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Da Ortosociale.

Quando la debolezza di pensiero maschile si esprime in comportamenti sopraffattori
Un mondo a misura di donna ovvero a misura di essere umano
lunedì 2 gennaio 2006 di Angela Giuffrida - Pubblicato su Il Paese delle donne on line
Ho letto l’intervento di Edda Billi sul tema “Donne e politica”. Anch’io come lei credo che le ghinee di Virginia Woolf non siano moneta fuori corso, ma siano tuttora spendibili. Penso, però, che “per uscire da un incubo che diventa ogni giorno di più insopportabile” sia necessario il riconoscimento e la conseguente accettazione del significato reale che i fatti osservati rimandano. Se gli uomini di tutto il mondo si ostinano ancora oggi a fare branco contro le donne, a cui devono la loro esistenza, se si percepiscono come “inglobanti” mentre i vari “maschismi, sessismi, integralismi, clericalismi” svelano una mente non contenitiva, incline all’esclusione, se continuano a ritenersi superiori, nonostante abbiano ridotto a pattume la terra che li ospita e li nutre e gestiscano le comunità in modo che su tutto imperi sovrana la necrofilia, non mostrano di possedere una scarsa razionalità? La tracotanza, che Edda Billi trova a ragione insopportabile, non è la spia di una costitutiva debolezza che, traducendosi in debolezza di pensiero, si esprime in comportamenti sopraffattori? Se le cose stanno così, ha senso incaponirsi ad intavolare “un dialogo fra pari”, malgrado sia chiaramente “un atto disperato”? Strutturate attorno al dominio, le organizzazioni sociali maschili sono impossibilitate, per necessità interna, a realizzare i valori di “sorellanza, fratellanza, giustizia, democrazia” cui aspiriamo. Ciò per cui dobbiamo lottare è un mondo fatto a misura di donna, l’unico ad essere anche a misura d’uomo perché capace di garantire ad ogni essere umano il diritto di cittadinanza. E non si tratta di utopia, se consideriamo che “le torturatrici ineffabili” e “le vestali del terrore” sono un numero davvero insignificante di fronte alla gran massa delle donne che, quotidianamente, fa i salti mortali per assicurare a chi ama “il suo pane e i suoi sogni”, nonostante abbia tutte le responsabilità e nessun potere e sia l’oggetto privilegiato delle vessazioni e delle violenze maschili. Nella relazione pronunciata all’Assemblea delle donne della Sinistra Europea, Elettra Deiana ha affermato che “non c’è nessuna naturale attitudine da parte delle donne a dire - no - alla guerra. Il loro essere madri non è un vaccino contro la guerra. Le madri, come ci insegnano il mito, la letteratura, la storia, mandano i loro figli in guerra e poi, tra alti lamenti e disperazione - pianto e disperazione si addicono alle donne - celebrano il lutto per la morte di quelli che hanno messo al mondo”. A parte il fatto che pianto e disperazione non si addicono alle madri, ma solo alle figlie che i padri trattengono ad arte nella minorità, a me pare, invece, che la naturale attitudine femminile a non fare la guerra si evinca in modo evidente da due dati di fatto incontrovertibili: la guerra non è un parto della mente delle donne, mentre la cura è, in tutto il mondo, il loro mestiere. Se le donne, pur essendo le principali vittime della guerra assieme ai bambini, “sono complici della loro parte maschile”, non è perché sono intrappolate nella prigione d’amore, come vuole Elettra Deiana (l’amore, al contrario, spingerebbe le donne di tutto il pianeta ad unirsi contro ogni guerra), ma perché la violenza degli uomini ha minato alla base la fiducia in se stesse e indebolito le loro peculiari capacità di assumere la complessità del reale e operare connessioni, sostituendo all’ampiezza del loro sguardo sul mondo e su di sé la parzialità del punto di vista maschile. La frammentazione e l’autoreferenzialità dei movimenti femministi conferma le mie affermazioni. Se, poi, nella guerra “gli uomini e le donne sono coinvolti in un ruolo e con una funzione complementari” e “le donne non sono estranee alla guerra così come non sono estranee ad ogni altro aspetto del patriarcato”, fra gli uni e le altre c’é una differenza sostanziale che, però, viene ignorata: il patriarcato non è un assoluto, scaturito magicamente dal nulla, di cui entrambi i sessi sono vittime innocenti; è, invece, il portato della mente degli uomini i quali, lasciati a se stessi, lo riprodurranno all’infinito, anche sotto mentite spoglie (vedi fratriarcato). Le donne potranno infrangere la rigidità della mente maschile, permettendole di evolversi razionalmente, solo se rinunceranno alle illusioni a favore di una rigorosa aderenza al concreto, capace di recuperare l’aspetto mentale dell’esperienza organismica

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