una società "matriarcale", un sistema sociale reale, vivo, contemporaneo nel quale sono rovesciati i valori su cui sono costruite tutte le nostre società. Un sistema che non produce i conflitti e le violenze tra i sessi che il senso comune generalmente attribuisce alla "natura umana". Utile consultare il sito di Francesca Rosati Freeman, "www.francescarosatifreeman.com", alla voce "Scritti matriarcali", dove vengono riportati gli studi di Heide Göettner-Abendroth, i libri di Marija Gimbutas, le ipotesi sull'origine del patriarcato.

Fonte: "Matriarchè - il principio materno per una società egualitaria e solidale"

autori vari, a cura di Francesca Colombini e Monica Di Bernardo, Exòrma, 2013. Raccoglie i contributi di autori come Vandana Shiva, Riane Eisler, Francesca Rosati Freeman, Marco Deriu (scuola della decrescita), ed altri, per estendere le pratiche matrilineari e matrifocali basate sul consenso, la cura, la non violenza, il rispetto profondo della Natura, il principio della Madre, da cui il titolo "Matri-Archè".

Fonte: "La razionalità femminile unico antidoto alla guerra"

Angela Giuffrida, Bonaccorso, Verona, 2011. Angela Giuffridda va in profondità nell'analisi culturale. La guerra guerreggiata è lo spunto per esaminare i meccanismi mentali che la producono, vere e proprie macchine distruttive. L'approccio di A.Giuffrida è la centralità del "vivente": "Nonostante di unità mente-corpo si parli ormai da molto tempo, i due termini vengono ancora percepiti separatamente e permane un forte sbilanciamento a favore del primo. Continuando a negare al corpo vivente la sua centralità in quanto unico portatore di pensiero, si rimane su un terreno astratto che impedisce l'elaborazione di una filosofia della vita adatta ad una specie di viventi quali noi siamo." (pag.385). A.Giuffrida introduce nel cap.1 la teoria del "Corpo che pensa", la sua opera precedente. A.Giuffrida illustra gli elementi necessari per impostare ed avviare a soluzione la dicotomia mente-corpo, natura-cultura, uomo-donna, umanità-ambiente, utilizzando non solo la filosofia, la storia e la letteratura ma anche la biologia e le neuroscienze.

La disuguaglianza sociale e l'organizzazione

Fonte: “Organizzazione aziendale – Mercati, gerarchie e convenzioni”

Giovanni Costa e Paolo Gubitta, McGraw-Hill, 2004. Si tratta di uno dei testi base per la stesura della tesi “Software e Hardware Open Source” citata di seguito in “Sistemi Cooperativi”. I numerosi casi esemplari citati nel testo andrebbero integrati con quelli successivi al 2004. Fondamentale.

Fonte: "Corso di sociologia"

Arnaldo Bagnasco, Marzio Barbagli, Alessandro Cavalli, il Mulino , 2007. Per il passaggio dalle società senza stato a quelle statali, cap.I, par.4.3, "Forti disuguaglianze e grandi imperi", pag.42, si dice: "Come abbiamo visto, sia le società di cacciatori e raccoglitori, sia le società di orticoltori, erano tendenzialmente egualitarie. Non vi era possibilità nè di accumulare grandi ricchezze, nè di trasferirle per eredità ai propri figli; le disuguaglianze che pure si producevano, erano quindi prevalentemente di carattere personale e non davano luogo alla formazione di privilegi permanenti, vale a dire riproducibili di generazione in generazione. Il quadro cambia radicalmente con le società fondate sull'agricoltura. Qui, tra la massa dei contadini da una parte e il massimo sacerdote o re e il gran numero di persone che popolano la sua corte, dall'altra parte, si crea un vero e proprio abisso sociale invalicabile. Sono due mondi tra loro interdipendenti, ma anche profondamente divisi. Governanti e governati, cittadini e contadini, letterati e illetterati: si incominciano a delineare le dimensioni che marcheranno per secoli e secoli la disuguaglianza tra uomini.". Il cap.XI, pag.253, tratta di "Stratificazione e classi sociali". Notevole la tabella 11.5 a pag.276, basata sul coefficiente di Gini, che riporta statistiche recenti verso l'anno 2000 che tracciano le differenze di reddito o di consumo in ogni nazione del mondo. Per citare solo un dato dell'analisi, nel par.8, "La durata della vita", a pag.279 si dice: "Le numerosissime ricerche svolte negli ultimi quarant'anni hanno invece mostrato che la relazione tra classe sociale e durata della vita è ancora oggi molto forte. Si pensi, ad esempio, che nella popolazione maschile adulta gli operai hanno una probabilità di morte quasi doppia rispetto agli impiegati.". Per quanto riguarda la burocrazia viene trattata all'interno delle organizzazioni, nel cap.4, "Gruppi organizzati: associazioni e organizzazioni", par.3, "Il modello della burocrazia", pag.105. Fonte: "Dizionario di sociologia", Luciano Gallino, UTET, 2006. Vedere le voci "Stratificazione sociale", pag.673, e "Diseguaglianza sociale", pag.236. Utile per la bibliografia. I temi sono sviluppati dall'autore con molta considerazione della teoria marxiana dello sfruttamento che vede nelle classi economiche e nella proprietà in quanto relazione economica il motore unico ed assoluto della storia e il punto focale della disuguaglianza. Questa teoria, che quantifica la relazione di dominio e sfruttamento attribuendogli un impossibile valore monetario, non spiega tutta la storia umana (alcuni milioni di anni) precedente l'avvento della proprietà privata e delle conseguenti classi economiche. Soprattutto non spiega la cosa più importante cioè la nascita stessa della proprietà privata e delle classi economiche (a parte il lodevole tentativo di F.Engels in "L'origine della famiglia, della proprietà privata, dello stato"). Considerando solo le classi economiche viene considerata preminente se non esclusiva la dimensione economica (la E di IEMP). Questo può sembrare credibile solo oggi quando lo scambio di mercato sembra l'attività socialmente prevalente. Ma rende incomprensibile la nascita della disuguaglianza, quando i fattori IMP (Ideologici, Militari, Politici) erano prevalenti in quanto organizzati in protostati dediti alla predazione delle economie agricole (egualitarie) dei villaggi, sottoposte a tributo, vassallaggio, corvèe. Non è il moderno capitalismo che può spiegare l'intero passato, ma sono la conoscenza storica delle organizzazioni IEMP e del loro mutevole intrecciarsi che possono spiegare la comparsa e l'affermazione del capitalismo, oggi una macro-organizzazione fondamentale assieme a stati-nazione ed imperi. Soprattutto non viene evidenziata la discontinuità storica della stratificazione sociale come proprietà emergente da un contesto e da fattori unici e irripetibili. Si narra invece la solita favoletta evoluzionista lineare per cui necessariamente si passa dalle società barbariche a quelle statali, dai grandi imperi al feudalesimo, dal feudalesimo al capitalismo, secondo leggi meccanicamente deterministiche. E poi, non si tratta di ragionare in modo riduttivo o gerarchico dando ad alcune "cause" una priorità maggiore che ad altre, ma di vedere il processo storico in un quadro di multifattorialità complessa e di "proprietà emergenti" che modificano il quadro complesso da cui sono nate. Per quanto riguarda la relazione tra disuguaglianza e organizzazione sociale vedi "Burocrazia" a pag.79, "Dominio" a pag.249, "Divisione del lavoro" a pag.243, "Organizzazione" a pag.475. Fonte: “La civiltà delle buone maniere – La trasformazione dei costumi nel mondo aristocratico occidentale”, Norbert Elias, il Mulino, 1998. Viene presa in considerazione la nascita della psicologia moderna occidentale in relazione al divenire storico dalle società guerriero-aristocratiche, basate sullo sfruttamento della terra e dei contadini, alle società “industriali” basate sul movimento del denaro e sulla tecnologia. Nelle prime dominano le corti, dapprima cavalleresche, che forgiano il carattere della nobiltà attraverso il passaggio fondamentale dalla etero-costrizione alla auto-costrizione (self-control). Nelle seconde avverrà una complessa assimilazione della “educazione” cortigiana, passando per il rinascimento e l'umanesimo. N.Elias parla, nei termini freudiani che aveva a disposizione, della nascita del Super-Io. Secondo la psicologia freudiana il Super-Io agisce come censore a livello inconscio. Esiste dunque una psicologia profondamente diversa a seconda dell'epoca storica e dello strato sociale a cui si appartiene. Questa psicologia riguarda lo stare a tavola, il rapporto con il proprio corpo, i bisogni naturali, la relazione tra i sessi, l'aggressività vissuta come piacere (dal guerriero). Questa educazione degli strati aristocratici nella corte, centro focale deputato alla costruzione della “civilizzazione”, prima nei castelli feudali e poi nelle reggie che porteranno alla formazione dei moderni stati-nazione (ad esempio a Versailles nella versione assolutistica classica francese), si diffonderà lentamente anche agli strati inferiori, in primis alla borghesia e poi anche negli strati dipendenti condizionati dalla borghesia. Il giovane Werther di Goethe, un borghese, esprime con i suoi dolori la sofferta assimilazione-esclusione di questi strati sociali emergenti. I gruppi umani quali gli artigiani, i mercanti, la prima borghesia, organizzati per sopravvivere attraverso lo scambio di mercato, sono presenti da secoli ed entrano nelle corti assolutiste di Spagna, Francia, Inghilterra e minori, come consulenti per le vitali questioni delle finanze dello stato e per garantire con le tasse e i tributi le entrate necessarie per le guerre e i consumi vistosi di queste élite. Il giovane Werther ha sicuramente da piangere sulla sua identità sociale e psichica, sul suo rapporto IO-NOI. Ma ha sicuramente da mangiare e da consumare in modo vistoso. Eppure è infelice. Il monarca gestisce l'equilibrio tra gli esponenti maggiori di nobiltà, clero e borghesia che entrano alla sua corte e che gli forniscono tutta la conoscenza su cui egli basa le scelte del nuovo tipo di stato. La aristocrazia fondiaria prima e la borghesia mercantilista poi, le due élite dominanti fuse in miscelazioni diverse in Inghilterra, Francia e Germania, esprimono la “civiltà” come proiezione di questa complicata cultura cortigiana. N.Elias così delinea questa "civiltà": “La società occidentale combatte le sue guerre coloniali ed espansionistiche nel nome della croce, come più tardi farà nel nome della civiltà. Nonostante l'avvenuta secolarizzazione, la parola “civiltà” conserva ancora un'eco del cristianesimo latino e della concezione cavalleresco-feudale della crociata.”, capitolo terzo, pag. 173. Quanto alle civiltà in generale, l'opinione di N.Elias è riassunta nella citazione a pag.147, capitolo primo, Nota 1: “Oswald Spengler ne il “Tramonto dell'Occidente” afferma che ogni cultura ha peculiari possibilità di espressione che compaiono, maturano, declinano e non ricompaiono più. Queste culture, entità viventi del più elevato grado, crescono con la nobile mancanza di finalità dei fiori nei campi. E, come i fiori nei campi, appartengono alla natura vivente di Goethe, non alla morta natura di Newton." Fonte Web: "www.equalitytrust.org.uk" Tratta in modo approfondito le disuguaglianze nel mondo e in UK. Le ricerche dimostrano la continua crescita dei livelli di disuguaglianza. Qui si trovano notizie su "The Spirit Level" degli epidemiologi Kate Pickett e Richard Wilkinson che sostengono che "la società è piu ineguale che mai".

La nascita dello Stato

Questo è probabilmente il punto centrale della storia umana, quello che ha determinato le attuali condizioni di vita degli esseri umani, la nascita stessa di quello che siamo abituati a chiamare "storia": le città murate distinte dal territorio circostante, una burocrazia sofisticata e spersonalizzata che chiamiamo "stato", la scrittura con la funzione prevalente di strumento contabile. Fonte: "Uruk la prima città", Mario Liverani, Laterza, 1998. Questo testo è fondamentale per la sua chiarezza, semplicità, completezza documentaria e bibliografica. In pochissime pagine viene descritta la nascita della moderna "civiltà" e una ragionata discussione delle varie teorie proposte. Osservare i grafici 1a e 1b a pag.27 che descrivono il passaggio dal "chiefdom" (o chefferie o chieftainship) al protostato. È un passaggio unico e senza possibilità di ritorno per il genere umano. Si passa da leader naturali e senza potere, se non quello della persuasione e dell'esempio, in leader che "obbligano" a lavorare per loro e che tramandano il loro potere, come i re ai loro figli o i sacerdoti ai loro prescelti (gli "eletti"). A pag.28 il grafico 2 mostra la struttura sociale creata con le Agenzie "tempio" e "palazzo", le "grandi organizzazioni". I flussi di risorse vanno dalle comunità locali alle agenzie-stato che prelevano lavoro coatto, tasse, tributi. In cambio le Agenzie forniscono alla gente comune servizi quali la difesa della comunità (ma delle città fortificate piuttosto che dei villaggi indifesi esposti alle razzie dei nemici) ed eventuali redistribuzioni di cibo dai magazzini delle agenzie in caso di carestie o di feste particolari. Questo semplice schema, opportunamente aggiornato aggiungendo le imprese capitalistiche alle agenzie templari/palatine, potrebbe essere tuttora usato per valutare i flussi di risorse nei moderni stati nazione. Si può quindi far risalire al tempo di Uruk la istituzione "tasse" e tributi. Fonte: "L'origine delle città - Le prime comunità urbane del vicino oriente", Mario Liverani, Editori Riuniti, 1986. Pag.14: "Diciamo dunque che, grosso modo, la città cone fenomeno dotato delle semplici caratteristiche che abbiamo indicato dura dal 3500 a.C. al 2000 (o 2500 al massimo) d.C. Neanche sei millenni , che nella storia umana sono preceduti da molti più millenni di storia pre-urbana e che ci auguriamo siano seguiti da altri millenni di storia post-urbana. Un fenomeno dunque di lunghissima durata e però legato a determinate condizioni socio-economiche: un fenomeno storico, umano, non certo naturale e immutabile.". Fonte: "La nascita dello Stato nel Vicino Oriente - Dai lignaggi alla burocrazia nella Grande Mesopotamia", Marcella Frangipane, Laterza, 2005. Altra fonte a questa collegata, è "Alle origini del potere – Arslantepe – La collina dei leoni", a cura di M. Frangipane (aa.vv), Electa Mondadori, 2004, catalogo della omonima mostra tenuta a Roma. Il catalogo è molto concreto, didascalico, e direttamente informativo, inoltre contiene una estesa documentazione sulla Tomba Reale, di origine kurgan, che potrebbe spiegare il collegamento storico tra “patriarcato” e stato” (vedi sotto). M.Frangipane lavora come M.Liverani alla Sapienza di Roma ed ha partecipato direttamente ai lavori di scavo e di studio ad Arslantepe. Nella sua prefazione M.Liverani fa il punto della situazione degli studi storici, archeologici, sociologici sull'origine dello stato, precisando che "...la nascita dello stato era tra le più significative, e forse la più pregnante in assoluto, nel determinare la moderna strutturazione della società", "...quella grande trasformazione che dà origine allo stato: e cioè alla amministrazione burocratica, alla stratificazione sociale, alla specializzazione lavorativa, all'emergenza dell'apparato ideologico.", "...sarà piuttosto archeologicamente un contributo alla comprensione di quei meccanismi socio-economici e politici che hanno prodotto (in varie regioni e varie epoche) il decisivo passaggio dalle comunità locali autosufficienti ed autoregolate all'organizzazione complessa e stratificata, basata su flussi diseguali ma funzionali, che è lo Stato Arcaico". A pag.196-199 è ipotizzato il delicato passaggio al "lavoro dipendente", prima inesistente, testimoniato dalle ciotole grossolane, le "Bevelled rim bowls". Nasce così "...un settore di 'economia statale' che, attraverso il sistema di deleghe, si distacca sempre più dalla identificazione stretta con la persona del capo e la sua famiglia.". Il Corriere della Sera del 29 gennaio 1995 così sintetizza i lavori di M.Frangipane e della Sapienza di Roma ad Arslantepe: "...hanno ritrovato ad Arslantepe il più antico esempio di separazione tra potere politico e potere religioso. La città inventò lo Stato e crollò...Arslantepe ci mostra il più antico esempio di Palazzo di tutto il vicino Oriente; qui la struttura amministrativa è distinta da quella destinata al culto, anche se entrambe sono riunite nello stesso edificio...Verso il 3000 Arslantepe decadde e con lei il primo tentativo di creare una città dove il potere religioso era separato dal potere politico.". Sono i livelli IEMP che si differenziano e riuniscono o collassano insieme. Un aspetto importante della capacità diffusiva delle idee e dei modelli culturali veicolati dagli scambi, è secondo MF che "...la nascita delle prime città non fu una creazione esclusiva della Mesopotamia meridionale, come avevamo sempre ritenuto, ma piuttosto un fenomeno policentrico innescato da contatti e interscambi che s'erano stabiliti tra popolazioni dislocate in aree diverse". Questo è un punto molto importante capace di unire le teorie di Marija Gimbutas sui proto-indoeuropei, la cultura dei kurgan, caucasica, con la nascita dello stato nella grande Mesopotamia. La nascita ad Arslantepe della Agenzia Palatina o Palazzo, di un potere cioè politico militare (la P e la M di IEMP) sul tronco del potere religioso ed economico (la I e la E di IEMP) è ben documentata da M.Frangipane nello studio accurato della Tomba Reale di Arslantepe (due datazioni imprecise oscillano alla fine del IV millennio ed all'inizio del III millennio). In questa tomba appaiono le armi letali per uccidere altri esseri umani (spade, pugnali, lance), i sacrifici umani (un fanciullo ed una fanciulla di rango, gettati violentemente nella tomba, due giovani ancelle), soprattutto i vasi neri di una cultura kurgan a nord del Caucaso (e quindi di origine caucasica e non trancaucasica come le successive occupazioni del sito). Il collegamento temporale tra la presenza kurgan ad Arslantepe e la nascita dell'Agenzia Palatina, cioè del poltere politico militare, dello stato come uso “legittimo” della forza letale entro un determinato territorio, è troppo evidente per essere ulteriormente sottovalutato. Fonte: "The sources of social power - vol.I - A history of power from the beginning to A.D. 1760", Michael Mann, Cambridge University Press, 1986. Michael Mann è l'autore della analisi IEMP, da "Ideological, Economic, Military, Political power networks", illustrata nel cap.1, "Societies as organized power networks" (le società come reti organizzate di potere), teoria che utilizzo ampiamente allo scopo di arrivare sempre a delle sintesi unitarie dopo le analisi che separano i fatti. Il modello IEMP viene visto in un macro-esempio nel cap.15, pag.500-517, "European conclusions: explaining European dynamism - capitalism, Cristendom, states". I macroelementi del capitalismo (Economia), della Cristianità (Ideologia), degli stati (Militare e Politico), corrispondono ai quattro punti IEMP. Il termine "Power" tradotto con "Potere" andrebbe meglio interpretato come "potenza", possibilità di fare (Power in inglese significa anche la corrente elettrica). Non ha quindi una accezione di per sè negativa. Si tratta del potere organizzato di gruppi umani, cioè di un potere collettivo, o "sociale" in quanto organizzato da gruppi umani. Può essere un potere coercitivo come nel caso di guerra, predazione, razzia, deculturazione. Può essere positivo come la cooperazione spontanea, ad esempio nella costruzione di un nuovo villaggio o di un sistema di irrigazione, oppure nella gestione comunitaria di beni comuni. Può essere al tempo stesso coercitivo e cooperativo, quando un gruppo coopera e si unisce nell'obbiettivo di predare o distruggere un altro gruppo umano. Il potere cooperativo inoltre può essere spontaneo come nel caso di un gruppo di cacciatori-raccoglitori, o compulsivo, coatto, come nel caso di un esercito in marcia o di una moderna azienda capitalistica dove si è obbligati a cooperare con gli altri. La fig.1.2 a pag.29 riassume la teoria IEMP proposta da Mann. Nei cap.2, cap.3, e cap.4 tratta in modo approfondito delle società senza stato e del passaggio agli stati ed alla stratificazione sociale. Nella conclusione del cap.4, pag.124, "Conclusion: a theory of the emergence of civilization", dice: "Civilization was an abnormal phenomenon. It involved the state and social stratification, both of which human beings have spent most of their existence avoiding.", che così traduco "La civiltà è stata un fenomeno abnorme. Ha coinvolto lo stato e la stratificazione sociale, per evitare i quali gli esseri umani avevano speso gran parte della loro esistenza". Rivedremo ancora nel seguito i vari volumi dell'opera fondamentale di Michael Mann, tra cui il vol.IV, relativo agli anni 2000 (dopo Cristo), ed alle grandi crisi che l'umanità si trova a dover affrontare. Fonte: "Dalla tribù allo stato - Saggi di antropologia politica", a cura di Ugo Fabietti, UNICOPLI, 1991. Capitolo sesto, pag.127,"Una teoria sull'origine dello stato", di Robert L.Carneiro. M.Mann utilizza la importante teoria dell'ingabbiamento ("cage") avanzata da Robert L.Carneiro, "...una teoria flessibile e complessa - ma non generica - applicabile ai più diversi contesti...Carneiro non intende infatti considerare gli effetti del conflitto sulla distribuzione dei gruppi all'interno di un determinato territorio, nè dimostrare che la guerra in quanto tale ha origine per l'appropriazione delle risorse. La guerra è vista piuttosto come un fattore di progressiva centralizzazione politica, in un contesto in cui il controllo delle risorse ha una precisa relazione con l'emergenza di gruppi stratificati conducente alla formazione dei domini prima e degli stati poi.". In altre parole la guerra non nasce per la competizione di gruppi umani su risorse scarse ma per l'emergenza di élite dominanti che portano alla centralizzazione politica dei domini prima e degli stati poi. Segue poi il fondamentale articolo di R.L.Carneiro pubblicato su Science nel 1970. Fonte: "L'America dimenticata - I rapporti tra le civiltà e un errore di Tolomeo", Lucio Russo, Mondadori Education, 2013. Porta prove a sostegno delle teorie diffusioniste, secondo le quali esiste "...la possibilità di sostituire all'idea oggi dominante dell'evoluzione indipendente e parallela delle civiltà un'unica storia, connessa sin dalla remota antichità". Nel cap.4, "Possibili tracce di antiche contatti transoceanici", considera ipotesi favorevoli a contatti tra l'Europa e l'America soprattutto all'epoca di fenici e cartaginesi, che potrebbero aver innescato la formazione di stati là dove le condizioni erano favorevoli, cioè nella Mesoamerica e nelle valli andine. Fonte: “Potere e civiltà – Il processo di civilizzazione”, Norbert Elias, il Mulino, 2010. Tratta della genesi sociale dello stato moderno occidentale dal feudalesimo alla rivoluzione francese, basato sul passaggio dalla “costrizione sociale alla autocostrizione” delineato nel precedente volume “La civiltà delle buone maniere”. Centrali i paragrafi del cap.III, “Il meccanismo della monopolizzazione”, pag.144, e “Formazione del meccanismo monarchico”, pag.215. Il meccanismo monarchico è un "apparato centralizzato di dominio” che assieme al “meccanismo del monopolio” spiega il processo propulsivo espansionistico della “civiltà” occidentale moderna, soprattutto attraverso la sociogenesi del monopolio fiscale statale che nella società medievale sarebbe stato considerato “...in modo non molto diverso dalla rapina e dalla usura”. La genesi della “civiltà” o “civilizzazione” europea occidentale moderna è delineato nell'altro volume “La civiltà delle buone maniere”. N.Elias è un autore importante che ha rinnovato la sociologia ed aiutato a ricomporre la dicotomia tra individuo e società. Il modello da lui proposto di società è quello della "configurazione": gruppi di esseri umani interdipendenti e in riferimento tra loro. Come in un ballo i danzatori si muovono sincronicamente assumendo nel tempo configurazioni diverse ma interdipendenti in modo dinamico. La società è la danza che vive solo nel muoversi intrecciato dei ballerini. Non ha molto senso farne un'astrazione distinta dai danzatori, se non a scopo di analisi e comparazioni. La loro psicologia forma la danza ed è sua volta riformata da questa nel suo "processo" reale. Questa "danza" corrisponde solo in parte all'azione sociale di M.Weber così definita: "un agire che sia riferito - secondo il suo senso, intenzionato dall'agente o dagli agenti - al comportamento di altri individui, e orientato nel suo corso in base a questo". N.Elias ne critica il metodo e l'astrattezza, e introduce negli individui l'inconscio e la raffinata psicologia scoperta da Freud. La psicologia individuale è inestricabilmente collegata alla configurazione in cui l'attore si trova, come anche si sostiene nella teoria di G.H.Mead della costruzione del Sè e dell'Altro Generalizzato. Per questo ogni società, ogni cultura, ogni contesto storico ha le sue proprie "psicologie" (Freud a differenza di Elias si riferisce ad una psicologia universale, non cangiante nei vari contesti storici e geografici). Elias in breve "storicizza" la psicologia. Le concezioni sociologiche che si oppongono alla visione "delle" società come "processi" sono quelle che definiscono la società come una "struttura" al cui interno agiscono delle "forze" che determinano il comportamento degli individui. Le teorie di Marx e Durkheim rientrano in questo tipo. La dicotomia tra individuo e società viene risolta semplicemente facendo sparire l'individuo. Per riassumere si può dire che per Durkheim la "danza" è una "cosa" e che i ballerini danzano perchè la musica gli entra nella testa. Per Marx la musica sono solo "le forze produttive materiali", non esistono cose ma solo antinomie. Stranamente con la prossima fine delle antinomie la musica cesserà. Secondo Weber gli individui agiscono sostanzialmente da soli ma tenendo conto degli altri soprattutto a livello razionale. Secondo Elias la danza è un processo dinamico che modifica i ballerini che ne sono gli attori e gli autori, che interagiscono costantemente tra loro scambiandosi non solo esperienze, cultura, emozioni ma anche relazioni di dominio fisico e psichico (eterocostrizioni ed autocostrizioni). Secondo Mann ci sono obiettivi comuni che uniscono gli esseri umani in attività organizzate vissute in gruppi che si intrecciano tra loro in interazioni complesse che possiamo definire "reti". Questi obiettivi corrispondono ai bisogni fondamentali (cangianti nei loro equilibri nelle varie epoche storiche) quali la riproduzione, la sopravvivenza biologica, la difesa del territorio e i rapporti tra i gruppi, la costruzione culturale di un significato dell'esperienza umana. Sapendo che è impossibile tracciare tutti i "bisogni" che nascono a livello di individui o di gruppi umani. La ricerca di un significato complessivo della vita è un bisogno divenuto prevalente già dalle epoche preistoriche con la necessità di costruire identità singole e collettive (di gruppo) articolate in strutture morali ed estetico-rituali. Queste identità collettive che diventano "istituzioni", come le nazioni, gli imperi, il capitalismo, proiettano gli obiettivi dell'azione collettiva che si sviluppa come un intreccio di processi materiali e di processi culturali. La sociologia diventa sociologia dei processi culturali, come nelle opere di N.Elias. Mentre Mann ha il merito di aver unificato grazie ad un modello efficace il lungo arco di storia delle società umane secondo una prospettiva di macrosociologia, Elias nell'arco di tempo più breve dal medioevo al 1700 d.C. unifica la prospettiva macrosociologica della formazione dei principali stati europei (sociogenesi) con la prospettiva microsociologica del cambiamento della psicologia umana come riflesso di nuovi modelli di comportamento e di interazione sociale (psicogenesi).

Imperi

Fonte: "Antico Oriente - Storia società economia", Mario Liverani, Laterza, 2007. È l'opera più completa di M.Liverani. Inizia dalla nascita dello Stato in Mesopotamia ed arriva all'età del ferro con Ciro il grande e i persiani. Tratta estensivamente tutti gli imperi che si sono succeduti nel Vicino Oriente con le loro complesse interazioni. È un testo "mesopotamo centrico". Ma questo è accettabile in considerazione del fatto che proprio in Mesopotamia sono partiti per la prima volta i processi che hanno dato vita a Stati, Città, Scrittura, e che lì sono state raccolte e indagate le maggiori testimonianze. M.Liverani è uno storico che utilizza la sociologia, Michael Mann è un sociologo che utilizza la storia. I due autori vanno integrati tra loro e si possono agevolmente integrare. Dice infatti M.Liverani: "Quanto poi alle componenti interne del quadro storico, ho assunto a base della mia impostazione il triangolo ideologia/società/economia, in interazione già così alquanto ardua". Si avvicina molto alla impostazione IEMP di M.Mann, se al termine "società", opportunamente criticato e rivisto da M.Mann, sostituiamo "politico-militare". M.Mann studierà proprio quella interazione tra ideologia, economia, militare, politico, che a M.Liverani sembra così ardua, per un arco di tempo che va dal neolitico al 2011 d.C. Nel cap.8 de "L'Antico Oriente", "L'impero di Akkad", pag.232-264, tratta del primo impero della storia. Interessante perchè emblematica anche per il futuro è la conclusione della vicenda imperiale di Akkad, i cui abitanti stremati dalle guerre e dai contrasti interni vengono conquistati dopo due secoli di terrore dalle popolazioni "barbare" dei vicini Gutei provenienti dalle montagne degli Zagros. Fonte: "The sources of social power - volume I - A history of power from beginning to A.D. 1760", Michael Mann, Cambridge University Press, 1986. Cap.5, "The first empires of domination: the dialectics of compulsory cooperation", pag.130-178. Pag.131: "Alla fine [le città-stato sumeriche] furono conquistate dal primo esteso "impero" della storia, quello di Sargon di Akkad. L'impero da allora rimase una delle forme sociali dominanti per tre migliaia di anni nel Vicino Oriente e in Europa, e perfino più a lungo nell'Asia Orientale.". Gli aspetti della cooperazione obbligata ("compulsory cooperation"), che intreccia le varie reti IEMP, realizzata da Sargon sono: la pacificazione militare e geopolitica del territorio e delle vie commerciali, l'incremento delle spese militari (o keynesismo militare), il controllo centralizzato dell'economia tramite fissazione dei prezzi e dei valori di scambio, un maggiore sfruttamento del lavoro (tramite la schiavitù, la servitù della gleba, il lavoro ad ingaggio), la diffusione autoritaria di una cultura, lingua e scrittura comuni. Vedi pag.148-155. Questi cinque aspetti si ritrovano ancora oggi, opportunamente modernizzati e mascherati, nell'attuale impero residuo (gli USA) e nelle pratiche di altri stati.

Imperi romano e bizantino

Fonte: "La grande transizione - Dal declino alla società della decrescita", Mauro Bonaiuti, Bollati Boringhieri, 2013. Adotta la teoria bioeconomica di Nicholas Georgescu Roegen e lo studio dei collassi delle società complesse di Joseph A.Tainter. I due esempi del collasso dell'impero romano e della resilienza dell'impero bizantino si trovano nel cap.4 a pag.139 e pag.155 rispettivamente Fonte: "L'America dimenticata - I rapporti tra le civiltà e un errore di Tolomeo", Lucio Russo, già citato. Nel cap.5, pag.71-109, considera in modo originale e profondo l'affermarsi dell'impero romano come un tracollo culturale dell'intera area mediterranea su cui si affacciavano civiltà varie e complesse che comunicavano tra loro. La distruzione contemporanea di Cartagine e della lega achea (con centro a Corinto) nel 145-146 a.C. significarono la sparizione di immense conoscenze e del primo germe di scienza moderna apparso nella Grecia di Anassimandro. La ricerca basata sulla dimostrazione (logico-matematica) e sulla sperimentazione empirica ricompariranno solo con Galileo molti secoli dopo. Considerare giustamente l'impero romano un tracollo culturale per l'intera area mediterranea dimostra la non adeguatezza di una concezione della storia come progressione lineare. Fonte: "The sources of social power - volume I - A history of power from beginning to A.D. 1760", Michael Mann, già citato. Nel cap.9 "The Roman territorial empire", pag.250-300, sostiene che "La storia di Roma è il laboratorio storico più affascinante a disposizione dei sociologi...Molti dei processi osservati nel corso di questo capitolo erano probabilmente presenti anche in molte società precedenti. Ora per la prima volta possiamo tracciare in modo sicuro il loro sviluppo", grazie alle abbondanti tracce di registrazione storica. Secondo Mann Roma era capace sia di conquistare che di mantenere un impero. Perchè "Per prima cosa aveva sviluppato una potenza organizzata di cooperazione compulsiva (forzata) che chiamerò economia delle legioni. Secondariamente aveva sviluppato come potenza autoritativa una cultura di classe che permetteva di assorbire le élites conquistate dentro la classe egemone (ruling class) romana." Lo sviluppo di una "ruling-class culture" unica estesa ai popoli dominati avviene tra il 100 a.C. E il 200 d.C. Con la prima, l'economia delle legioni, conquistava, con la seconda, la cultura della élite dominante, manteneva. Fondamentale in tutta la cultura romana la gestione patriarcale privata della famiglia. Nel paragrafo "The weakness of the legionary economy: a power standoff", pag.280, analizza le entrate dell'erario al tempo di Augusto derivanti in gran parte dalle conquiste di guerra, cioè dal bottino seguito da tributi, tassazione, e vendita di incarichi pubblici (quella che oggi si chiama corruzione). Senza ulteriori conquiste sarebbe stato difficile mantenere attivo questo processo, come si ricava anche nell'analisi di M.Bonaiuti secondo cui dalla "pacificazione" di Augusto in poi inizia la decadenza dell'impero. Fonte: "Storia sociale dell'antica Roma", Géza Alföldy, il Mulino, 1987. Analizza la iniziale struttura tribale e gentilizia centrata sul paterfamilias, il cui potere su congiunti e schiavi era illimitato (poteva vendere come schiavi i propri figli ed eventualmente ricomprarli). Vedi al cap.V i paragrafi 2, pag.153, "La stratificazione sociale", e il par.7, pag.201, "La struttura per ordini e strati ed i suoi effetti", dove viene evidenziata la non corrispondenza della teoria marxiana delle classi alla società romana nel suo complesso. La fig.1 a pag.202 evidenzia nel triangolo centrale i "clientes", la cosiddetta "familia Caesaris". La figura mette in luce il riduzionismo non solo del concetto di "classe" ma anche di quello di "stratificazione" in senso stretto. Nel cap.VI, pag.227, "La crisi dell'impero romano e la trasformazione della struttura sociale", e nel cap.VII, pag.265, "La società tardo romana", viene vista in dettaglio la decadenza e il collasso dell'impero. Si tratta di un processo che dura circa tre secoli su regioni geografiche distinte e lontane. Gli attacchi delle tribù germaniche e dei loro alleati sul Danubio e il Reno erano solo uno dei molteplici fattori di una crisi generale. La stratificazione sociale vedeva gli strati superiori frantumarsi e impoverirsi, mentre gli strati inferiori precipitavano in condizioni simili alla schiavitù. Una enorme burocrazia di funzionari spremeva tutti gli strati sociali produttivi con tasse, lavori forzati, corruzione. Vari eserciti dislocati nelle varie regioni composti anche da barbari mercenari difendevano i confini, agivano da supporto ai funzionari esattori delle tasse, si combattevano tra loro in feroci guerre civili. Tutto questo era molto dispersivo a livello di risorse. "Quindi il declino dell'impero romano d'Occidente è un processo, il cui aspetto storico-sociale non consiste nell'opposizione degli strati inferiori contro un sistema di potere retto dagli strati superiori, ma nel fatto che l'ordinamento statale romano fu gradualmente sostenuto da un unico strato, e molto esiguo, del proprio apparato di potere, divenendo nel contempo un grave peso per quasi tutta la società.". Esaminando questi processi a larghe linee si può assegnare a Traiano l'ultimo tentativo di espansione imperiale con la stentata vittoria in Dacia, riprodotta nella famosa colonna con le teste mozzate dei vinti. Traiano diventa molto popolare per i lavori pubblici che ordina: i fori, templi vari, palazzi, viabilità. Lavori che stressano le già esauste finanze statali. Da questo momento le conquiste si fermano e con esse le importazioni di schiavi per coltivare i latifondi, estrarre minerali dalle miniere, produrre nelle "frabricae" statali frecce, archi, scudi, corazze, spade di qualità. Caio Giulio Cesare aveva da solo trasportato un milione di schiavi dalla Gallia due secoli prima. Gli schiavi lavorano anche nelle botteghe artigiane e come servitù nelle case dei ricchi; lavorano anche come Polibio, storico e consigliere di Scipione l'Africano, a diffondere cultura e conoscenza. Le guerre difensive che sono un puro costo, la mancanza di schiavi, le epidemie dovute a invasioni barbariche, guerre civili e ribellioni contadine come quella degli stagionali (in latino "circumcilliones") spopolano le campagne che diventano sempre più improduttive. Crollano economicamente i ceti medi dei "decurioni" o “curiales” prima floridissimi, stressati da oneri politici, balzelli, corruzione, mentre aumenta il grande latifondo, la cui produttività è molto bassa. Nel frattempo l'ordine equestre dei cavalieri, esattori delle tasse e ufficiali delle legioni, spreme la popolazione con tasse e corvèe facendo fuggire i contadini dalle campagne. La riproduzione degli schiavi è difficile, non vogliono figli. Tra i contadini vi sono piccoli proprietari, schiavi, liberti, stagionali, coloni o affittuari che corrispondono ai servi della gleba, salariati. Tutti in condizioni così disperate da alimentare il fenomeno dei “fugitivi”. Le città che rifornivano di merci e servizi le campagne circostanti cominciano lentamente a decadere anche loro. Politicamente gli equilibri si dissolvono. L'antico ordine dei senatori, già compromesso dopo la caduta della repubblica, viene forzatamente riempito di uomini "novi" o membri dell'ordine equestre, o di favoriti, perfino di liberti. Le magistrature che davano vanto e potere ai decurioni delle città vengono disertate perchè fonte di oneri, tasse, tributi. Le zone spopolate vengono riempite per essere difese da tribù federate di barbari, convertiti al cristianesimo, che sono ormai il nerbo mercenario dell'esercito imperiale. Ormai il potere territoriale, militare, politico, è loro.

Imperi moderni USA e URSS

Fonte: “The sources of social power - Volume 3: Global empires and revolution, 1890-1945", Michael Mann, Cambridge University Press, 2012. Cap.3, pag.58-99, "America and its empire in the Progressive Era, 1890-1930. Cap.14, pag.423-456, "Tha last interimperial war, 1939-1945". Per quanto riguarda la nascita dell 'impero dei Soviet conseguente alla rivoluzione bolscevica di Ottobre 1917 in Russia, vedi cap.11, pag.347-370, "The Soviet alternative". Notevoli alle pag.357-362 il paragrafo "Stalin's atrocities" e al paragrafo "The impact of communism abroad", pag.366-370, l'effetto politico dell'azione ideologica dell'imperialismo sovietico che ha monopolizzato, strumentalizzato ed estremizzato i movimenti di opposizione al capitalismo ed al fascismo, portandoli alla rovina. Il paragrafo si conclude così: "Stalin mise l'ultimo chiodo al coperchio della bara del socialismo rivoluzionario occidentale, dopo aver distrutto quello dell'Unione sovietica" ("Stalin was putting the final nail in the coffin of revolutionary socialism in the West, after it had been destroyed in the Soviet Union"). Fonte: "The sources of social power - volume 4: Globalizations, 1945-2011", Michael Mann, Cambridge University Press, 2013. Cap.5, pag.86-128, "American empire during the cold war, 1945-1980", distingue tra i vari tipi di impero, secondo un gradiente discendente di potenza militare e un livello ascendente di potenza politica, economica ed ideologica. I tipi sono sei in ordine decrescente nell'uso della forza militare e ascendente di potenza politica:

  • impero diretto,
  • indiretto,
  • informale,
  • oppure informale via proxies,
  • imperialismo economico,
  • egemonia in senso gramsciano.

Cap.10, pag.268-321, "American empire at the turn of the twenty-first century". La politica di Bush il giovane dopo il 9/11 e le invasioni di Afghanistan e Iraq. Cap.7, pag.179-217, "The fall of Soviet alternative", descrive la caduta dell' "impero" sovietico, ("the end of Soviet empire abroad"). Gli sfortunati russi hanno sofferto due rivoluzioni, che secondo Mann non sono mai una buona idea; una dal basso nel 1917, l'altra dall'alto negli anni 80 con la perestroika di Gorbachev. Entrambe fallite. "La Russia può considerarsi un caso esemplare del ruolo limitato della ragione negli affari umani e del fallimento degli umani nel risolvere adeguatamente le crisi che essi stessi si sono procurate". Nella conclusione, cap.13 , a pag.418, si sostiene che "solo un impero è rimasto, e il suo declino è appena cominciato e continuerà". Si riferisce al residuo impero americano, il cui declino è ben documentato dai numerosi e continui "commentaries" di Immanuel Wallerstein, eminente sogiologo, storico, economista degli Stati Uniti, coautore con altri della famosa teoria del "world-system" cui M.Mann preferisce la sua più consistente e raffinata analisi IEMP. I.Wallerstein, G.Arrighi e Michael Mann appartengono a quella corrente di studi che vede dinamicamente le varie società nel tempo e nello spazio attraverso la sociologia, la storia, l'economia, nota come "sociologia storica" o macrosociologia. Come fa presente Mann parlando della sua analisi storica, comunque, quello che in lui prevale è uno “scetticismo empirico” per cui le quattro fonti del potere sociale IEMP sono solo modelli astratti utili al fine di una analisi ma che "non esistono come pure forme nel mondo reale. Invece esse si solidificano attorno alle maggiori macro-istituzioni della società attuale: il capitalismo, lo stato-nazione, e gli imperi".

Crisi

Fonte: "The sources of social power - Volume 4: Globalizations, 1945-22011", Michael Mann, Cambridge University Press, 2013. La descrizione delle tre grandi crisi che dobbiamo affrontare oggi su scala planetaria è molto compatta ma esaustiva nel IV volume di M.Mann. 1. Crisi militare e geopolitica con conseguente pericolo nucleare. Cap.2, "The postwar global order", soprattutto alle pag.30-33 il par. "The imperial and ideological pillar: The cold war", e alle pag.33-36 il par. "MAD and the decline of war". MAD sta per Mutual Assured Destruction, mutua distruzione assicurata. Cap.10, pag.268-321, "American empire at the turn of the twenty-first century", focalizzato sulla recente politica di espansione militare americana e la sua connessione con il petrolio e l'imperialismo economico (il signoraggio del dollaro). Nel lontano 1963, dopo la crisi dei missili a Cuba, J.F.Kennedy ( USA), Krutsciov (URSS) e Giovanni XXIII (Stato Vaticano) iniziarono un serio tentativo di disarmo nucleare. Al momento non vi sono iniziative in proposito tra le maggiori potenze nucleari (USA, Russia, Cina, Francia, UK). 2. Crisi economica capitalistica. M.Mann la definisce "la Grande Recessione". Cap.11, pag.322-360; "Global crisis: The great neoliberal recession". "Dal 2008 il debito mondiale era di 160 trilioni di dollari, tre volte il Prodotto Lordo Mondiale, mentre il valore di tutti i "derivati" era di 680 trilioni di dollari un numero sorprendente equivalente a 11 volte il Prodotto Lordo Mondiale" (Pag.328). Nella complessità della crisi economica globale un ruolo importante hanno gli assetti di potere politico militare tra USA, Cina, Giappone. Il ruolo imperiale degli USA dà al dollaro una preminenza che ha solo un valore politico-militare. La preminenza americana significa che le economie che da essa dipendono a cascata, come quella cinese e giapponese (che vendono le loro merci in USA e che ricevono in cambio dollari e capitali in dollari), importano la crisi e soffrono della crisi generata in USA. Nel 2008 la crisi americana dei mutui alle case si diffonde al mondo intero. Perchè? "La causa principale della Grande Recessione stessa era l'aumentato livello di disuguaglianza e povertà negli Stati Uniti" (Pag.331). Lo scenario degli ultimi vent'anni è il passaggio da una bolla finanziaria all'altra, di dimensioni crescenti. 1. Crisi ambientale. Cap.12, pag.361-399, "Global crisis: Climate change". Chi si oppone ad una seria politica di controllo delle emissioni nocive di gas serra? Pag.375: Alcuni settori del business: imprese elettriche, settore minerario, le industrie del petrolio e del gas appoggiate dalle industrie satelliti che producono automobili e tutto quanto serve per l'agricoltura chimica (dal petrolio si ricavano tutti i fertilizzanti e i fitofarmaci prodotti dalle stesse multinazionali che applicano la bioingegneria delle sementi OGM). Fonte: "La grande transizione - Dal declino alla società della decrescita", Mauro Bonaiuti, Bollati Boringhieri, 2013. Analizza in profondità la crisi capitalistica mettendola in relazione alla finitezza delle risorse ambientali, alle teorie della crescita e dell'innovazione, all'ipotesi dei rendimenti decrescenti.

Sistemi cooperativi

La costruzione e la diffusione di sistemi cooperativi anche complessi può avvenire, come avviene, nei vari campi di attività dei gruppi umani, nel campo della cultura e della scienza, dell'economia, della politica, persino nel campo militare. Dare la priorità ad alcuni di essi a scapito di altri significa non considerare gli esseri umani e le loro società come organismi viventi nella loro integrità coesione e completezza. Esempi significativi sono riportati nel seguente lavoro di Yochai Benkler. Fonte: "The penguin and the Leviathan - How cooperation triumphs over self-interest", Yochai Benkler, Crown Business, New York, 2011. Questo libro va studiato nei dettagli come un manuale operativo. Lo considero un buon punto di partenza per fare sperimentazione cooperativa. Yochai Benkler, israeliano, professore di diritto ad Harvard (Usa), ha un sito: "benkler.org", da visitare perchè rimanda a tutte le attività del mondo Open Source. Ha impostato nel 2007 una ricerca di tre anni sulla cooperazione, basata sulla biologia evoluzionista, l'economia sperimentale, la teoria dei sistemi complessi, la sociologia organizzativa e la psicologia morale. Come si vede oltre a teorizzare la cooperazione, Y.Benkler la pratica. Tutta questa ricerca è riportata in questo libro. A pag.253, "When I moved to Harvard in late 2007...", racconta quali sono i personaggi ed i filoni di ricerca che è riuscito a unire e vitalizzare. Fonte: "La ricchezza della rete - La produzione sociale trasforma il mercato e aumenta le libertà", Yochai Benkler, Edizioni Bocconi Editore, 2007, disponibile anche su internet. Partendo da fenomeni significativi come Linux, Wikipedia (molto importante) e altri, introduce la "Commons Based Peer Production", CBPP. Viene tradotta come "Produzione sociale" ma sarebbe più appropriato chiamarla "produzione tra pari". Fonte: "Il mutuo appoggio", Petr Kropotkin, traduzione di Camillo Berneri,edito da www.liberliber.it, scaricabile da Internet. Tra i primi e principali fautori e "scopritori" della cooperazione mutualistica ricordiamo Petr (Piotr) Kropotkin contemporaneamente versato sia nelle scienze storiche e sociali che in quelle naturali come geografia, ambiente, animali e il neonato evoluzionismo di Darwin. Kropotkin è un raro esempio di integrità umana, sagagia, umiltà, capacità di apprendere. Era un principe russo, figlio di una delle principali famiglie dell'aristocrazia risalente ai tempi di Ivan il grande. Essendo abituato al comando ebbe modo di verificare, appena entrato nell'adolescenza, la sua totale inefficacia. Entrato a far parte dell' esclusivo "Corpo dei paggi" dello zar ebbe così la controprova delle sue teorie sulla gerarchia e sulle relazioni basate sull'autorità. Diventa uno dei principali anarchici della I Internazionale e soffre la prigione e l'esilio, rispettato al suo rientro in Russia dopo il 1917 dagli intellettuali e dal popolo. A differenza di Marx, Petr Kropotkin ha una solida esperienza scientifica. Le sue conoscenze di zoologia e di comportamento animale, della nuova teoria di Darwin, lo illuminano. Si preoccupa che le trasformazioni che propone siano in grado di reggere il cambiamento e di apportare beneficio e non semplice distruzione e fallimento, come già subito intravede nella rivoluzione bolscevica del 1917. Fonte Web:"Software e Hardware Open Source", Remo Ronchitelli, Tesi di laurea triennale in sociologia a Padova, ottobre 2013, pubblicata su ortosociale.org Tratta della emergenza storica di un nuovo modello di economia cooperativa e del rapporto tra reti economico culturali Open Source e le corrispondenti reti capitalistiche Closed Source.

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