PoesiaCH12

Da Ortosociale.

FESTA DI COMPLEANNO

Ricordo d'infanzia - Racconto di Cadigia Hassan - Ai miei genitori e ai miei fratelli. E ai miei figli, perché conservino sempre il ricordo delle loro radici.

Quel sabato mattina Bambina si svegliò molto eccitata. “Oggi pomeriggio c'è la festa di compleanno di Clara!”, gridò saltando sul letto. Il letto di zia Lidia, accanto al suo, era perfettamente riordinato. “Strano non averla sentita alzarsi”, pensò Bambina. Riusciva quasi sempre a sentire la sveglia puntata alle 5,30 e, fingendo di dormire, controllava i movimenti silenziosi della zia, mentre si preparava per recarsi all'ospedale. Zia Lidia non era proprio una zia: era la cugina della mamma di Bambina. Faceva l'infermiera. Le zie l'avevano cresciuta e fatta studiare, proprio come avrebbero fatto con Bambina. Con affetto, rigore e austerità.

Bambina era approdata in quella grande casa da un anno, da quando era arrivata in Italia dalla Somalia, dopo il colpo di stato militare che nel 1969 aveva portato al potere il generale Siad Barre, soprannominato Af-weyne (Bocca Grande). Nel settembre del 1970, la sua mamma – in quanto italiana - era riuscita a espatriare portando con sé tre bambini sotto ai quattro anni e una quarta in pancia, che sarebbe nata di lì a una settimana. Il padre non poté seguire questa fragile famigliola: essendo dissidente, fu tenuto prigioniero e riuscì a raggiungerli solo due anni dopo. Nell'appartemento della nonna materna non c'era spazio per tutti, in quanto due zii vivevano ancora lì. Bambina, abituata ai grandi spazi africani e a una vita più libera da convenzioni, vi stava un po' stretta. Si muoveva con la stessa grazia di un elefante in una cristalleria (pochi minuti dopo il suo arrivo aveva già mandato in frantumi il servizio buono di tazzine della nonna), correva e saltava senza sosta e soprattutto non accettava l'autorità della nonna che, con fredda severità aveva cresciuto sei figli e sepolti quasi altrettanti, affrontando una vita di stenti e di sacrifici e attraversando indurita due guerre mondiali. La nonna non voleva quella bimba selvaggia. “O esce lei o uscite tutti”, aveva urlato in un momento di rabbia. Fu così che le zie si offrirono di allevarla.

Tutti questi pensieri erano però lontani quel giorno dalla mente di Bambina. Quel giorno era il compleanno di Clara e nel pomeriggio, dopo il riposino, sarebbe andata alla sua festa. Clara e Franco erano i figli dell'Ingegnere e vivevano nella villa accanto: una bellissima costruzione, immersa in un boschetto di faggi, dal tetto rosso e spiovente che ricordava un po' quello delle casette illustrate nei libri di fiabe. La loro non era la più bella villa della via. No, la villa più sontuosa era quella del Notaio, due cancelli più in là, imponente ma fredda, e quasi sempre con le imposte serrate. Bambina immaginava chissà quali misteri lì dentro. Le sembrava la casa del Gigante Egoista, com'era illustrata nel racconto di Oscar Wilde che le zie le avevano regalato lo scorso Natale. Il giardino più grande e meglio curato era senza dubbio quello delle zie. Zia Linda aveva una grande passione per i fiori, l'orto e le piante da frutto. Curava tutto personalmente, con l'aiuto del giardiniere per i lavori di fatica. Peccato che il giardino delle zie non ospitasse una casetta dei giochi come quella che l'Ingegnere aveva costruito per Clara. Interamente in legno, aveva delle graziose tendine alle finestre e la porta poteva essere chiusa a chiave dall'esterno, così i ladri non sarebbero potuti entrare durante le lunghe vacanze famigliari. Dalla rete confinante, Bambina ammirava costantemente quella casetta di legno e sperava di potervi un giorno entrare e giocare insieme a Clara a prendere il tè. E finalmente quel giorno era arrivato! Nel pomeriggio avrebbe varcato per la prima volta la proprietà dei suoi vicini. Sicuramente sarebbe stata una festa speciale, Clara le aveva anticipato entusiasta alcuni sorprendenti dettagli: i palloncini colorati, la caccia al tesoro, la torta a forma di Barbie, il mago dalle grandi magie e una sorpresa finale per tutti gli invitati.

Bambina si alzò dal letto con una maggiore carica di energia rispetto a quella abituale (che era praticamente già inesauribile!), più che convinta che quella sarebbe stata una giornata indimenticabile. Infilò le sue pantofole morbide e la vestaglia da camera e scese in cucina a far colazione. “Buongiorno zia Manà! Buongiorno zia Linda! Buongiorno zia Rinella”, disse tutto d'un fiato, dando alle tre zie il bacio del buon risveglio. Dopo colazione, Bambina uscì in giardino e, all'ombra del pergolato di glicine (che le zie chiamavano alla francese “il berceau”), si mise a fare i compiti che le aveva assegnato zia Rinella, la zia più giovane, incaricata della sua istruzione. Bambina amava quell'oasi di pace. Vi si rifugiava per leggere o per giocare con le bambole. Al centro della pagoda, vi era un tavolo di pietra dove il nonno aveva gettato, con la calce ancora viva, alcune monetine fuori corso. Nonno Plinio era morto poche settimane dopo la nascita di Bambina, quando i suoi genitori avevano già deciso di trasferirsi a Mogadiscio per la carriera diplomatica di papà. Bambina era contenta perché il nonno aveva fatto in tempo a vederla. “La Bambina nuova”, continuava a chiamarla.

Bambina frequentava l'ultimo anno d'asilo ed era dotata di una spiccata intelligenza. A cinque anni sapeva già leggere correntemente, fare dei semplici calcoli, intonare i canti della messa e suonare a memoria brevi brani al pianoforte. Quando le zie ricevevano visite, lasciava tutti a bocca aperta e lei si divertiva un mondo ad atteggiarsi a protagonista. Quella mattina zia Rinella le aveva consegnato un libro di esercizi per la classe seconda elementare. “Forse sono un po' difficili per te”, le disse, “fa' quello che riesci e, mi raccomando, usa la matita così se sbagli potrai cancellare”. “Grazie, zia Rinella”, rispose Bambina educatamente – e iniziò subito dalla prima pagina. Gli esercizi erano abbastanza facili per lei: c'era da completare delle frasi di logica, declinare dei verbi, fare delle addizioni e sottrazioni e colorare delle figure e delle cornicette. Era così divertente, che la mattina passò in un baleno e quasi manco se ne accorse quando la chiamarono per il pranzo.

Alle quattro, dopo il riposino, le zie si affaccendarono per prepararla per la festa. Tutte vollero collaborare. Mentre zia Linda (l'esteta della famiglia) le intrecciava i lunghi capelli neri e zia Manà (quella dotata di più senso pratico) incartava il regalo, zia Rinella le faceva le raccomandazioni di rito: “mangia solo quello che ti viene offerto, siediti composta, sta diritta con le spalle, rispondi sempre sì-grazie o no-grazie, non essere curiosa e invadente”. Quando finalmente fu pronta, Bambina corse a guardarsi allo specchio. Era davvero uno schianto! L'abitino bianco in cotone sangallo era annodato in vita da un fiocco di raso dorato, della stessa tonalità delle ballerine che calzava ai piedi. L'abito l'aveva cucito la sarta delle zie, appositamente per la festa di Clara. Sicuramente avrebbe fatto un bel figurone! Mentre erano ancora tutte di sopra ad ammirare Bambina, si sentì il trillo del campanello. “E' tua mamma”, urlò la governante andando ad aprire il cancello. “Oh, no, mamma! Perché sei venuta proprio oggi?”, esclamò Bambina facendo il broncio. “Volevo farti una sorpresa, non sei contenta di vedermi?”, le chiese la mamma senza perdere il suo bellissimo sorriso. “Certo che sono contenta. Solo che non posso stare con te adesso perché c'è la festa di compleanno di Clara ed è già tardi perché le zie mi hanno costretta a dormire”. “Non preoccuparti per me, piccolina, va' pure, ti aspetto qui. Ti vedo cresciuta. E come sei elegante!” Bambina salutò velocemente la mamma e corse fuori accompagnata dalla zia Rinella, con il suo bel pacchettino in mano. All'interno, c'era una bambola bionda che parlava e cantava quando le si infilava un piccolo disco nel vano posto sulla sua schiena.

La festa di Clara era davvero spettacolare come se l'era immaginata. Bambina poté finalmente entrare nella casetta di legno, arredata con graziosi mobili in miniatura, e giocare a “mamma casetta” con le amiche di Clara. Due animatori avevano preparato una serie di giochi. Il mago aveva fatto il suo spettacolino e non era mancata nemmeno la caccia al tesoro. Al termine della festa, ciascun bambino ricevette un premio: una corda per saltare per le femminucce, una pistola ad acqua per i maschietti. Bambina gradiva molto la festa, ma il suo pensiero era rivolto alla sua mamma, in visita nella casa accanto. Si sentiva in colpa per averla salutata così precipitosamente, le sarebbe piaciuto intrattenersi un po' di più con lei, anche perché le occasioni per vedersi erano rare. “Resto ancora un pochino qui e poi vado dalla mamma”, si ripeteva continuamente Bambina, ma il desiderio di vedere cos'altro ancora c'era e di non perdersi nulla di quella splendida festa prevalse sui suoi buoni propositi.

Fu quando i primi bambini iniziarono ad andare a casa, che si accorse che forse si era intrattenuta troppo. Ringraziò velocemente Clara e i suoi genitori e corse con il cuore in gola a casa delle zie. “Dov'è la mamma?”, urlò Babmbina con un grido spezzato. “Ti ha aspettato a lungo, ma poi è dovuta andare per non perdere l'ultima corriera”, disse zia Manà. “E' stata contenta di vederti felice”, aggiunse zia Linda. “Ha detto di darti un forte abbraccio e ti ha lasciato questo”, ultimò zia Rinella. Bambina prese il piccolo pacchetto e corse in camera. Dentro c'era una scimmietta di peluche con scritto Trudi su una zampa. Bambina decise di chiamarla Kita, come la scimmia che aveva in Somalia, e che era scappata una notte, spaventata da una faina. Nel pacchetto c'era anche una foto e un sacchetto di caramelle gelée. Bambina ne mise in bocca una di color rosso ciliegia. La foto ritraeva la mamma e i suoi tre fratelli. Com'era bella la mamma, con la sua lunga coda di cavallo! E com'era diventata grande la piccolina, ormai aveva già un anno e stava in piedi da sola. Il fratello aveva un'aria birichina, sarebbe stato bello riaverlo come compagno di giochi. La sorella maggiore sorrideva, mettendo in mostra i due incisivi superiori mancanti. Bambina girò la foto. Sul retro c'era scritto “ci manci tantisimo!”, firmato Fai. “Che ignorante”, pensò Bambina, mettendosi in bocca un'altra caramella, questa volta gialla. “A manchi manca la acca e tantissimo si scrive con due esse. Lei che fa la prima elementare dovrebbe saperlo.”

Bambina pensò che, rispetto ai suoi fratelli, aveva molte più cose: una bella casa, un bel guardaroba, una bicicletta nuova fiammante... Dalle zie aveva un buon tenore di vita, conosceva le buone maniere e frequentava l'asilo più prestigioso della città. Però i suoi fratelli avevano una cosa che lei non possedeva: la mamma tutta per sé. Ora la caramella non sapeva più di limone: aveva il gusto salato delle lacrime. “La prossima volta che viene la mamma le chiedo di portarmi a casa”, si ripromise Bambina. Quel giorno ormai non era possibile. Quel giorno aveva fatto la sua scelta. Aveva preferito i nastrini di raso dorato, la casetta di legno nel bosco degli gnomi, il coniglio sbucato dal cilindro del mago, le leccornie del buffet, gli occhioni sgranati di madri annoiate. “Ma che bella bambina abbronzata! Ma che beni che parli l'italiano! Da quanto tempo sei qui in Italia?”

Quel giorno Bambina aveva capito che certe scelte comportano un prezzo da pagare. Aveva compreso che una decisione ne esclude almeno un'altra e che la sofferenza spesso sta alla base sia di ciò che prendi che di ciò che lasci. A cinque anni Bambina imparò una lezione che nessun libro le avrebbe potuto impartire, se non il Libro della Vita. Ovvero che non è possibile tornare indietro e che in quella foto non ci sarebbe mai potuta entrare. Ma, in un futuro lontano, quando nella sua mente di donna riafforò questo episodio d'infanzia, ella capì anche che il tempo - che sottrae la vita e gli affetti, e qualche volta persino i ricordi - offre a ciascuno innumerevoli possibilità di rimediare alle scelte mancate.

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