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Da Ortosociale.

NOSTRO FINE NON PUÒ ESSERE CONDIVIDERE ALLA PARI UN SISTEMA DI PENSIERO CARENTE E IRRAZIONALE
La violenza nasce dalla cecità degli uomini su tutto ciò che riguarda la vita
di Angela Giuffrida - Pubblicato martedì 20.6.2006 su Il Paese delle donne on line
Pubblicato col titolo Violenza assenza di pensiero da La nonviolenza in cammino n.1345 del 3.7.2006

La violenza letale sulle donne è strettamente connessa ad altre forme di violenza che le assicurano un ampio e forte sostegno: la distanza forzata dal potere e lo sfruttamento dell’attività di cura. La violenza d’altronde viene esercitata anche sugli uomini poiché costituisce la struttura portante delle società androcratiche che hanno nel dominio il loro baricentro. Il “femminicidio” è sicuramente il più odioso dei crimini perché rivolto contro le madri della specie a cui gli uomini devono la loro stessa esistenza, ma è uno dei tanti aspetti in cui si manifesta la violenza maschile, così diffusa e connaturata alle organizzazioni sociali dei padri da sembrare naturale e inevitabile. Il problema su cui interrogarsi è dunque il deciso privilegio accordato alla forza cieca e ottusa, a cui si affidano tutti gli uomini indistintamente dal momento che non mettono in seria discussione i fondamenti sopraffattori delle comunità da loro governate, ad esempio il già ricordato sfruttamento delle cure parentali, né si chiedono il perché della fatale attrazione che la violenza in tutte le sue forme, dalle più eclatanti alle più subdole, esercita su di loro. In un articolo apparso sul quotidiano “L’Unità” del 22 maggio 2006, intitolato “Uomini, voi cosa dite?”, Luisa Muraro scrive: “La seconda ondata del femminismo, ormai trascorsa, ha cambiato molte cose in meglio, ma la tendenza maschile a farsi valere con il disprezzo dell’altro sesso, nel suo fondo sembra immutata”. Per la verità le guerre che continuano ininterrottamente ad insanguinare il mondo ci permettono di ampliare il concetto e di affermare che non è cambiata “la tendenza maschile a farsi valere con il disprezzo dell’altro”, senza ulteriori precisazioni. Dal canto suo Lea Melandri, nell’articolo “Noi uscite dal silenzio, rilanciamo il conflitto”, apparso sul quotidiano “Liberazione” del 6 giugno u.s., così si esprime: “La ‘femminilizzazione’ del lavoro, della politica, della cultura, tanto enfatizzata anche da sinistra, è in realtà l’ultimo baluardo insidioso perché meno riconoscibile, data la confusione tra ‘femminile’ e donna, di prerogative che il sesso maschile continua a riservare a sé: pensare e decidere, intelligenza, responsabilità politica e senso morale. Tacitate con la dichiarazione di diritti formali e con l’attribuzione di grandi ‘valori - esaltazione che non è mai mancata storicamente - le donne restano là dove le ha collocate una mai tramontata misoginia”. Io mi chiedo: davvero noi potremo uscire dal luogo dove la misoginia maschile ci ha collocate inseguendo l’”uguaglianza morale e intellettuale” con gli uomini, senza chiederci se si può chiamare pensiero quello che si avvita autisticamente su se stesso, rifiutando il confronto con la parte dell’umanità che assicura, in uno alla sopravvivenza, l’evoluzione mentale della specie? D’altra parte il rifiuto a confrontarsi è endemico nelle società patricentriche dove gli spazi di libertà per tutti, non solo per le donne, sono ridotti ad una più o meno ampia omologazione. Mi chiedo se davvero si possa parlare di morale e di politica a proposito dei comportamenti antisociali condivisi dagli uomini così profondamente e diffusamente da permettere:

  • l’inveramento e la legittimazione nelle comunità della violenza in tutte le sue forme, dallo sfruttamento all’ omicidio generalizzato nella guerra
  • la sua moltiplicazione e reiterazione all’infinito
  • l’impossibilità di offrire proposte significative per uscire da sistemi di potere meschini e irrazionali

Luisa Muraro conclude l’articolo sopracitato sostenendo che bisogna ricominciare “da tutta una cultura progressista che ragiona come se le donne fossero uomini o, altrimenti, da meno e disponibili. E che quasi ostenta la sua ignoranza della verità riguardo agli inizi e alla cura della vita (che non si trova nei laboratori, come credono gli scienziati e ora anche i papi, dimentichi di Dio e della mamma)”. Conclude con una domanda rivolta direttamente agli uomini: “Che cosa la rende così terribile, questa verità, che vi impedisce di guardarla in faccia?”. Estendendosi alla cura l’ ignoranza degli uomini non riguarda solo gi inizi ma la vita in se stessa e ciò che impedisce loro di guardarla in faccia è proprio la mancanza di conoscenze, non la paura. Il percorso seguito dal maschio umano sulla terra, mirante essenzialmente al conseguimento di un potere personale, gli ha impedito di fare esperienze adatte a produrre saperi significativi attorno ai viventi. L’ignoranza della vita e sulla vita ha aperto falle spaventose nella sua mente che si evincono con chiarezza nella centralità da lui assicurata al conflitto, alla distruttività e alla morte, di contro all’ oblio della vita, del suo valore e della sua incommensurabilità. Simon Weil e Hanna Arendt, parlando di assenza di pensiero a proposito del fascismo e in genere del male, ci hanno indicato la strada da seguire. Ora noi siamo in grado di individuare l’assenza di pensiero nella cecità, tanto nefasta quanto paradossale, su tutto ciò che riguarda la vita da parte di viventi quali sono, loro malgrado, gli uomini. Se si percepissero come organismi viventi essi disprezzerebbero e distruggerebbero la natura che li alimenta e di cui sono parte? Considererebbero la cura, assolutamente indispensabile ad ogni vivente, un’attività di poco conto? Perseguiterebbero le donne che sono le artefici della vita della specie intera, compresa quindi la loro? Bisogna riconoscere che tali atteggiamenti sono assolutamente privi di senso e autolesionisti, perciò il nostro fine non può essere la condivisione alla pari di un sistema di pensiero carente e irrazionale.

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