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Da Ortosociale.

Luttazzi e l’idea maschile del coito (anale e non) come atto sopraffattorio
La tanto decantata vena satirica di Luttazzi nei confronti dei potenti non intacca il loro concetto mercenario di sessualità
Secondo me bisogna ringraziare Luttazzi per aver messo in scena in modo esemplare l’idea maschile di sessualità, associata in modo tanto inestricabile quanto inopportuno all’idea di dominio. Presentato come metafora del servilismo imperante il coito anale diventa, al di là di ogni ragionevole dubbio, un’azione in sé sopraffattoria che si concreta di fatto in uno stupro, non importa se sia agito fra due individui consenzienti o no.

Il comico si è limitato a rappresentare, rafforzandola, l’idea corrente di rapporto anale quale sinonimo di “fregatura”, che esclude in radice lo scambio paritario fra partners, poiché prevede un dominatore e un dominato. Come si vede la tanto decantata vena satirica di Luttazzi nei confronti dei potenti non intacca il loro concetto mercenario di sessualità, anzi lo valida in pieno anche quando parla di “troie” anziché di “escort”, volendo contrabbandare la sostituzione di un termine con l’altro come atto di chiarezza dovuto.

A parte il fatto che le prostitute, essendo esseri umani, meritano rispetto, i termini “troia, puttana, zoccola” a loro indirizzati, in assenza di termini altrettanto sprezzanti per definire gli uomini che a loro si accompagnano, appaiono sostanzialmente ingiusti e insensati, tanto più se si considera il fatto che gli uomini non sono solo i fruitori, ma sono i creatori della prostituzione. Il cosiddetto mestiere più antico del mondo, infatti, è comparso tardivamente nella storia della nostra specie, essendo frutto del patriarcato autoritario che nella sua spasmodica ricerca di dominio reifica i viventi, anche quelli umani.

Basti pensare quanto sia smodatamente diffusa la prostituzione per rendersi conto che, in genere, per il maschio umano la sessualità è un meccanismo masturbatorio in cui l’altra persona ha la sola funzione di assicurargli l’esercizio del potere. Non è un caso se il temine più usato per indicare l’atto sessuale (anche quello non anale) sia fottere” che, in senso figurato, significa “ingannare, imbrogliare o anche sopraffare, ridurre all’impotenza”.

Lungi dal considerare il rapporto sessuale in tutte le sue forme come un dare e avere reciproco, come uno scambio di piacevoli emozioni, il maschio ha bisogno di occuparvi una posizione dominante, spia di una profonda debolezza che richiede un “valore aggiunto”. In quest’ottica trova spiegazione anche la vergognosa pratica della pedofilia, altrimenti incomprensibile: i bambini, infatti si prestano meglio delle donne all’uso e all’abuso all’interno di una sessualità assimilata al controllo e al dominio.

Ma cosificare le persone, ridurle a puro mezzo per soddisfare il proprio desiderio di potere, si può solo se non si è in grado di “riconoscerle”, di provare empatia, e siccome l’ossessiva ricerca di potere in tutte le sue forme è il segno distintivo delle comunità patrifocali, indubbiamente gli uomini non possiedono in genere tali capacità. L’ennesimo maldestro tentativo di celebrare la potenza del fallo si rivela per quello che è: la manifestazione plateale di una intima, strutturale impotenza. E’ ora di prenderne atto.

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