Fe15
Da Ortosociale.
Sul silenzio delle donne
di Angela Giuffrida
Il grande silenzio delle donne, sottolineato da Lea Melandri, ma visibile ad
occhio nudo da tutte e tutti, dipende, secondo me, dalla loro permanenza nel
sistema di pensiero che governa il mondo. Se "i diversi femminismi...
riproducono nel loro insieme quel mosaico o quella babele che e' la societa'
attuale", se "le differenze, all'interno del femminismo, si sono
moltiplicate ma stanno sullo stesso piano di realta'", omologate da "una
cultura che ha integrato nuovi contenuti ma che conserva in parte il suo
impianto tradizionale, le sue cancellazioni, le sue cesure, rispetto alla
soggettivita' incarnata", vuol dire che il femminismo, nelle sue diverse
forme, rimane interno ad un apparato concettuale che mostra ormai
scopertamente la sua inadeguatezza ad interpretare l'umano in particolare,
il vivente in generale. Ci troviamo in un vicolo cieco perche' la
razionalita' maschile, imposta come l'unica possibile, non riesce a dare
risposte significative ai numerosi problemi che affliggono la nostra specie,
di cui, per la massima parte, e' direttamente responsabile. Da questo punto
di vista la voce maschile e' muta, risolvendosi nella "chiacchiera" di
heideggeriana memoria. La causa della macroscopica contraddizione tra gli
innumerevoli e intelligentissimi contributi provenienti da donne di tutto il
mondo e la loro irrilevanza nelle comunita' androcratiche, va ricercata non
solo, com'e' giusto, nella tenace resistenza degli uomini ad un possibile
empowerment femminile, ma anche nell'uso dei paradigmi interpretativi
maschili che, presentati come universali, informano anche i pensieri e i
discorsi delle donne.
Vorrei fare un esempio che, mi pare, sia esplicativo di quanto vado
affermando. Dopo i fatti di Abu Ghraib si e' sviluppato un acceso dibattito
attorno alla violenza femminile, concretatosi nella polarizzazione di due
concetti astratti, la bonta' e la cattiveria, secondo il tipico approccio
maschile che assolutizza i dati, isolandoli dal contesto e opponendoli.
All'interno di questi meccanismi che, fornendo un'immagine eccessivamente
semplificata della realta', la rendono praticamente invisibile, e'
impossibile trovare soluzioni sensate ai problemi. Infatti, solo se si
considera la bonta' come un dono elargito alle donne gratuitamente e una
volta per tutte da una natura benevola, ci si puo' meravigliare che in
comunita' centrate sul dominio, inneggianti alla bellezza della guerra,
alcune donne non sviluppino in modo adeguato quelle caratteristiche che sono
la sostanza stessa della civilta'. Viceversa, non e' difficile capire che
l'incivilimento della mente non e' un acquisto definitivo e sicuro se lo si
considera un processo lento, faticoso e mai concluso, derivante da
particolari e concrete esperienze.
Allo stesso meccanismo semplificatorio e' dovuto il rifiuto di riconoscere
che gli aspetti positivi che ineriscono alla persona e alle attivita'
femminili sono ridondanti rispetto alle contraddizioni, ai limiti, agli
inevitabili errori e che proprio la preminenza di tali aspetti dimostra
l'acquisizione da parte della maggior parte delle donne di conoscenze
fondamentali e irrinunciabili per una gestione razionale delle societa'
umane. Il riconoscimento dell'altro, la comprensione del valore della vita e
della sua unicita' contraddistinguono senza alcun dubbio l'operosita'
quotidiana della stragrande maggioranza delle donne nel mondo. Ma l'aspetto
piu' qualificante di tale operosita' e' che non pone condizioni di sorta,
non chiede nulla in cambio; e' proprio questo disinteresse, indice di
grandezza d'animo, che, paragonato al punto di vista interessato - umano
troppo umano - attorno a cui si struttura in genere il fare maschile, situa
le donne in un'altra dimensione. Ma le donne sono ben lontane dal
riconoscersi meriti di sorta, anzi rifiutano con decisione la "bonta'" che
viene attribuita loro perche', ancora una volta, la interpretano in chiave
maschile come una debolezza, non come una forza quale in effetti e'. Ileana
Montini in un intervento sul n. 827 di questo foglio dimostra la veridicita'
delle mie argomentazioni: "Inchiodare le donne nell'aura della
perfezione-santita', della naturale, presunta innata, nonviolenza, mentre
gli uomini sarebbero, altrettanto naturalmente, inchiodati alla
esplicitazione della violenza e dell'ideologia, vuol dire confermare
indirettamente che l'esercizio del potere con la p maiuscola, quello che fa
andare avanti le societa', e che richiede forza, coraggio e un po' anche di
sana spregiudicatezza, deve restare in mani maschili".
Dato che la bonta' e' quel miscuglio di superiori conoscenze e magnanimita'
cui si e' accennato prima e dato che i maschi sprecano gran parte della loro
energia mentale per distruggere "scientificamente" vite umane e per ordire
inganni di tutti i tipi, inventando ideologie, tradizioni, "culture" atte ad
opprimere i propri simili per assicurarsi il dominio, a me pare che il
potere con la p maiuscola spetti di diritto alle donne, alle cui scelte
coraggiose e decisive l'umanita' deve non solo la propria sopravvivenza ma
anche lo sviluppo di quelle caratteristiche che la distinguono dalle altre
specie.