Discussione:Economia17

Da Ortosociale.

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Piero Pagliani

Grazie Mauro per il tuo scritto, molto interessante. Sono contento che abbia ottenuto risonanza. Veramente non so cosa pensare di un economista come Krugman che dice “bel fresc”: “Ohibò, ma allora la bolla immobiliare era una bolla; ma allora la bolla dotcom era una bolla!”. Già, chi l’avrebbe mai immaginato che le bolle erano bolle? Lo si capisce solo quando scoppiano. Cosa ci vuole a capire che la finanziarizzazione passa da una bolla all’altra? Lo capisco anch’io che di economia so ben poco. Basta il buon senso e ... la conoscenza della Storia. Perché questa non è la prima finanziarizzazione del capitalismo. Possibile che la Storia sia così poco maestra? La domanda vera da porsi è: sarà l’ultima? Domanda collegata: il contesto della crescita postbellica è irripetibile? Alla seconda domanda io rispondo senz’altro di sì: è irripetibile. La prima domanda è invece a tranello, perché questa non è l’ultima finanziarizzazione solo se ci sarà un nuova crescita. Il problema è allora: che diavolo di crescita ci può essere? Ovvero, che diavolo di accumulazione si possono inventare? Krugman suggerisce, a quanto ho capito, la solita ricetta di scavare buche (magari con tecnologie molto smart - inquietante la faccenda dei Google-glass) per riempirle. Solo che non so perché Krugman si immagina condizioni per cui lo dovrebbero fare le imprese private. Boh! Ho capito bene? Concludo. In questo momento il dibattito a sinistra è incentrato su Euro sì-Euro no. A mio avviso il dibattito è condotto su linee sbagliate. L’unico tema che secondo me riveste reale importanza è quello della dimensione che garantisce la massima democrazia e capacità popolare di intervento. E’ una dimensione nazionale o europea? Invece il tema svolto è: quale dimensione può garantire una ripresa, cioè una nuova crescita? L’Euro, l’Euro riformato o una nuova Lira? Io non amo per nulla l'Euro, ma i fautori del suo abbandono quasi immancabilmente vorebbero dimostrare coi loro modelli che se lo si fa si ritornerebbe a crescere come ai tempi d'oro. In questi 50 anni non sarebbe successo nulla! I loro modelli dovrebbero, chissà perché, essere eterni. In realtà sono eterni perché la dinamica materiale non è rappresentata. Un bel modo di rappresentare la realtà. Comunque, nessun sembra metere in dubbio che in un modo o nell’altro ci possa di nuovo essere crescita. Con più Europa o, viceversa, con più Italia. E “crescita” in una situazione di disoccupazione drammatica come quella attuale è un termine magico. Forse è ora che si incominci a dire anche in questi ambienti, che ci sono contigui, che la crescita come è stata conosciuta ed immaginata finora è finita e che bisogna incominciare a pensare a una drastica riduzione dell’orario di lavoro e a fare una programmazione economica centrata sul rapporto uomo-sfera ecologica. Insomma, solo un paio di idee. Un caro saluto Piero

Pierre Tosi

Care amiche e cari amici, in effetti i keynesiani di oggi non sono quelli di ieri, ma giova ricordare che Keynes intendeva inoculare nella società statunitense germi di socialismo o di statalismo a mo' di vaccinazione, proprio allo scopo preciso di salvare e rinvigorire il sistema capitalistico. In questo senso, non v'è forte soluzione di continuità; sarebbe bene che i (mini-)leader della sinistra radicale(!?!) che si sono quasi tutti improvvisamente innamorati di lui se ne rendessero conto. Personalmente io preferisco riferirmi a Marx per la pars destruens (l'autodistruttività del capitalismo sembra confermarsi ogni giorno di più) e per la pars construens a Bakunin, che quest'anno ne compie duecento e fin dall'inizio aveva capito quanto fosse pericoloso affidarsi, sia pure transitoriamente, a Stato e Partito, il che mi pare sia stato ampiamente confermato dalla storia. Nel merito. Rendere il denaro una merce deperibile, la cui detenzione comporta cioè una spesa senza il percepimento di interessi, è un'idea che ha indubbiamente elementi di genialità e che avevo sentito proporre anche in ambienti alternativi vicini ai nostri. Nella famosa complessità sociale dei giorni attuali essa potrebbe presentare risvolti sia (molto) positivi, sia (molto) negativi. Da un punto di vista filosofico, una sorta di svalorizzazione del denaro in una società che vive nella sua totemica idolatria potrebbe avviare meccanismi mentali, e non solo, altamente apprezzabili. Dall'altra parte, e condivido in proposito le osservazioni di Mauro, il denaro totalmente dematerializzato, circolante solo in forma elettronica per il tramite ineludibile delle banche a fronte di ogni seppur minima transazione, consentirebbe una forma di controllo ancor più potente e invasiva di quelle attuali. Forse, ma chi lo sa?, ciò darebbe finalmente impulso alle monete locali e alternative. Ci sarebbe infine da chiedersi se scoraggiare l'accumulo di denaro da parte dei grandi possessori di ricchezze non comporti una corsa a determinati beni d'investimento, case in primis come ai tempi dell'inflazione italiana a due cifre, determinando nuove scarsità ai danni di chi ne ha bisogno per l'utilizzo personale. L'irruzione della stagnazione secolare negli alti livelli del dibattito economico dimostra che i fautori della decrescita già ci vedevano bene, e a lungo termine (anche senza gli occhiali di Google!). Non dobbiamo però illuderci che questa ammissione abbia solo buone conseguenze e favorevoli ai nostri scopi di giustizia sociale e ambientale. Da qualche tempo si odono voci che usano strumentalmente questo concetto per giustificare la decrescente remunerazione del lavoro, senza dimenticare i rischi di ecofascismo paventati da U. Beck e Latouche o di ritorno a un tradizionalismo oscurantista come in fondo auspica l'anti-sviluppista de Benoist. Il lavoro culturale di chi genuinamente crede nel dopo-sviluppo sarà insomma particolarmente importante, così come sarà di grande rilevanza mantenersi aggiornati sulle evoluzioni della discussione in corso (in questo caso è giusto ringraziarne sentitamente Mauro). Pierre

Serge Latouche

Cari Amici, Probabilmente siete avvertiti della morte recente della nostra amica Carla Ravaioli. Con Karin avevamo cenato insieme un po prima di natale. Questa foto sara' la nostra ultima e forse anche la sua... Aveva qualque perturbazione della memoria ma per il resto era in gamba. Lei era venuta a Roma III per la mia conferenza e anche al dibattito con Torrealta e Landini al teatro paradiso. Dopo la Cena fatta insieme, malgrado la pioggia ci ha accompagnato fino a Torre Argentina e voleva a mezzanotte andare a piedi fino a Trastevere. Ero' molto imbarassato perché voleva scrivere un libro con me... Quando lei ci ha confessato a tavola di aver più di novant'anni siamo rimasti stupefatti. Insomma una bella fine. Un caro saluto a tutti, Serge Latouche

Carla Ravaioli

Carla Ravaioli

Molto triste e molto tenero. Conoscevo Carla Ravaioli solo per i suoi lavori e il suo impegno, non personalmente. Anche pensando alla bellissima età che ha raggiunto mi rattrista sempre la perdita di militanti e pensatori della sua generazione, di persone che in qualche modo sono la Storia. Piero Pagliani

Remo Ronchitelli

Mi inserisco nel dibattito. Trovo molto stimolanti le considerazioni di Pierre Tosi, soprattutto come invito ad "autoliberarci" l'immaginario. Mi fermo sulla indicazione PARS DESTRUENS (Marx, autodistruzione capitalistica) e PARS CONSTRUENS (Bakunin, Stati e Partiti). Mi sembra un'OTTIMA impostazione. Mi permetterei un tentativo di IMPLEMENTAZIONE in questa (scandalosa) direzione:

La mia motivazione teorica è, in poche righe (una dozzina), qui:

Pierre Tosi

Grazie per l'apprezzamento e le implementazioni. Guardavo proprio ora la parte wiki del vostro sito, che mi sembra ottimamente strutturata. Mi pare di capire che voi abbiate una sinergia con la Rete bioregionalista italiana, in cui io conosco bene Caterina Regazzi e Paolo D'Arpini. A un prossimo incontro e saluti di cuore, Pierre

Luigi Dell'Arena

Ciao Remo, Trovo l'analisi di Bonaiuti pressoché inappuntabile, quel che mi preoccupa, da sempre, ma a maggior ragione da qui in avanti, è il colpo di coda per tener in vita il moribondo sistema con terapie a dir poco dicutibili. Dotare tutti gli impiegati di Google glass, come propone Krugman, è un'idea che mi fa inorridire per le pericolosità che intrinsecamente contiene una proposta del genere, inambito sociale economico e ambientale. L'accanimento terapeutico che produce costi senza portare soluzioni, dopo tutto questa è la stessa terapia usata dalla grande depressione del '29. So per certo, che in Cina crescenti conquiste di diritti stanno facendo ridurre i profitti alle aziende, che a loro volta o si spostano verso nazioni come India e Pakistan, dove i diritti sono all'età della pietra, anche a causa della corruzione, oppure tornano o stanno pensando di tornare al paese d'origine, dove la qualità della mano d'opera è di livello 10 volte superiore e specializzata. Il Capitalismo finanziario ha azzerato il concetto stesso di valore dal quale egli dipende, un prodotto non ha un valore perché è di ottima qualità, ma semplicemente perchè consente una speculazione. Come dice Bonaiuti, il capitalismo si è nutrito di bolle speculative, esaurendo ogni risorsa, in termini sociali economici e soprattutto ambientali. Ho da poco visto Trashed, il film documentario sui rifiuti, al di del fatto che ho concretamente constatato la globalità del problema e che la soluzione risiede esclusivamente a livello locale, quel che inequivocabilmente racconta il film, è che la macchina capitalistica della crescita, non ha affatto prodotto benessere, ma una montagna crescente di rifiuti, che è divenuta una bomba pronta ad esplodere, e quando avverrà non vi sarà PIL o Economia che tenga. Con l'associazione 5 Agosto '9 ( manco a dirlo quella del presidio contro una discarica ) stiamo organizzando una serie di incontri per la strategia Rifiuti Zero, ti allego il volantino, che non è ancora definitivo. Abbiamo cercato di coinvolgere istituzioni e associazioni, con l'intento di creare e diffondere consapevolezza e coscienza sul problema che, credimi, ha dimensioni bibliche con ripercussioni in ogni ambito, in particolare quello ambientale. Un abbraccio Luigi

Fukushima

Caro Luigi, quanto a rifiuti non sottovalutare

la cui radioattività ha invaso l'Oceano Pacifico, oltre all'isola di plastica grande come la Groenlandia. Ciao Remo

Dario Padovan

Carissmi, le riflessioni di Mauro sono un buon punto di partenza per una discussione. Summers e Krugman confermano quanto già si sapeva. Ma tale conferma mi permette di sottolineare i seguenti aspetti:

  1. La crescita è finita in Occidente ma non nel resto del mondo. La delocalizzazione delle attività produttive nei paesi in crescita accelera il processo di accumulazione mondiale coinvolgendo però nuovi attori. Il problema è aver creduto che sarebbe bastato prestare i soldi ai consumatori per mantenere tassi di crescita sufficienti alla stabilità sociale anche in Occidente. Ma non ha funzionato perché la massa del plusvalore è passata nei paesi non occidentali. Date un'occhiata ai tassi crescita dei paesi africani, ben oltre mediamente il 6 e 7%. Ovviamente partono da punti iniziali molto bassi, ma vi ricordate quando Rosa Luxemburg notava che il capitalismo aveva bisogno del sottosviluppo per poterlo colonizzare quando necessario per aprire nuovi mercati e nuovi processi di accumulazione?
  2. Ovviamente il processo di accumulazione capitalista basato ora in Cina, Indonesia, India, Brasile e così via si mantiene a livelli molto dinamici. Tuttavia, come suggerito da Arrighi il modello sta cambiando, superando la vecchia egemonia USA con quella cinese. Non bisogna sottovalutare questa dinamica perché disegna una rivoluzione industriale a bassa composizione di capitale e basso contenuto energetico.
  3. La crescita così come l'abbiamo conosciuta ha costituito la principale strategia capitalista per siglare il compromesso fordista. L'accesso ai beni di consumo materiali da parte della classe operaia occidentale è stata la principale contropartita alle lotte di quegli anni. La lotta per il salario, per la casa per i beni di consumo è stata sacrosanta ma, al fine di mantenere stabili i tassi di profitto capitalistici, ha comportato l'attuale crisi da ipercrescita (sovraproduzione combinata con una chiara tendenza al sottoconsumo). Fordismo e keinesismo hanno portato a grandi falcate verso i rendimenti decrescenti evidenziati da Mauro.
  4. La fine della crescita comporta problemi molto seri sul piano sociale: è innegabile che l'accesso ai beni di consumo comporti forme di civilizzazione e pacificazione di lungo periodo. Ma la guerra (nel significato datolgi di Foucault) costituisce sempre la filigrana della pace. Sotto i 15.000 dollari di reddito medio la "guerra" è sempre in agguato. La fine della crescita incrementa conflittualità che non necessariamente vanno nella direzione da noi voluta. la Grecia è sull'orlo della guerra civile ma finora le principali vittime sono gli immigrati sui quali si stanno scaricando le tensioni sociali. La xenofobia è sempre in agguato con derive che sono diffcilmente prevedibili.
  5. Credo occorra riaprire il dibattito sulla pianificazione, non necessariamente quella statale. Tra le due guerre mondiali vi fu una grande discussione sulla pianificazione alla quale parteciparono tayloristi, corporativisti fascisti, planisti socvietici, roosveltiani, e via dicendo. Che si debba andare verso forme di pianificazione, regolazione, gestione collettiva delle risorse (umane e naturali), superando e magari abolendo la tirannia di stato e mercato (che non sono in alternativa ma codeterminano l'economia capitalista). Cosa significa pianificare, prevedere, regolare, orientare in situazioni di incertezza e complessità? Credo che dovremo riprendere le riflessioni di Otto Neurath per riaprire relazioni positive tra scienza e società.
  6. Di fronte alla steady economy dei paesi occidentali e alla perdita di dinamicità del capitale finanziario occorre a mio avviso andare in due direzioni : da un lato ridurre la forbice dei redditi tassando drasticamente rendite finanziarie e beni di lusso; dall'altro ridurre drasticamente l'orario di lavoro e con esso la produttività del lavoro, tornando al lavoro manuale soprattutto di manutenzione degli stocks di tecnomassa accumulati nelle città e nei territori.
  7. La democrazia deve tornare a parlare di lavoro produttivo e riproduttivo, deve tornare a occuparsi dell'oikos e non più solo della polis. Intendo dire che le forme partecipative e deliberative devono occuparsi di come pianificare il futuro materiale delle persone, della vita quotidiana nelle città e nei paesi. Non si tratta più di avere un confronto agonistico tra grandi ideologie, ma risolvere la miriade di problemi quotidiani che le persone affrontano costantemente. Oggi la riproduzione è più importante della politica con la P maiuscola anche perché come sosteneva Agnes Heller è nella vita quotidiana che partono le grandi dinamiche di trasformazione, rivoluzione e transizione.
  8. La green economy mira a sostituire gli stock promettendo così un nuovo processo di accumulazione. E tuttavia, come si nota, essa fa fatica a liberarsi del vecchio capitalismo energivoro ancora egemone. Nondimeno occorre riconoscere che vi è una certa tensione fra queste due forme di capitalismo che non va sottovalutata (chi parlava di conflitto intercapitalistico?).
  9. La transizione non è pensabile senza "distruzione" e questo comporterà delusioni e sofferenze. Già ora stiamo pagando l'irrazionalità del capitale ma in assenza di un orizzonte desiderabile e condiviso. La politica alla Arendt deve essere abbondanata per lasciare spazio a forme crescenti e creative di autogestione, forum deliberativi, assemblee democratiche che siano in grado di pianificare la propria esistenza collettiva nella prospettiva suggerita Da Bookchin sintetizzata nel municipalismo libertario.

Carissimi, conosco alcuni di voi da molto tempo, altri non ho mai avuto il piacere di incontrarli. prendete queste mie riflessioni, che ho spesso discusso con Mauro, come un semplice contributo a un dibattito che potrebbe divenire cruciale per future azioni politiche. a presto dario padovan

Piero Pagliani

Vedo che la discussione ha preso subito slancio. Come continuare a condurla tra chi è veramente interessato ma al contempo facendola uscire da ristretti ranghi? O più ancora, solito problema, come dare gambe politiche e sociali alla Decrescita? Noto qui un interessante rimando di Dario Padovan a Giovanni Arrighi riguardo il possibile cambio di egemonia mondiale (oltre all'opportuno richiamo al fatto che l'Occidente non tutto il mondo - di fatto siamo solo 1/7 del mondo, benché noi si sia la parte più aggressiva e priva di pudore, e questo fa temere per il futuro). Ricordo che Arrighi deduce la finanziarizzazione dalla sovraccumulazione di capitali avvenuta durante il ventennio d'oro del capitalismo, nel dopoguerra, e quindi ai rendimenti decrescenti negli investimenti in commercio e industria che questa sovraccumulazione faceva sperimentare in Occidente, cioè nel "core" capitalistico egemonizzato dagli Usa. Arrighi, che come sapete è scomparso prematuramente cinque anni fa, riuscì a trattare solo marginalmente la questione ecologica che però è implicitamente presente nella sua notevole attenzione ai fattori geografici in generale. Le sue tesi sono quindi perfettamente sviluppabili in una dimensione più ampia in cui i rapporti ecologici sono storicamente e logicamente inseriti. Ciò è stato fatto di recente negli Usa elaborando il concetto di "natura non capitalizzata". Io ho cercato di andare avanti introducendo il concetto ulteriore di "natura relativamente non capitalizzata", dove "relativamente" si riferisce alla posizione dei produttori nella gerarchia di differenziali di sviluppo e differenziali politici che di volta in volta configura il sistema-mondo. In questo quadro credo che sia possibile spiegare in modo unitario diversi fenomeni (come l'imperialismo, i conflitti interstatali e il colonialismo che sembravano superati, ma contemporaneamente anche le rapine sociali nelle singole nazioni). Non solo, in questo modo la natura non è più un'alterità su cui si scaricano degli effetti, bensì è parte costituente delle società umane che si presentano così come progetti sociali (e quindi economici e politici), geografici ed ecologici. Tre dimensioni collegate. D'altra parte tutti gli effetti ecologici sono percepiti dall'uomo attarverso il suo essere sociale e quindi la sua organizzazione sociale. E la sua reazione è influenzata da questo tipo di percezione. Questa è anche un'indicazione politica. Ad esempio induce ad escludere che si possa portare gruppi sociali dalla parte della decrescita con argomenti (catastrofisti) di carattere generale. Piero Pagliani

Gianni Tamino

Conoscevo abbastanza bene Carla Ravaioli, con la quale avevo condiviso incontri, discussioni e riflessioni, comprese quelle durante la Conferenza di Venezia del 2012. Un'amica che ha saputo affrontare i temi che oggi stiamo discutendo con molta intelligenza e, forse, in anticipo sui tempi. Consiglio a tutti gli amici della decrescita la lettura del libro edito da Editori Riuniti "Processo alla crescita", un dialogo con Bruno Trentin scritto nel 2000; sarà un modo proficuo per non dimenticare Carla. Cari saluti a tutti, Gianni Tamino

Angelo Marino

Carissimi, mi inserisco timidamente nel dibattito per richiamare l'attenzione su un punto cruciale del libro di Mauro: "Nemmeno i movimenti contro la globalizzazione sfuggono alla frammentazione postmoderna. Le centinaia di eventi paralleli che caratterizzano i vari forum sociali mondiali, per l'incapacità di giungere a scelte condivise [...], sono un segno inconfondibile della frammentazione che ne caratterizza gli immaginari e ancor più le forme organizzative" (p. 93). L'insidia del postmoderno è quella di "galleggiare e sguazzare" nelle correnti caotiche del cambiamento (ivi), senza agire sulle basi della politica e della cultura. Per questo (è ancora Mauro che ammonisce nelle ultime pagine del libro) diventa necessario uscire dalla complessità dei grandi apparati - cui non è estranea la moltiplicazione delle soluzioni proposte - per tessere "nuove e più dense relazioni sociali (ed ecologiche) a scala locale". Il dibattito, in altri termini, va trasferito nel "dove", nello spazio fisico dei luoghi perchè è da lì, come scrive Magnaghi, che possiamo sapere "cosa deve decrescere e cosa deve crescere". Un caro saluto

Carlo Maurizio Modonesi

Carissimo Mauro,

grazie per averci riportato, con il tuo puntuale e chiarissimo articolo, all'interno della vera natura della crisi globale partendo dalle non scontate valutazioni di Summers e Krugman. Cogliendo il tuo invito ad allargare la discussione, mi permetto soltanto di enfatizzare un punto della tua analisi che mi sta molto a cuore -- ossia quello della sostenibilità ecologica -- che forse merita di essere corredato di qualche dato, anche per provare a compensare alcuni di quegli aspetti su cui Summers e Krugman evitano accuratamente di soffermarsi. In effetti gli indicatori della crisi ambientale che fa da sfondo alla crisi del capitalismo finanziario sono esattamente in linea con gli indicatori della crisi sociale ed economica. Il rapporto Millennium Ecosystem Assessment da questo punto di vista fornisce un quadro molto attendibile, visto che i dati sui trend globali che presenta sono il risultato di rilievi ed elaborazioni compiuti da poco meno di 1500 scienziati sparsi in quasi 100 paesi del mondo. Questi indicatori vengono suddivisi in 24 raggruppamenti di servizi ecosistemici suddivisi in tre grandi contenitori, che sono definiti come -- "provisioning", "regulating", e "cultural". Traducendo in termini pratici:

  • 1) servizi di fornitura di beni,
  • 2) servizi di regolazione di funzioni ambientali,
  • 3) servizi culturali.

Deve essere precisato che il rapporto Millennium Ecosystem Assessment, che è lunghissimo e ricchissimo di dati, in alcuni casi fornisce informazioni ambigue, o perché i dati disponibili sono di per sé poco chiari, o perché le interpretazioni che ne vengono date dagli ecologi sono "filtrate" da una lettura di tipo "crescista", o comunque produttivista, vedi sotto il caso della produzione agricola. Quello che si può dire è che gli stessi ecologi, spesso, non riescono a staccarsi dal substrato culturale in cui sono immersi e quindi tendono a esprimere, a volte anche inconsapevolmente, giudizi di valore in merito a dati e cifre che invece richiederebbero di essere interpretati ed elaborati senza teorie preconcette. Su questi aspetti, comunque, non è il caso che mi dilunghi, perché il discorso si farebbe troppo complicato. Tengo a precisare che questi dati di letteratura dipingono un mondo statistico che va considerato "in grana grossa", e che, come tale, non può e non deve essere inteso come rappresentativo di tutto il pianeta come un tutt'uno omogeneo. Dunque in alcuni casi il trend globale che emerge può essere contraddetto da situazioni locali o regionali molto diverse... e viceversa. Detto questo, i dati sui servizi ecosistemici sono raccolti, elaborati e validati tenendo conto di criteri ecologici e di metodi quantitativi piuttosto rigorosi, in merito ai quali, di nuovo, non è il caso soffermarsi.
Venendo al dunque, delle 24 categorie di servizi contemplate dal Millennium Ecosystem Assessment, risulta che:

  • - ben 15 (ossia i 2/3) raggruppamenti di servizi ecosistemici risultano gravemente deteriorati o sfruttati ben oltre i limiti di sostenibilità;
  • - 5 raggruppamenti di servizi ecosistemici risultano avere segno positivo, come per esempio l'indicatore relativo alla produzione di cibo attraverso l'agricoltura. Il che, però, dal punto di vista della sostenibilità, non significa che l'indicatore vada necessariamente considerato "positivo". Insomma, qui vale il caveat richiamato sopra, perché il segno positivo di questo indicatore viaggia in parallelo con l'inquinamento chimico (per es, da pesticidi), la diffusione di pratiche di agricoltura industriale, la drastica perdita di biodiversità naturale (ci tornerò poco sotto) e agricola, il grave peggioramento della qualità e della quantità dei corpi idrici, ecc.ecc.
  • - 4 raggruppamenti di servizi ecosistemici invece sono frutto di dati ed elaborazioni che non consentono di ricostruire un andamento statisticamente chiaro, per cui non è possibile delineare un trend.

Un punto particolarmente critico, a cui il Millennium Ecosystem Assessment assegna grande importanza ma che poi (giustamente) non viene identificato come un indicatore autonomo, è quello della perdita di biodiversità naturale. Bene, i dati che vengono forniti dal rapporto e da altre fonti di letteratura sono sempre più impressionanti. Le vere conoscenze su questo processo di erosione biologica planetaria sono relativi ai gruppi tassonomici meglio conosciuti, ossia Mammiferi e Uccelli, per cui gran parte del lavoro si basa su di essi e sull'adozione di altri metodi di calcolo. Le stime più sensate evidenziano che, nell'ultimo secolo, i tassi di estinzione di specie biologiche selvatiche sono di 1.000 volte maggiori di quelli che dovrebbero essere se il fenomeno di estinzione procedesse con ritmi naturali (la cosiddetta "estinzione di sfondo"). Non a caso, questi tassi di estinzione sono analoghi ai tassi di estinzione stimati per i 5 grandi episodi di estinzione di massa (in letteratura noti com BIG FIVE) che hanno segnato la storia della Terra negli ultimi 550 milioni di anni. Alcuni scenari recenti basati su stime ottenute con approcci più recenti, tra l'altro, raccontano che in realtà i tassi di estinzione degli ultimi decenni potrebbero essere maggiori di ALMENO un ordine di grandezza (10.000 volte anziché 1.000) dell'estinzione di sfondo. Inutile dire che gran parte dei servizi ecosistemici -- compresa l'impollinazione, fondamentale sia nelle foreste sia nei campi coltivati dall'uomo -- dipendono dalle reti di interazione generate dalle specie biologiche che abitano il pianeta. Ed è proprio per questo che il rapporto Millennium Ecosystem Assessment non considera la biodiversità come un unico indicatore (NB: personalmente credo che nel termine biodiversità, andrebbe anche inclusa la salute biologica, e non solo biologica, della nostra specie). Grazie ancora per la tua condivisione! Un abbraccio Carlo Modonesi

Pierre Tosi

Care amiche e cari amici, permettetemi innanzitutto di osservare che la ricchezza e la vivacità del dibattito meriterebbero un luogo appropriato: penso che esso possa essere rappresentato dal nuovo sito

in gestazione. Ciò consentirebbe di estendere la discussione oltre le ristrette cerchie. Sono grato per gli interventi, perché in ciascuno ho trovato elementi di riflessione di grande valore e la composizione di tutti concorre a disegnare meglio la realtà a tutto tondo. Ad esempio, penso che sia sì opportuno tener conto che nelle zone remote del mondo il discorso crescita/decrescita sia ben diverso che qui, ma altrettanto che una diffusione del nostro modello in quelle aree porterebbe una rapida e irrevocabile rottura dei già fragilissimi equilibri ambientali. Sono felice che sia stato portato ad esmpio Murray Bookchin, secondo me un'ottima attualizzazione del pensiero libertario bakuniniano... Spero ab imo corde che occasioni di confronto come questa, del tutto spontanea, si moltiplicano. Un saluto amichevole a tutte e tutti, Pierre

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