Nur01

Da Ortosociale.

Indice

Premessa

Per capire la religiosità, la spiritualità, il modo di ragionare, insomma la cultura dei nuragici bisogna conoscere il culto della Dea Madre praticato nel Neolitico e nell'età del Bronzo in tutta Europa e nel Medio Oriente, dal 8000 aC fino al 1500 aC circa. La differenza sostanziale con l'attuale modo di ragionare, diffuso ormai a livello planetario sta nel tipo di pensiero. L'attuale pensiero è “dicotomico” nel senso che esistono solo due alternative logiche una delle quali esclude l'altra: mors tua vita mea, anche a livello mentale. Ciò porta a giustificare la riduzione del femminile come puro oggetto riproduttivo, disprezzato e sfruttato dall'elemento maschile, lo schiavismo, la guerra, lo sfruttamento della natura senza limiti ed “autorizzato” dalla religione di divinità maschili. Il pensiero ispirato alla cultura della Dea Madre è invece un pensiero pacifico e più avanzato, nel senso che è dialettico: prevede ad esempio sia la vita che la morte ma prevede al tempo stesso il loro superamento nella “rinascita” prendendo spunto dai fenomeni ciclici della natura dove ogni forma di vita, esaurito il suo ciclo vitale, muore per poi ricomparire di nuovo. Per approfondire questa conoscenza bisogna leggere almeno il testo fondamentale di Riane Eisler “Il calice e la spada”, collana Saggi Frassinelli, editore Frassinelli. Tenendo presente questo modo di ragionare dialettico composto dalla triade in tesi-antitesi-sintesi, dove per sintesi si intende una nuova manifestazione del reale che contiene e RINNOVA le precedenti (tesi e antitesi), passiamo a considerare i due poli maschile e femminile. Si tratta di una tesi-antitesi sul piano cosmico. Sono due principi cosmici alla base di ogni teoria cosmogonica tradizionale. Nella spiritualità recente (chiamata dall'attuale papa, che ha lanciato contro di essa una specie di crociata, “sincretismo” ed il termine comunque può andare bene) la “unione” o sintesi di questi due principi è il passaggio fondamentale per rinnovare la società umana oltre che sè stessi. In altre parole è il punto centrale della nostra evoluzione umana e sociale. Per tornare al culto della Dea Madre cito Riane Eisler che si rifà alla archeologa che ha scoperto e studiato le centinaia di siti archeologici che testimoniano del culto della Dea Madre: Marija Gimbutas, The Goddesses and Gods of Old Europe 6500-3500 B.C., University of California Press, Berkeley and Los Angeles 1982, p217, “dove la Gimbutas nota che le statuette della Dea del VII e VI millennio a.C. hanno spesso colli lunghi e cilindrici, che ricordano un fallo, che c'erano anche raffigurazioni falliche sotto forma di semplici cilindri d'argilla, talvolta muniti di seno femminile, e che la combinazione di caratteristiche femminili e maschili in una stessa figura non cessò del tutto anche dopo il VI millennio a.C.” Significativamente il sottotitolo de “il calice e la spada” è : “Our History, our Future”. Da “Il Calice e la Spada. La nostra Storia, il nostro Futuro” di Riane Eisler. Pag.58: <E' altrettanto significativo che il toro e il bucranio, o corna di consacrazione, che hanno una posizione centrale nei templi neolitici dell'Anatolia, dell'Asia Minore, dell'Antica Europa e, successivamente, nelle immagini minoiche e micenee, siano simboli del principio maschile, proprio come le rappresentazioni di falli e cinghiali, che fanno la loro comparsa nel tardo Neolitico, soprattutto in Europa. Inoltre, alcune delle più antiche statuette della Dea non sono solamente un ibrido di caratteristiche umane e animali, ma spesso possiedono anche attributi, come i colli esageratamente lunghi, che possono essere interpretati come androgini. E naturalmente il giovane dio, il figlio-consorte della Dea, ha un ruolo costante nel miracolo principale della religione pre-patriarcale, il mistero della rigenerazione e della rinascita. Insomma, per quanto il principio femminile, come simbolo principale del miracolo della vita, permeasse l'ideologia e l'arte del Neolitico, è chiaro che anche quello maschile aveva un ruolo importante. La fusione di questi due principi, nei miti e nei rituali del Matrimonio Sacro, continuò a essere celebrata nel mondo antico, fino in epoca patriarcale inoltrata. Per esempio, nell'Anatolia ittita il grande tempio di Yazilikaya era consacrato a questo scopo. E persino successivamente, in Grecia e a Roma, la cerimonia sopravvisse nello hieros gamos>.

Nur, l'etimo

Una prima ipotesi dell'origine del nome "nuraghe" viene da Norace mitico fondatore di Nora, eroe della mitologia sarda, giunto sull'isola molto prima di Fenici alla guida di gruppi di Iberi. Una seconda rimanda alla radice fenicia di "nur", fuoco, ovvero dimora del fuoco o tempio del fuoco. Una terza ipotesi, la più accreditata, attribuisce alla stessa radice "nur" una origine da un antico linguaggio paleosardo o comunque da un linguaggio molto antico mediterraneo pre-indoeuropeo. In questa ipotesi la radice ha un significato bivalente di mucchio e di cavità. La parola "conterrebbe in sè la descrizione minima del nuraghe: un cumulo di pietre con uno spazio interno a forma di cupola(Gianmichele Lisai, "101 misteri della Sardegna (che non saranno mai risolti)" Newton Compton Editori, 2011, Roma). E' evidente l'assonanza tra il simbolo fallico del tronco di cono (l'esterno) e la forma vuota, oscura, misteriosa dell'utero (l'interno). La stessa simbologia di pieno (maschile) e di vuoto (femminile) la si trova nei quaranta pozzetti sacri, e nelle tombe dei giganti, dove l'esedra sta a significare una partoriente con le gambe divaricate e allo steso tempo una protome taurina di segno maschile (Gianmichele Lisai, op.cit.). Una ulteriore considerazione: è possibile unire nella evoluzione storica concreta il sovrapporsi delle due radici nur. Dall'antico paleosardo, dove nur significava l'originaria valenza maschile-femminile delle torri di pietra, ad una contaminazione fenicia di culti legati alla sacralità del fuoco e della luce.

Ipotesi

L'ipotesi che faccio è che il Nuraghe sia l'evoluzione del betile mammellato e che corrisponda ad un estremo tentativo di parificazione dei due principi, maschile e femminile, in un momento di forte tensione culturale in tutta l'area del Mediterraneo investito dalla cultura indoeuropea Kurgan (Ariani in India, Achei o Micenei in Grecia ed a Creta, Dori, Ittiti in Medio Oriente, Iranici, Sciti, Celti, Latini, ed anche se di ceppi diversi Unni, Mongoli, Ebrei). Per mantenere almeno parzialmente viva ed intatta la cultura della Dea Madre con tutta la sua organizzazione sociale matrilineare e matrilocale. I Nuraghi sarebbero quindi il simbolo rituale della fusione del principio cosmico femminile con il principio cosmico femminile. Fusione o meglio rapporto generativo secondo il principio naturale vita-morte-rinascita. Il Nuraghe all'esterno è il cono, simbolo fallico. All'interno è l'utero femminile, il grembo omni-generante della Dea. L'interno ha la cupola come i pozzetti sacri dei santuari nuragici. La porta o fessura è il passaggio alla vita quando si esce. La Dea che crea e partorisce i suoi figli: umani, animali, piante, acque, cielo e terra. E' invece il rientro nel grembo della Natura quando si entra attraverso la stretta fessura, uguale a quella delle tombe dei Giganti. Cioè quando si muore, per poi venir riemessi secondo il ciclo vita-morte-rinascita. E' importante sottolineare come la morte, al di là dell'idea di rinascita, significhi comunque il ritornare in un grembo materno, non significhi la cancellazione dal libro della vita, ma il rientrare nella Vita, nel suo lato oscuro. La piccola porta di ingresso/uscita delle Tombe dei Giganti, coeve ai Nuraghi, è stata interpretata come passaggio dalla vita alla morte (e viceversa). Il Toro è simbolo del principio maschile e le corna del toro altrettanto; l'esedra delle tombe dei giganti ha la forma di corna taurine. Presso ogni Nuraghe si trova una sorgente d'acqua o come a Barumini un vero e proprio pozzo. L'acqua è un simbolo del principio femminile, principio dominante ma non secondo la logica gerarchica dei Kurgan. I pozzetti sacri infatti hanno una forma che richiama il simbolo sessuale femminile. Nei pozzetti sacri si entra nel grembo della Dea attraverso l'acqua purificatrice, generatrice e rigeneratrice (morte,vita, rinascita). I cicli astronomici associati ai nuraghi sono un collegamento tra i cicli della Natura ed i cicli Cosmici. Il ciclo lunare ed il ciclo femminile sono parte integrante di questa cultura della Dea Madre. Il principio della spirale che fa parte della rampa di accesso a parecchi nuraghe è un altro importante simbolo della Dea. Il Nuraghe si può anche interpretare come “montagna sacra”, altro importante simbolo della Dea, più esattamente del corpo della Dea. Potrebbe intendersi come l'offerta del proprio corpo alle forze celesti cosmiche. L'eccezionale numero di Nuraghi in aree così limitate, come quello dei menhir nelle zone conosciute, corrisponde alla altrettanto eccezionale numerosità dei templi dedicati alla dea nella città di Catal Huyuk o di Creta stessa. Anche questa era una caratteristica del culto alla Dea. La “religione” era fusa armoniosomente con la vita quotidiana ed ogni momento ed attività erano “sacre”. Per riassumere questa prima indicazione: per capire i Nuraghe bisogna entrare in profondità nel modo di pensare e di vivere delle popolazioni che li hanno costruiti e che vivevano la cultura della Dea Madre. Una cultura molto diversa da quella che viviamo oggi. Una cultura che, con o senza la scienza attuale, conviene recuperare per la nostra sopravvivenza come specie.

I betili

Spesso di fronte alla facciata della tomba dei giganti è presente un piccolo menhir, chiamato in sardo betile. I betili, simboli fallici di fertilità, sono simili a piccoli coni di pietra sui quali talvolta sono scolpite piccole mammelle oppure due occhi: i betili mammellati simboleggiano la copulazione della divinità maschile e di quella femminile per riaccendere la vita ormai spenta nei defunti;[da notare la forma: piccoli coni di pietra! I nuraghi sono grandi coni di pietra! ndr] i betili con occhi rappresentano invece una divinità a guardia dei defunti... Quanto sopra è tratto da Nuraghi di Sardegna Il materiale di studio è stato commentato. Quello che segue è tratto sempre da Nuraghi di Sardegna Il testo in grassetto è una mia evidenziazione. Le mie note sono tra parentesi quadre [ ] pure loro in grassetto ma di colore rosso. “ndr” sta per “Nota del Redattore”.

Sardegna Pre-nuragica 3500 - 2700 aC LA CULTURA DI OZIERI

Intorno al 3500 a.C. si diffondono su tutto il territorio della Sardegna, nuovi valori culturali. Cambiano le abitudini dei sardi, il loro sentire si traduce in forme nuove ed originali. E' l'inizio del lungo cammino della Cultura di Ozieri, la prima grande cultura sarda. Gli scavi hanno restituito manufatti mai visti in Sardegna prima di quel periodo: vasi come la pisside e il tripode, finemente decorati con motivi incisi o impressi sull'argilla e spesso colorati con ocra rossa o pasta bianca. Sono manufatti esotici per la Sardegna del Neolitico, ma sono forme tipiche del Mediterraneo Orientale, delle isole Greche. L'origine della cultura di Ozieri è, infatti, orientale: queste somiglianze, questi segni culturali che si ritrovano in terre così lontane, dimostrano quanto frequenti dovessero essere le relazioni fra i popoli neolitici del Mediterraneo. Gli uomini della cultura di Ozieri vivevano nei villaggi: costruivano le loro case con un muro di pietra, alla base, sul quale poggiava una struttura di legno e di frasche. Ciò che rimane di questi antichi villaggi, le tracce delle capanne, è ancora visibile nelle località di San Gemiliano di Sestu, presso Cagliari e Cuccuru is Arrius, presso Cabras. La materia usata per fabbricare le punte di freccia, le lame e le accette era sempre la pietra, ossidiana, selce, ma gli uomini di Ozieri avevano imparato a lavorarla abilmente. Questa elevata perizia manuale, la raffinatezza e il gusto per la decorazione nei manufatti ceramici, ci descrivono comunità con un'organizzazione sociale già avanzata, nelle quali era presente una primitiva divisione del lavoro. Questi uomini che amavano gli oggetti raffinati e le decorazioni, hanno lasciato il segno più spettacolare della loro idea della vita nelle costruzioni destinate ad accogliere i morti. I loro sepolcri, disseminati un po' dovunque nell'isola, sono di tre tipi: i sepolcri ipogeici, quelli megalitici e le sepolture a circolo. Le sepolture Le domus de janas I sepolcri ipogeici, chiamati in sardo domus de janas ( It. case delle fate), sono più di mille, diffusi su tutto il territorio: si tratta di vere e proprie grotte artificiali scavate nella roccia, utilizzate come tombe collettive. Alcune hanno un unico semplice vano, altre hanno struttura complessa con più stanze collegate fra loro. Si trovano isolate, ma spesso sono riunite in necropoli come quella di S. Andrea Priu, nei dintorni di Bonorva (SS), di Anghelu Rujiu, presso Alghero (SS), di Pani Loriga, presso Santadi (CA). Sulle pareti interne di alcune domus de janas, gli uomini di Ozieri riprodussero, scolpendoli nella roccia, gli elementi architettonici delle loro case e gli oggetti quotidiani della loro vita: così ancora oggi sono visibili dettagli di tetti, barche, porte finte, banconi e letti, quasi a simboleggiare la profonda continuità tra la vita su questa terra e la vita oltre la morte. Talvolta, scolpite sulle pareti interne delle tombe, compaiono teste e corna taurine, oppure enigmatici cerchielli: sono i simboli del Dio Padre e della Dea Madre, i simboli dell'elemento maschile e di quello femminile, le due forze cosmiche generatrici di vita. [Ragionando in modo “dicotomico” spiega male la cultura della Dea Madre che si basava sul ciclo eterno di vita-morte-rinascita osservato nella natura ndr].

Dea Madre di Senorbì

A Senorbì, in località Turriga, ci sono i resti del villaggio preistorico di Turriga, realizzato nel periodo della cultura di Ozieri, tra il 4000 ed il 3200 a.C., e riutilizzato poi in epoca successiva. Senorbì-Turriga: statua della dea Madre. Al suo interno è stata ritrovata, nel 1935, dentro un cerchio di pietre, la celebre statuina di divinità femminile in marmo alta 42 centimetri, di schema geometrico cruciforme, intitolata alla Dea Madre, che è possibile ammirare al Museo Archeologico Nazionale di Cagliari. Abbiamo circa una trentina di esemplari di questo tipo, ma questa di Senorbì è la maggiore per dimensioni e la più curata nell'esecuzione dei particolari. La M.Gimbutas la definiva la Dea della Morte per le sue caratteristiche iconografiche. Secondo l'archeologa lituana la Dea della Nascita e la Dea della Morte coincidevano.

Dea Madre di Senorbì
I dolmen

I sepolcri megalitici, chiamati dolmen (dal bretone tol=tavola + men=pietra), sono diffusi soprattutto nella zona centro settentrionale della Sardegna: si tratta di sepolture monumentali costituite da tre grosse pietre, o più, piantate verticalmente nel terreno che sorreggono un masso disposto orizzontalmente. I dolmen sono concentrati nelle campagne dei paesi di Arzachena, Olbia, Luras, tutti in provincia di Sassari, ma sono frequenti anche in altre zone: a Mores (SS) degno di nota è il dolmen "Sa Coveccada", molto ben conservato; a Dorgali è il dolmen di "Motorra" a pianta più allungata.

I circoli

Le tombe del tipo "a circolo" furono edificate solo in una ristretta area dell'isola, cioè nelle campagne di Arzachena (SS), in zona Li Muri.. I "circoli" sono fatti in questo modo: un certo numero di pietre, fitte verticalmente nel terreno, delimitano un'area al centro della quale, in alcuni casi, ma non in tutti, sta una cassetta di pietra di forma quadrangolare. Secondo Giovanni Lilliu, il padre dell'archeologia sarda, il defunto era collocato all'interno del circolo perché le sue membra fossero scarnificate dall'azione degli agenti atmosferici; una volta scarnificate, le ossa del defunto erano deposte all'interno della cassetta collocata al centro del circolo. La presenza dei circoli nella sola area di Arzachena, aveva portato gli archeologi a ritenere che fossero espressione di un'altra cultura, diversa dalla Cultura di Ozieri, chiamata Cultura dei Circoli. Oggi gli archeologi ritengono che i circoli di Li Muri siano stati edificati da uomini di cultura Ozieri: non devono stupire le diversità locali all'interno di un unico contesto culturale anzi, sono un segno della complessità e della vitalità delle antiche società sarde.

La religiosità

Il ciclico alternarsi della vita e della morte, la nascita di una nuova vita come risultato dell'unione dell'elemento maschile e di quello femminile stavano alla radice della religiosità di quegli uomini. Infatti le divinità Dio-Padre e Dea-Madre erano diffusamente rappresentate, attraverso i simboli delle corna taurine e dei cerchielli, all'interno delle domus de janas, oppure, in maniera più evidente, attraverso i menhir (dal bretone men=pietra + hir=lungo, lett. pietra lunga). [Mistifica e confonde. Secondo Riane Eisler e Marjia Gimbutas le corna taurine non erano simboli di un culto del Dio-Padre ma erano il principio maschile all'interno del culto della Dea Madre. Il culto della dea Madre è stato sostituito da quello patriarcale di un dio come quello descritto nella Bibbia ndr]

I menhir

In sardo i menhir hanno il nome di "pedras fittas": sono grandi massi, alti fino a tre metri, piantati nel terreno; si trovano in diverse zone della Sardegna ma sono concentrati prevalentemente in Barbagia. La pietra di alcuni menhir non presenta alcun segno, nessun simbolo vi è scolpito: sono questi le icone del fallo maschile, uno dei due principi cosmici ; su altri invece gli uomini di Ozieri scolpirono i segni espliciti della Dea-Madre, le mammelle, simbolo femminile di fecondità e di vita. A Li Muri un menhir "femminile" con tre concavità mammellari marca, isolato, il complesso, a custodia dei defunti.[Si tratta del “betile mammellato” presente anche nel santuario nuragico antico di S.Vittoria di Serri ndr] A Goni (CA) nella zona di Pranu Mutteddu i menhir allineati in lunghe file sono inseriti in un'area ricca di Domus de Janas e di vestigia del Neolitico. Isolati o in gruppo questi rozzi monoliti sembra che abbiano inchiodato, alla madre-terra Sardegna, il tempo arcaico nel quale furono eretti. Gli uomini di Ozieri adoravano la Dea Madre, come i loro predecessori neolitici. La rappresentarono attraverso statuine di marmo e di argilla: le forme lineari e geometriche, rimandano alle piccole statuine delle isole egee, testimoniando, ancora una volta, la vicinanza culturale fra l'Oriente e l'Occidente del Mediterraneo. Verso il 2700 a.C. muta il clima socio culturale in Sardegna. [Se adoravano la Dea Madre avevano una cultura pacifica volta a valorizzare e godere la vita anzichè a distruggerla. Ndr] Nel periodo finale della Cultura di Ozieri già sono evidenti i segni di questo mutamento: uomini che per secoli avevano decorato le loro ceramiche, perdono il gusto per l'ornato e dai loro vasi scompaiono le decorazioni.

Le età del Bronzo Recente e Finale sono le più significative per la civiltà nuragica, segnate da un lato dal fiorire di numerosissime strutture architettoniche (nuraghi, villaggi, tombe di giganti, templi a pozzo ) dall'altro dal raffinarsi della produzione ceramica e dall'ampio sviluppo della metallurgia.

Sono di questo periodo i numerosi esemplari di modellini di nuraghe in pietra, argilla e bronzo che costituiscono un importante documento per la ricostruzione globale di questo significativo monumento. [il fatto che esistano i modellini fa pensare che non si trattasse di costruzioni militari. Come le statuine delle dee, le immagini votive, i bronzetti, etc, anche i modellini i nuraghe, in quanto rappresentazioni, indicano che l'oggetto è sacro o relativo ad un culto. ndr]

Sardegna Pre-nuragica 2500 - 1800 aC LE CULTURE DI MONTE CLARO E DEL VASO CAMPANIFORME

Al 2500 a.C. risalgono i primi reperti che testimoniano la nascita di un'altra Cultura preistorica sarda, la Cultura di Monte Claro, dal nome di un colle della città di Cagliari. I vasi prodotti dagli uomini di Monte Claro hanno forma cilindrica, grandi dimensioni e sono decorati seppur semplicemente. In questo periodo vengono innalzate per la prima volta in Sardegna alcune muraglie megalitiche ancora oggi visibili, per esempio a Monte Baranta, presso Olmedo. Queste costruzioni testimonierebbero un clima di insicurezza; gli uomini della Cultura di Monte Claro sentivano evidentemente l'esigenza di difendersi forse da un nemico esterno o forse le tribù sarde entrarono per qualche motivo in conflitto fra loro. [La Riane Eisler sostiene che non bisogna considerare le culture matrilineari basate sul culto della Dea Madre delle società utopistiche, ma società di persone reali in carne ed ossa, con tutti i loro aspetti positivi e negativi, compresa una certa dose di violenza. Nel complesso però, proprio per la filosofia di vita che li ispirava, erano società “mutuali”, e non “dominatore”. Soprattutto erano società ugualitarie con un aspetto che riguardava il fondamentale rapporto tra i due sessi: si trattava di un rapporto di collaborazione. Da tenere presente che già da circa 2000 anni si stavano diffondendo le culture indoeuropee bellicose dei “kurgan” provenienti dalle steppe del Ponto. ndr]

La Cultura del vaso campaniforme

Verso il 2000 a.C. la Sardegna venne interessata dalla corrente culturale campaniforme che ebbe ampia diffusione in tutta l'Europa centro-occidentale. Lo capiamo perché anche in Sardegna inizia a essere fabbricato il tipico bicchiere di ceramica, con forma a campana che dà il nome alla cultura. I Protosardi continuano anche in queste fasi ad utilizzare le necropoli a domus de janas per le loro sepolture. Gli uomini della Cultura del vaso campaniforme erano bellicosi come testimoniano i caratteristici brassard ( bracciali da arciere ) ritrovati nelle tombe insieme alle caratteristiche collane di conchiglie. [Da verificare. Le conchiglie in genere sono un importante indizio del culto della Dea Madre, soprattutto quelle con una determinata forma come quelle a forma di vagina del rifugio di Cro-Magnon a Les Eyzies in Francia. Così pure l'uso della ocra rossa. ndr]

Sardegna Pre-nuragica 1800 - 1600 aC LA CULTURA DI BONNANNARO

Nel Bronzo antico (1800-1600 a.C.) nasce e si diffonde in Sardegna la cultura di Bonnannaro. I Bonnannaro sono i precursori dei nuragici, soprattutto nell'indole, aspra, più votata alla guerra che alla celebrazionee della vita [da dimostrare. ndr]: le loro ceramiche, di varia foggia, sono del tutto inornate e sia l'impasto che le forme sono di scarsa fattura.

Continua sporadicamente l'uso del brassard e delle collane di conchiglie sono molto rari invece gli elementi in metallo, anche se è stato ritrovato un ricco corredo di armi in una domus de janas. [probabilmente un caso molto isolato. ndr] La cultura di Bonnannaro segna gli albori dell'era del Bronzo, l'era del popolo dei nuraghi che lascerà nell'isola l'impronta più profonda.

Sardegna Nuragica 1600 - 800 aC LA CIVILTA' NURAGICA

Società, villaggi, religione e culto dei morti

La società

I nuragici avevano un'unità etnico culturale molto forte, però erano organizzati in tribù e le tribù in clan. Erano pastori erranti, anche agricoltori, ma soprattutto pastori: le società pastorali sono storicamente guerriere, portate allo scontro e alla divisione più che all'unione perché il pastore ha sempre bisogno di pascoli liberi per i suoi armenti e per procurarseli entra in conflitto con i suoi vicini. Così non dovevano essere rari gli scontri fra le diverse tribù, o persino fra clan. Un popolo di pastori dunque, organizzati in piccole comunità fortemente gerarchizzate, a capo delle quali stava un re-pastore, un capo tribù che deteneva i massimi poteri religiosi, politici e militari. [E' la teoria di Lilliu. E' solo una volgare proiezione, illecita a livello scientifico, di uno stereotipo mentale bellicista. Da smontare. La Riane Eisler fa notare in molti passaggi del suo libro quanto il pregiudizio maschilista o il modo di ragionare dicotomico abbiano fuorviato la ricerca archeologica, antropologica ed anche biologica. ndr]

I Villaggi

Il re-pastore viveva nel nuraghe, [assurdo! ndr] la sacra dimora fortezza [assurdo! ndr]e intorno al nuraghe sorgeva il villaggio. Le abitazioni dei sudditi non erano nuraghi bensì capanne a pianta circolare [quindi i “sudditi vivevano più comodi del “re”-pastore! ndr] con alla base un muro in pietra a secco e una copertura a cono di legno e frasche o in pietra. Ancora oggi, anche se sempre di meno, i pastori costruiscono questo tipo di capanne; in sardo si chiamano pinnettas. L'esempio più eloquente di come doveva essere un villaggio nuragico è visibile a Barumini (CA) [ricostruito in modo forzato da Lilliu secondo le sue teorie militariste ndr]dove intorno alla maestosa reggia nuragica [assurdo! ndr] si sviluppa un complesso agglomerato di capanne, recinti e costruzioni di vario tipo. Queste comunità, clan e tribù, spesso in conflitto [cosa lo indica? Non ci sono segni di incendi, di fortificazioni come quelle dei Galli, di morti violenti. ndr] o comunque divise erano pur sempre unite dal medesimo sentire culturale, morale, religioso.[Contraddizione ndr] C'erano occasioni nelle quali la profonda unità spirituale diventava anche unità politica: i santuari nuragici sono il segno di questa unità.[Quindi erano uniti e non divisi da guerre come si sostiene in precedenza. Non solo ma non ci sono segni di differenze sociali nelle abitazioni o nei corredi funerarii ndr]

La Religione

I santuari

I santuari, realizzati fra il 1300 a.C. e il 900 a.C., sono complessi comprendenti costruzioni di diverso tipo, destinate a scopi diversi: templi sacri, grandi rotonde per le assemblee politiche, ampli spazi recintati per gli affari e le contrattazioni, capanne per gli artigiani e capanne per il riposo dei convenuti. Tutto questo fa pensare che nei santuari si svolgessero grandi adunate nelle quali diverse tribù si ritrovavano insieme in occasione di eventi religiosi.[come facevano anche gli etruschi, i quali comunque non si combattevano tra di loro ma anzi erano abbastanza uniti polticamente e molto uniti dallla medesima cultura sacra. Ricordate lo “strano” rispetto e l'alta considerazione sociale di cui godevano le donne tra gli etruschi?ndr] Presso i santuari nuragici è usuale, oggigiorno, che ci siano chiese campestri, nei pressi delle quali, in occasione di feste religiose cattoliche, si svolgono fiere: allora, accanto ai pellegrini si trovano i mercanti, i venditori di bestiame, gli artigiani e un numero di venditori di leccornie di ogni genere; non mancano i "cantadores" e i suonatori di launeddas (un tipico strumento sardo) o di organetto. Questo accade oggi, ma non sembra azzardato immaginare che qualcosa di simile dovessero essere le grandi adunate nuragiche [Nella cultura della Dea Madre ogni occasione di incontro era sia religiosa che di festa collettiva con musica, sport, danza e canti. La vita era fusa con il sacro ma sempre su un tono di gioiosità, grazia, armonia, godimento della natura. Come a creta minoica. Siamo ben lonatni dalle cupe atmosfere di guerra continua descritte da Lilliu. ndr ]

I templi a pozzo

La costruzione più importante del santuario era il tempio a pozzo dove si svolgevano le cerimonie legate al culto delle acque. I nuragici, infatti, avevano una religiosità di tipo naturalistico fondata sull'adorazione degli elementi della Natura, considerati come contenenti lo spirito divino: erano oggetto di culto le pietre, gli alberi e particolarmente radicato era il culto dell'acqua, piovana o sorgiva, considerata preziosa in una terra arida come la Sardegna.[E' il culto della Dea Madre come emerge in seguito ndr]I templi a pozzo hanno una struttura composta di tre parti essenziali: il vano di ingresso, al livello del suolo, la scala che scende nel terreno e il vano interrato, con la volta a falsa cupola. Sul fondo del vano interrato, ai piedi della scala c'è la fonte sacra. In superficie un recinto di pietre delimita l'area sacra.[sono un chiaro simbolo sessuale femminale ndr] In Sardegna esistono circa 40 templi a pozzo: notevoli sono quello del santuario di Sta. Vittoria di Serri (CA), quello del santuario di Sta. Cristina di Paulilatino (OR) e il pozzo sacro Su Tempiesu presso Orune (NU), che si discosta un po' dalla struttura classica. I tempietti a pianta rettangolare scoperti a Serra Orrios, preso Dorgali (NU), a Sos Nurattolos, presso Alà Dei Sardi (SS), a Cuccureddì, presso Esterzili (NU) erano sicuramente luoghi di culto, ma non conosciamo la divinità che vi si adorava. Un altro tipo di culto era quello in grotta [le grotte sono un altro simbolo del grembo materno della Dea, l'utero cosmico che ha generato uomini, animali, piante, acque, cielo e terra. ndr]: nella grotta di Su Benatzu a Santadi (CA), dove sono stati ritrovati numerosi ex-voto, una stalagmite fungeva da altare e poco lontano c'era il focolare sacrificale; probabilmente si venerava una divinità sotterranea. La Dea Madre e il Dio Toro.[Siamo in un epoca in cui il culto della Dea Madre era ormai estinto in quasi tutta l'Europa ed il MedioOriente. Mentre all'origine era la Dea come principio femminile a generare il Toro come principio maschile, ora è possibile che si vada modificando l'assetto religioso e spirituale. La predominanza e la presenza del principio femminile rimangono comunque significativi. ndr ] Oltre al culto delle acque[il culto delle acque era uno dei principali riti indirizzati alla Dea Madre ndr] i nuragici continuarono a praticare il culto della Dea Madre e del Dio Toro, potente coppia divina già oggetto di adorazione in età prenuragica. Il Dio Toro e la Dea Madre, simboli di fecondità, rappresentavano per i nuragici l'essenza del divenire del loro universo, le due forze che unendosi generano la vita. [A Creta è raffigurata la Dea Madre che partorisce un toro, simbolo del principio maschile. E' sempre comunque l'elemento femminile ad essere il centro del culto ndr ]

Il Culto dei Morti - Le tombe dei giganti

Il culto dei morti era essenzialmente fondato sulla coppia divina Dea Madre-Dio Toro e a questo sentire il popolo dei nuraghi diede forma nelle arcaiche e solenni architetture delle tombe monumentali: le tombe dei giganti. Questo è il nome che in Sardegna hanno i sepolcri collettivi monumentali del periodo nuragico e nasce dalla credenza che tombe tanto grandi potessero servire solo a tumulare uomini giganteschi. La tomba dei giganti ha una facciata semicircolare a forma di corna taurine, costituita da lastroni di pietra affiancati e confitti verticalmente nel terreno, oppure da un muro di grossi massi. Al centro della facciata semicircolare c'è una grande stele monolitica che reca, in basso, una porticina d'accesso alla tomba. Lungo il semicerchio, all'esterno, ci sono alcuni sedili in pietra sui quali dormivano i parenti dei sepolti per comunicare con i loro cari attraverso i sogni: era questa la pratica dell'incubazione (dal latino incubo = dormo). Tra le tombe dei giganti meglio conservate ricordiamo quella colossale di Li Muri, presso Arzachena (SS) e quella di Is Concias, presso Quartucciu (CA). I nuragici comunque continuarono anche ad usare gli antichi tipi di sepolture come le domus de janas o le tombe a corridoio tra le quali degna di nota è quella di Sa Corte Noa, presso Laconi (NU).

I betili

Spesso di fronte alla facciata della tomba dei giganti è presente un piccolo menhir, chiamato in sardo betile. I betili, simboli fallici di fertilità, sono simili a piccoli coni di pietra sui quali talvolta sono scolpite piccole mammelle oppure due occhi: i betili mammellati simboleggiano la copulazione della divinità maschile e di quella femminile per riaccendere la vita ormai spenta nei defunti;[da notare la forma: piccoli coni di pietra!I nuraghi sono grandi coni di pietra! ndr] i betili con occhi rappresentano invece una divinità a guardia dei defunti

Tali bronzetti rappresentano persone, patriarchi o capi villaggio, guerrieri, sacerdoti e sacerdotesse, portatori e portatrici d'offerte, madri con figli in grembo, adoranti, musicanti, lottatori, tutte con i costumi propri; animali, buoi, mufloni, cervi, maiali, pecore e capre, una volpe, una scimmia. Pochissime sono invece le figure fantastiche: guerrieri con quattr'occhi e quattro braccia ed un dio-toro con il viso umano.

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