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Da Ortosociale.

Un mondo nonviolento è possibile?
di Angela Giuffrida
La domanda se un mondo nonviolento sia davvero possibile non puo' trovare risposte soddisfacenti se non si riflette adeguatamente sul fatto che la violenza riguarda la struttura stessa delle comunita' patricentriche, "pensate" appositamente per realizzare una particolare idea di potere, inteso come dominio. Per definire la nonviolenza cosi' scrive Francesca Ciarallo nel suo intervento a proposito del 2 ottobre (in "Nonviolenza. Femminile plurale", n. 211): "(nonviolenza) e' condivisione. Se vedi non puoi far finta di nulla. Se vivi con l'altro non puoi non fartene carico. Solo condividendo la nonviolenza diventa una scelta obbligata". Secondo me la definizione e' corretta, ma se la violenza continua a dilagare indisturbata, guadagnando terreno, forse bisogna soffermarsi ulteriormente e prendere atto che "vedere" non equivale al semplice guardare e che non e' sufficiente vivere con l'altro per farsene carico, altrimenti perche' tanti uomini ucciderebbero cosi' spesso le donne con cui convivono o hanno convissuto e "perche' i soldi rubati dalla casta dei politici ci indignano piu' delle vite stroncate dalle azioni militari che hanno deliberato?" (Carlo Gubitosa, in "Minime" n. 596). E ancora, come mai "il potere che distrugge e saccheggia il mondo, che considera merce le persone e rifiuto i poveri" (Antonella Litta, in "Minime" 595) continua ad imperversare? Come mai si stenta a capire che nulla, neanche "il miglior governo del mondo" puo' valere "una vita umana" (Norma Bertullacelli, ibidem)? Come mai una specie di viventi quali noi siamo invece di sacralizzare la vita sacralizza la distruzione e la morte, lavorando alacremente alla costruzione di "un mondo necrofilo, nel quale la morte viene programmata e le cose stesse nascono gia' morte dalle mani dei mercanti" (Aldo Antonelli, ibidem)? Assimilare le persone alle cose, anteporre il potere alla vita, percepirsi come atomi isolati non evidenzia preoccupanti deficit cognitivi su cui dovrebbe focalizzarsi prioritariamente la nostra attenzione? E' chiaro come la luce del sole che una persona, o in genere un vivente qualunque, eccede di gran lunga una cosa inanimata, che il potere lo si puo' conseguire solo se si e' vivi e tali si resta, che qualsiasi vivente esiste e si mantiene in vita proprio grazie alla connessione; una mente che non "vede" tutto questo ha percio' seri problemi di cui dovremmo prima di tutto occuparci, tenuto anche conto del fatto indiscutibile che i tentativi rivoluzionari fin qui agiti hanno finito per riprodurre lo stesso irrazionale oblio della vita, la stessa insensata riduzione di una realta' complessa a coppie di contrari in eterno conflitto. Mi chiedo come mai risulti cosi' difficile attribuire al pensiero unico dominante - che intride in ogni sua parte il vivere sia pubblico che privato - la responsabilita' di aver trasformato in un inferno la vita sulla terra, e alla mente delle donne - che nella quasi totalita' "sanno spendersi per una buona ragione senza guadagnarci niente" (Antonella Litta, ibidem) - qualita' cognitive di prim'ordine quali apertura, capienza, visualizzazione dei nessi, le sole in grado di impedire alla violenza di manifestarsi.

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