Fe24
Da Ortosociale.
Un mondo nonviolento è possibile?
di Angela Giuffrida
La domanda se un mondo nonviolento sia davvero possibile non puo' trovare
risposte soddisfacenti se non si riflette adeguatamente sul fatto che la
violenza riguarda la struttura stessa delle comunita' patricentriche,
"pensate" appositamente per realizzare una particolare idea di potere,
inteso come dominio. Per definire la nonviolenza cosi' scrive Francesca
Ciarallo nel suo intervento a proposito del 2 ottobre (in "Nonviolenza.
Femminile plurale", n. 211): "(nonviolenza) e' condivisione. Se vedi non
puoi far finta di nulla. Se vivi con l'altro non puoi non fartene carico.
Solo condividendo la nonviolenza diventa una scelta obbligata". Secondo me
la definizione e' corretta, ma se la violenza continua a dilagare
indisturbata, guadagnando terreno, forse bisogna soffermarsi ulteriormente e
prendere atto che "vedere" non equivale al semplice guardare e che non e'
sufficiente vivere con l'altro per farsene carico, altrimenti perche' tanti
uomini ucciderebbero cosi' spesso le donne con cui convivono o hanno
convissuto e "perche' i soldi rubati dalla casta dei politici ci indignano
piu' delle vite stroncate dalle azioni militari che hanno deliberato?"
(Carlo Gubitosa, in "Minime" n. 596). E ancora, come mai "il potere che
distrugge e saccheggia il mondo, che considera merce le persone e rifiuto i
poveri" (Antonella Litta, in "Minime" 595) continua ad imperversare? Come
mai si stenta a capire che nulla, neanche "il miglior governo del mondo"
puo' valere "una vita umana" (Norma Bertullacelli, ibidem)? Come mai una
specie di viventi quali noi siamo invece di sacralizzare la vita sacralizza
la distruzione e la morte, lavorando alacremente alla costruzione di "un
mondo necrofilo, nel quale la morte viene programmata e le cose stesse
nascono gia' morte dalle mani dei mercanti" (Aldo Antonelli, ibidem)?
Assimilare le persone alle cose, anteporre il potere alla vita, percepirsi
come atomi isolati non evidenzia preoccupanti deficit cognitivi su cui
dovrebbe focalizzarsi prioritariamente la nostra attenzione? E' chiaro come
la luce del sole che una persona, o in genere un vivente qualunque, eccede
di gran lunga una cosa inanimata, che il potere lo si puo' conseguire solo
se si e' vivi e tali si resta, che qualsiasi vivente esiste e si mantiene in
vita proprio grazie alla connessione; una mente che non "vede" tutto questo
ha percio' seri problemi di cui dovremmo prima di tutto occuparci, tenuto
anche conto del fatto indiscutibile che i tentativi rivoluzionari fin qui
agiti hanno finito per riprodurre lo stesso irrazionale oblio della vita, la
stessa insensata riduzione di una realta' complessa a coppie di contrari in
eterno conflitto. Mi chiedo come mai risulti cosi' difficile attribuire al
pensiero unico dominante - che intride in ogni sua parte il vivere sia
pubblico che privato - la responsabilita' di aver trasformato in un inferno
la vita sulla terra, e alla mente delle donne - che nella quasi totalita'
"sanno spendersi per una buona ragione senza guadagnarci niente" (Antonella
Litta, ibidem) - qualita' cognitive di prim'ordine quali apertura, capienza,
visualizzazione dei nessi, le sole in grado di impedire alla violenza di
manifestarsi.