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Da Ortosociale.

Sul silenzio delle donne
di Angela Giuffrida
Il grande silenzio delle donne, sottolineato da Lea Melandri, ma visibile ad occhio nudo da tutte e tutti, dipende, secondo me, dalla loro permanenza nel sistema di pensiero che governa il mondo. Se "i diversi femminismi... riproducono nel loro insieme quel mosaico o quella babele che e' la societa' attuale", se "le differenze, all'interno del femminismo, si sono moltiplicate ma stanno sullo stesso piano di realta'", omologate da "una cultura che ha integrato nuovi contenuti ma che conserva in parte il suo impianto tradizionale, le sue cancellazioni, le sue cesure, rispetto alla soggettivita' incarnata", vuol dire che il femminismo, nelle sue diverse forme, rimane interno ad un apparato concettuale che mostra ormai scopertamente la sua inadeguatezza ad interpretare l'umano in particolare, il vivente in generale. Ci troviamo in un vicolo cieco perche' la razionalita' maschile, imposta come l'unica possibile, non riesce a dare risposte significative ai numerosi problemi che affliggono la nostra specie, di cui, per la massima parte, e' direttamente responsabile. Da questo punto di vista la voce maschile e' muta, risolvendosi nella "chiacchiera" di heideggeriana memoria. La causa della macroscopica contraddizione tra gli innumerevoli e intelligentissimi contributi provenienti da donne di tutto il mondo e la loro irrilevanza nelle comunita' androcratiche, va ricercata non solo, com'e' giusto, nella tenace resistenza degli uomini ad un possibile empowerment femminile, ma anche nell'uso dei paradigmi interpretativi maschili che, presentati come universali, informano anche i pensieri e i discorsi delle donne. Vorrei fare un esempio che, mi pare, sia esplicativo di quanto vado affermando. Dopo i fatti di Abu Ghraib si e' sviluppato un acceso dibattito attorno alla violenza femminile, concretatosi nella polarizzazione di due concetti astratti, la bonta' e la cattiveria, secondo il tipico approccio maschile che assolutizza i dati, isolandoli dal contesto e opponendoli. All'interno di questi meccanismi che, fornendo un'immagine eccessivamente semplificata della realta', la rendono praticamente invisibile, e' impossibile trovare soluzioni sensate ai problemi. Infatti, solo se si considera la bonta' come un dono elargito alle donne gratuitamente e una volta per tutte da una natura benevola, ci si puo' meravigliare che in comunita' centrate sul dominio, inneggianti alla bellezza della guerra, alcune donne non sviluppino in modo adeguato quelle caratteristiche che sono la sostanza stessa della civilta'. Viceversa, non e' difficile capire che l'incivilimento della mente non e' un acquisto definitivo e sicuro se lo si considera un processo lento, faticoso e mai concluso, derivante da particolari e concrete esperienze. Allo stesso meccanismo semplificatorio e' dovuto il rifiuto di riconoscere che gli aspetti positivi che ineriscono alla persona e alle attivita' femminili sono ridondanti rispetto alle contraddizioni, ai limiti, agli inevitabili errori e che proprio la preminenza di tali aspetti dimostra l'acquisizione da parte della maggior parte delle donne di conoscenze fondamentali e irrinunciabili per una gestione razionale delle societa' umane. Il riconoscimento dell'altro, la comprensione del valore della vita e della sua unicita' contraddistinguono senza alcun dubbio l'operosita' quotidiana della stragrande maggioranza delle donne nel mondo. Ma l'aspetto piu' qualificante di tale operosita' e' che non pone condizioni di sorta, non chiede nulla in cambio; e' proprio questo disinteresse, indice di grandezza d'animo, che, paragonato al punto di vista interessato - umano troppo umano - attorno a cui si struttura in genere il fare maschile, situa le donne in un'altra dimensione. Ma le donne sono ben lontane dal riconoscersi meriti di sorta, anzi rifiutano con decisione la "bonta'" che viene attribuita loro perche', ancora una volta, la interpretano in chiave maschile come una debolezza, non come una forza quale in effetti e'. Ileana Montini in un intervento sul n. 827 di questo foglio dimostra la veridicita' delle mie argomentazioni: "Inchiodare le donne nell'aura della perfezione-santita', della naturale, presunta innata, nonviolenza, mentre gli uomini sarebbero, altrettanto naturalmente, inchiodati alla esplicitazione della violenza e dell'ideologia, vuol dire confermare indirettamente che l'esercizio del potere con la p maiuscola, quello che fa andare avanti le societa', e che richiede forza, coraggio e un po' anche di sana spregiudicatezza, deve restare in mani maschili". Dato che la bonta' e' quel miscuglio di superiori conoscenze e magnanimita' cui si e' accennato prima e dato che i maschi sprecano gran parte della loro energia mentale per distruggere "scientificamente" vite umane e per ordire inganni di tutti i tipi, inventando ideologie, tradizioni, "culture" atte ad opprimere i propri simili per assicurarsi il dominio, a me pare che il potere con la p maiuscola spetti di diritto alle donne, alle cui scelte coraggiose e decisive l'umanita' deve non solo la propria sopravvivenza ma anche lo sviluppo di quelle caratteristiche che la distinguono dalle altre specie.

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