Il principio Federale4

Da Ortosociale.

CAPITOLO VI

POSIZIONE DEL PROBLEMA POLITICO. PRINCIPIO DI SOLUZIONE
Se il lettore ha seguito con diligenza l'esposizione precedente, la società umana deve apparirgli una creazione fantastica, piena di cose di cui stupirsi e di misteri. Ricordiamo brevemente i vari termini: a) L'ordine politico riposa su due principi connessi opposti ed irriducibili: l'Autorità e la Libertà. b) Da questi due principi derivano parallelamente due regimi contrari: il regime assolutista o autoritario ed il regime liberale. c) Le forme di questi due governi sono tanto diverse fra loro, incompatibili ed inconciliabili, come le loro nature; noi le abbiamo definite in due termini: Indivisione e Separazione. d) La ragione vuole che ogni teoria debba realizzarsi seguendo il suo principio, tutto l'esistente prodursi secondo la sua legge: la logica è la condizione della vita, come del pensiero. Ma è proprio il contrario che si manifesta in politica: né l'Autorità né la Libertà possono costituirsi separatamente, dando luogo ad un sistema che sia esclusivamente proprio di ciascuna; lungi da ciò, esse sono condannate, nelle loro rispettive istituzioni, a farsi continue reciproche concessioni. e) La conseguenza è che la fedeltà ai principi, in politica, non esiste che in teoria, essendo in pratica costretta ad accettare compromessi di ogni genere; il governo in ultima analisi si riduce, malgrado la migliore volontà e tutta la virtù immaginabile, ad una creazione ibrida, equivoca ad una promiscuità di regimi che la logica severa ripudia, e davanti alla quale arretra la buona fede. Nessun governo sfugge a questa contraddizione. f) Conclusione: l'arbitrario entra fatalmente nella politica, la corruzione diventa presto l'anima del potere e la società è trascinata senza riposo né misericordia, sulla china senza fine delle rivoluzioni. Il mondo è a questo punto. E non è né l'effetto di una diavoleria, né di una mancanza della nostra natura, né di una condanna della divina provvidenza, né di un capriccio della fortuna o di un segno del Destino: la realtà è questa, ecco tutto. Sta a noi trarre quanto di meglio sia possibile da questa singolare situazione. Consideriamo che da più di ottomila anni - le nostre conoscenze storiche non vanno oltre - tutte le varietà di governo, tutte le combinazioni politiche e sociali, sono state successivamente sperimentate, abbandonate, riprese, modificate, trasformate, sfruttate e che l'insuccesso ha costantemente ricompensato lo zelo dei riformatori e deluso la speranza dei popoli. Sempre la bandiera della libertà è servita a mascherare il dispotismo; sempre le classi privilegiate, per proteggere i loro privilegi, si sono circondate di istituzioni liberali ed egualitarie; sempre i partiti hanno mentito sui loro programmi e sempre l'indifferenza è succeduta alla fiducia, la corruzione allo spirito civico, gli Stati si sono disgregati per lo sviluppo dei concetti e dei programmi sui quali si erano fondati. Le razze più vigorose e più intelligenti, si sono logorate in questo travaglio: la storia è piena del racconto delle loro lotte. Qualche volta un susseguirsi di trionfi creava illusioni sulla forza dello Stato, facendo credere all'eccellenza di una costituzione, ad una saggezza di governo che non esistevano. Ma con l'avvento della pace i vizi del sistema riapparivano ed i popoli si riposavano, con la guerra civile, dalle fatiche della guerra esterna. L'umanità è passata così di rivoluzione in rivoluzione: le nazioni più celebrate, quelle che sono durate più a lungo, vi sono riuscite solo in questo modo. Fra tutti i governi conosciuti e sperimentati, fino ad oggi, non ce n'è uno che, se fosse stato condannato a sussistere per sua virtù, avrebbe vissuto la vita di un uomo. E' strano, ma i capi di Stato ed i loro ministri sono, fra tutti gli uomini, quelli che credono meno alla durata del sistema che rappresentano; finché non verrà un sistema scientifico, i governi si reggeranno sulla fede delle masse. I Greci ed i Romani, che ci hanno tramandato le loro istituzioni, insieme ai loro esempi, giunti al momento più interessante della loro evoluzione, precipitano nella crisi; e la società moderna sembra arrivata a sua volta all'ora dell'angoscia. Non fidatevi della voce di quegli agitatori che gridano: Libertà, Uguaglianza, Nazionalità; non sanno niente, sono dei morti che hanno la pretesa di resuscitare dei morti. Il pubblico li segue per un istante, come fa con i buffoni ed i ciarlatani; ma poi passa oltre, con la mente vuota e la coscienza desolata. Segno certo che la nostra dissoluzione è prossima e che una nuova era si sta aprendo, la confusione del linguaggio e delle idee è arrivata al punto che il primo venuto può dichiararsi a suo piacimento repubblicano, monarchico, democratico, borghese, conservatore, partigiano dell'uguaglianza sociale, liberale e tutto questo contemporaneamente, senza timore che nessuno gli faccia capire la menzogna e l'errore. I principi ed i baroni del primo Impero avevano dato prova di sanculottismo. La borghesia del 1814, rimpinguata di beni della nazione, in virtù della sola cosa che avesse compreso delle istituzioni dell'89, era liberale ed anche rivoluzionaria; il 1830 la rifece conservatrice; il 1848 la rese reazionaria, cattolica e più che mai monarchica. Attualmente sono i repubblicani di febbraio che servono la monarchia di Vittorio Emanuele, mentre i socialisti di giugno si dichiarano unitari. Gli antichi seguaci di Ledru-Rollin aderiscono all'impero come alla vera espressione rivoluzionaria ed alla forma più paterna di governo; altri, è vero, li trattano da venduti, ma si scagliano con furore contro il federalismo. E' un imbroglio eretto a sistema di ordine organizzato, l'apostasia permanente, il tradimento universale. Si tratta di sapere se la società può arrivare a qualche cosa di regolare di giusto e di stabile, che soddisfi la ragione e la coscienza, oppure se siamo condannati per l'eternità a questa ruota di Issione. Il problema è insolubile?.... Che il lettore pazienti ancora un po'; e se più tardi non lo faccio uscire dall'imbroglio, avrà il diritto di dire che la logica è falsa, il progresso un'illusione, e la libertà un'utopia. Degnatevi ancora di ragionare con me per qualche minuto, benché per la verità in una simile questione ragionare significhi esporsi all'autoinganno ed a perdere il proprio tempo e la ragione. 1. Si noterà anzitutto che i due principi, l'Autorità e la Libertà, da cui vengono tutte le difficoltà, si mostrano nella storia in successione logica e cronologica. L'Autorità, come la famiglia, come il padre, genitore, compare per prima: essa ha l'iniziativa, è l'affermazione. La Libertà raziocinante viene dopo: è la critica, la protesta, la libera determinazione. Questo criterio di successione risulta dalla definizione stessa delle idee e dalla natura delle cose e tutta la storia ne rende testimonianza. E questo senza alcuna possibile inversione, senza alcun intervento arbitrario. 2. Un'altra osservazione non meno importante è che il regime paterno e monarchico si allontana tanto più dal suo ideale quanto più la famiglia, la tribù, o città diventa più numerosa e che lo Stato cresce in popolazione ed in territorio: in modo che più l'autorità si estende, più diventa intollerabile. Da qui le concessioni che essa è costretta a fare alla libertà. Inversamente il regime di libertà si avvicina tanto più al suo ideale e moltiplica le sue possibilità di successo, quanto più lo Stato cresce in popolazione ed in estensione, quanto più i rapporti si moltiplicano e la scienza progredisce. Dapprima tutti reclameranno una costituzione; più tardi questo sarà per la decentralizzazione. Attendete ancora, e vedrete sorgere l'idea di federazione. In modo che si potrà dire della libertà e dell'autorità ciò che Giovanni Battista diceva di se stesso e di Gesù: Illam oportet crescere, hanc autem minui. Questo doppio moto, l'uno di recessione l'altro di progresso, che si risolve in un unico fenomeno, risulta ugualmente dalla definizione dei princìpi, dalla loro collocazione relativa e dai loro ruoli; anche qui nessun equivoco è possibile, né vi è il più piccolo spazio per l'arbitrario. Il fatto è di un'evidenza oggettiva e di una certezza matematica; è ciò che noi chiameremo una legge. 3. La conseguenza di detta legge, che si potrebbe definire necessaria, è essa pure necessaria: avviene che, poiché il principio di autorità è comparso per primo e servendo esso di materia o come dato di elaborazione alla Libertà, alla ragione e al diritto, esso venga a poco a poco subordinato al principio giuridico, razionalista e liberale; il Capo di Stato, dapprima inviolabile, irresponsabile, assoluto, come il padre nella famiglia, diventa giudicabile dalla ragione, primo soggetto di legge, e finalmente semplice agente, strumento o servitore della Libertà stessa. Questa terza proposizione è certa come le prime due, esente da tutti gli equivoci e contraddizioni, ed ampiamente dimostrata dalla storia. Nella lotta eterna dei due principi, la Rivoluzione francese, come la Riforma, appare come un'era emblematica. Essa segna il momento in cui nell'ordine politico la Libertà ha preso ufficialmente il sopravvento sull'Autorità, cosi come la Riforma aveva segnato il momento in cui, nell'ordine religioso, il libero esame era prevalso sulla fede. Dopo Lutero, la fede è diventata dovunque oggetto di ragione; l'ortodossia così come l'eresia, ha preteso di condurre l'uomo alla fede per mezzo della ragione; il precetto di S. Paolo Rationabile sit obsequium vestrum, sia ragionevole la vostra obbedienza, è stato largamente commentato e messo in pratica; Roma s'è messa a discutere come Ginevra; la religione è protesa a farsi scienza; la sottomissione alla Chiesa si è complicata di così tanti condizionamenti e riserve che, fatti salvi gli articoli di fede, non c'è più differenza fra il cristiano ed il non credente. Non sono più della stessa opinione, ecco tutto: del resto, pensiero, ragione, coscienza, in entrambi si comportano allo stesso modo. Similmente dopo la Rivoluzione francese, il rispetto dell'autorità è diminuito; la deferenza agli ordini del principe s'è fatta limitata; si sono pretese dal sovrano reciprocità e garanzie; la mentalità politica è cambiata; i monarchici più ferventi come i baroni di Giovanni senza Terra, hanno voluto aver delle carte ed i Berrier, i de Falloux, i de Montalbert, ecc., potevano dirsi liberali quanto i nostri democratici. Chateaubriand, il cantore della Restaurazione, si vantava di essere filosofo e repubblicano; ed è stato per un puro atto del suo libero arbitrio che si è costituito come difensore dell'altare e del trono. Si sa anche ciò che avvenne al cattolicesimo violento di Lamennais. Così, mentre l'autorità è in pericolo e diventa di giorno in giorno più precaria, il senso del diritto si fa più certo e la libertà, tenuta sempre in sospetto, diventa sempre più reale e più forte. L'assolutismo, pur resistendo al suo meglio, se ne va; sembra che la Repubblica, sempre combattuta, esecrata, tradita, bandita, si avvicini ogni giorno. Quali conseguenze dobbiamo trarre da questo fatto capitale per la costituzione dei governi?

CAPITOLO VII

SVILUPPO DELL' IDEA DI FEDERAZIONE
- Dato che nella teoria e nella pratica, l'Autorità e la Libertà si succedono come una sorta di polarizzazione; - la prima diminuisce impercettibilmente e si ritira, mentre la seconda cresce e si afferma; - risulta da questo duplice procedere una sorta di subordinazione, in virtù della quale l'Autorità si rimette via via alle regole della Libertà; - dato che in altri termini il regime liberale, o contrattuale, prevale di giorno in giorno sul regime autoritario, è all'idea di contratto che noi dobbiamo legarci come all'idea dominante della politica. Cosa s'intende, anzitutto, per contratto? Il contratto, dice l'art. 1101 del Codice civile, è una convenzione per cui una o più persone si obbligano verso una o più, a fare o a non fare qualcosa. Art.1102.- Esso è sinallagmatico o bilaterale quando i contraenti si obbligano reciprocamente gli uni verso gli altri. Art. 1103.- E' unilaterale quando una o più persone sono obbligate verso una o molte altre senza che da parte di queste ultime ci sia alcun obbligo. Art 1104.- E' commutativo quando ognuna delle parti s'impegna a dare o a fare una cosa che è considerata come l'equivalente a lui dovuto o di ciò che si fa per essa. - Quando l'equivalente consiste nella possibilità di guadagno o di perdita per ognuna delle parti in conseguenza di un avvenimento incerto, il contratto è aleatorio. Art. 1105.- Il contratto di beneficenza è quello in cui una parte procura all'altra un vantaggio puramente gratuito. Art. 1106.- Il contratto a titolo oneroso è quello che obbliga ciascuna delle parti a dare o a fare qualcosa. Art. 1371.- Si chiamano quasi contratto i fatti volontari dell'uomo da cui risulta un impegno qualsiasi verso un terzo, e qualche volta un impegno reciproco delle parti. A queste distinzioni e definizioni del Codice, relative alle forme ed alle condizioni dei contratti, ne aggiungerò un'ultima, che riguarda il loro oggetto. Secondo la natura delle cose di cui si tratta, dello scopo che ci si propone, i contratti sono domestici, civili, commerciali o politici. E' di quest'ultima specie di contratto, il contratto politico, di cui ci occuperemo ora. La nozione di contratto non è completamente estranea al regime monarchico, come non lo è alla paternità ed alla famiglia. Ma, dopo ciò che abbiamo detto sui princìpi di autorità e di libertà e sul loro ruolo nella formazione dei governi, si comprende che questi princìpi non intervengono allo stesso modo nella formazione del contratto politico; di conseguenza l'obbligazione che unisce il monarca ai suoi sudditi, obbligo spontaneo, non scritto, risultante dallo spirito familiare e dalla qualità delle persone, è una obbligazione unilaterale, poiché in virtù del principio di obbedienza il suddito è più obbligato verso il principe di quanto questo non lo sia verso il suddito. La teoria del diritto divino dice espressamente che il monarca è responsabile solamente verso Dio. Può anche accadere che il contratto del principe col suddito degeneri in un contratto di pura beneficenza, allorché, per l'inettitudine e l'idolatria dei cittadini, il principe è sollecitato ad impossessarsi dell'autorità ed a farsi carico dei suoi sudditi, incapaci di governarsi e di difendersi, come un pastore del suo gregge. Peggio ancora là dove è ammesso il principio d'ereditarietà. Un cospiratore come il duca d'Orléans, più tardi Luigi XII, un parricida come Luigi XI, un'adultera come Maria Stuarda, conservano, malgrado i loro crimini, il loro eventuale diritto alla corona. Poiché la nascita li rende inviolabili, si può dire che esiste fra di loro ed i fedeli sudditi del principe al quale essi dovranno succedere, un quasicontratto. In due parole, per lo stesso fatto che l'autorità è preponderante nel sistema monarchico, il contratto non è paritario. Il contratto politico invece, acquista la sua dignità ed il suo senso, solo a condizione: 1° di essere sinallagmatico e commutativo; 2° di essere contenuto, quanto al suo oggetto, entro certi limiti: due condizioni che si suppongono esistere sotto il regime democratico, ma che anche in esso, sono spesso solo pura finzione. Si può allora dire che in una democrazia rappresentativa e centralizzatrice, in una monarchia costituzionale e censitaria e a maggior ragione in una repubblica comunista., come concepita da Platone, il contratto politico che lega il cittadino allo Stato sia uguale e reciproco? Si può forse dire che questo contratto, che sottrae ai cittadini la metà o i due terzi della loro sovranità, ed il quarto del loro prodotto, sia contenuto entro giusti limiti? Sarebbe più esatto dire ciò che l'esperienza conferma troppo spesso e cioè che il contratto, in quasi tutti i sistemi, è esorbitante, oneroso, poiché esso è per una parte più o meno considerevole di cittadini senza contropartita; è aleatorio, poiché il vantaggio promesso, già insufficiente, non è neppure assicurato. Affinché il contratto politico, rispetti la condizione sinallagmatica e commutativa suggerita dall'idea di democrazia (perché in parole povere sia vantaggioso ed utile per tutti), bisogna che il cittadino, entrando nell'associazione, 1° abbia tanto da ricevere dallo Stato, quanto ad esso sacrifica; 2° che conservi tutta la propria libertà, sovranità e iniziativa, meno ciò che è la parte relativa all'oggetto speciale per il quale il contratto è stipulato e per la quale si chiede la garanzia allo Stato. Così regolato ed inteso, il contratto politico è ciò che io chiamo una federazione. FEDERAZIONE: dal latino foedus, genitivo foederis, cioè patto, contratto, trattato, convenzione, alleanza ecc., è una convenzione per la quale uno o più capi di famiglia, uno o più comuni, uno o più gruppi di comuni o Stati, si obbligano reciprocamente e su un piano di eguaglianza gli uni verso gli altri, per uno o più oggetti particolari, la cui responsabilità grava da quel momento specialmente ed esclusivamente sui delegati della federazione (a). Torniamo su questa definizione. Ciò che costituisce l'essenza ed il carattere del contratto federale, su cui desideravo richiamare l'attenzione del lettore, è che in questo sistema i contraenti, i capi di famiglia, comuni, cantoni, province o Stati, non solo si obbligano bilateralmente e commutativamente gli uni verso gli altri, ma si riservano individualmente, nel dar vita al patto, più diritti, libertà e proprietà, di quanta ne cedono. Non è così, per esempio, nella società universale dei beni e dei profitti, autorizzata dal Codice civile, altrimenti detta comunità, immagine in miniatura di tutti gli Stati assoluti. Colui che s'impegna con una associazione di questo genere, soprattutto se perpetua, si trova ad essere oppresso da legami, sottomesso ad oneri maggiori dell'iniziativa che conserva. Ma è questo ciò che rende raro questo contratto, e che ha reso in tutti i tempi insopportabile la vita austera. Ogni obbligo, sia reciproco sia commutativo, che, esigendo dagli associati la totalità dei loro sforzi, non lasci niente alla loro indipendenza e li voti tutti interamente all'associazione, è un impegno eccessivo, che ripugna ugualmente al cittadino ed all'individuo. Secondo questi princìpi, poiché il contratto di federazione ha per oggetto, in via di massima, di garantire agli Stati confederati la loro sovranità, il loro territorio, la libertà dei loro cittadini; di regolare le loro diversità, di provvedere per mezzo di misure a carattere generale a tutto quanto interessi la sicurezza e la prosperità comune; questo contratto, dico io, malgrado la vastità degli interessi coinvolti, è essenzialmente limitato. L'Autorità incaricata delle sue esecuzioni non può mai prevalere sulle parti costituenti; voglio dire che le attribuzioni federali non possono mai essere superiori in numero ed in realtà a quelle delle autorità comunali o provinciali, nello stesso modo in cui queste non possono eccedere i diritti e le prerogative dell'uomo e del cittadino. Se così non fosse, il comune sarebbe una comunità; la federazione tornerebbe ad essere una centralizzazione monarchica; l'autorità federale, da semplice mandataria e subordinata quale deve essere, sarebbe considerata come preponderante; invece di essere limitata ad un servizio speciale, tenderebbe ad abbracciare ogni attività ed ogni iniziativa; gli Stati confederati sarebbero convertiti in prefetture, intendenze, succursali o regie. Il corpo politico, così trasformato, potrebbe chiamarsi repubblica, democrazia o tutto ciò che vi piacerà: non sarebbe più uno Stato costituito nella pienezza delle sue autonomie, non sarebbe più una federazione. La stessa cosa si verificherebbe, a maggior ragione, se, per un falso calcolo di economia o per deferenza o per tutt'altra causa, i comuni, i cantoni o gli Stati confederati attribuissero ad uno di loro l'amministrazione ed il governo degli altri. La repubblica da federativa diventerebbe unitaria; sarebbe sulla via del dispotismo (b). Riassumendo, il sistema federativo è l'opposto della gerarchia o centralizzazione amministrativa e governativa, in virtù della quale si distinguono ex aequo: le democrazie imperiali, le monarchie costituzionali e le repubbliche unitarie. La sua legge fondamentale e caratterizzante è questa: nella federazione le attribuzioni dell'autorità centrale si precisano e si riconoscono, diminuiscono di numero, di immediatezza e - oso anche dire - d'intensità man mano che la confederazione si sviluppa per l'adesione dei nuovi Stati. Nei governi centralizzati, al contrario, le attribuzioni del potere supremo si moltiplicano, si ampliano, si fanno più immediate, assorbono nella sfera di competenza del principe gli affari delle province, dei comuni, delle corporazioni, dei singoli, in proporzione alla superficie territoriale ed al numero degli abitanti. Di qui deriva l'oppressione sotto la quale sparisce ogni libertà, non solamente comunale e provinciale, ma anche individuale e nazionale. Una conseguenza di questo fatto, con la quale terminerò il capitolo, è che, essendo il sistema unitario l'inverso del sistema federativo, è impossibile una confederazione fra grandi monarchie ed ancor più fra democrazie imperialiste. Stati come la Francia, l'Austria, l'Inghilterra, la Russia, la Prussia, possono stipulare fra di loro trattati di alleanza o di commercio; ma ripugna che si federino, anzitutto perché il principio su cui si basano è contrario a ciò, e quindi li metterebbe in opposizione con il patto federale; inoltre, di conseguenza, dovrebbero rinunciare a qualcosa della loro sovranità e riconoscere sopra di sé, almeno per certi casi, un arbitro. La loro natura è di comandare, non di transigere o di obbedire. I principi che, nel 1813, sostenuti dall'insurrezione delle masse, combattevano per la libertà dell'Europa contro Napoleone e più tardi formarono la Santa Alleanza non erano dei confederati: l'assolutismo del loro potere non consentiva loro di assumerne il titolo. Erano come nel 92, dei coalizzati; e la storia non darà loro altro nome. La stessa cosa non si può dire della Confederazione germanica, attualmente impegnata in un programma di riforme ed in cui l'affermarsi della libertà e della nazionalità minaccia di far sparire un giorno le dinastie che le sono d'ostacolo (c). Note: (a) Nella teoria di J.J. Rousseau, che è quella di Robespierre e dei Giacobini, il Contratto sociale è una finzione di legista, immaginata per rendere conto, senza ricorrere al diritto divino, all'autorità paterna o alla necessità sociale, della formazione dello Stato e dei rapporti fra il governo e gli individui. Questa teoria, mutuata dai Calvinisti, costituiva nel 1764 un progresso, poiché aveva per scopo di ricondurre ad una legge razionale ciò che fino allora era stato considerato come un appannaggio della legge di natura e della religione. Nel sistema federativo il contratto sociale è più che una finzione; è un patto positivo, effettivo, che è stato realmente proposto, discusso, votato, adottato, e che si modifica regolarmente secondo la volontà dei contraenti. Fra il contratto federativo e quello di Rousseau e del 93, c'è tutta la distanza che passa fra la realtà e l'ipotesi. (b) La Confederazione elvetica si compone di venticinque Stati sovrani (diciannove cantoni e sei semi-cantoni) per una popolazione di due milioni quattrocentomila abitanti. Essa è dunque retta da venticinque costituzioni, analoghe alle nostre carte o costituzioni del 1791, 1793, 1795, 1799, 1814, 1830, 1848, 1852, più una costituzione federale, di cui naturalmente noi non abbiamo, in Francia, l'equivalente. Lo spirito di questa costituzione, conforme ai principi sopra esposti, risulta dagli articoli seguenti: Art. 2 - La confederazione ha per scopo: di sostenere l'indipendenza della Patria contro lo straniero, di mantenere la tranquillità e l'ordine interno, di proteggere la libertà ed i diritti dei confederati, di promuovere la loro comune prosperità. Art. 3 - I cantoni sono sovrani fin dove la loro sovranità non è limitata dalla costituzione federale, e, come tali, esercitano tutti i diritti che non sono devoluti all'autorità federale. Art. 5 - La Confederazione garantisce ai cantoni il loro territorio, la loro sovranità entro i limiti stabiliti dall'articolo 3, le loro costituzioni, la libertà ed i diritti del popolo, i diritti costituzionali dei cittadini, così come i diritti e le attribuzioni che il popolo ha conferito alle autorità. Così una confederazione non è propriamente uno Stato: è un insieme di Stati sovrani ed indipendenti legati da un patto di mutua garanzia. Una costituzione federale non è ciò che s'intende in Francia per carta o costituzione e che è il compendio del diritto pubblico del Paese; è il patto che contiene le condizioni della lega, cioè i diritti ed i doveri reciproci degli Stati. Ciò che si definisce Autorità federale, infine, non è un vero governo; è un'agenzia creata dagli Stati, per esplicare in comune certi servizi, a cui ogni Stato rinuncia e che diventano così attribuzioni federali. In Svizzera, l'Autorità federale si compone di un'Assemblea deliberante, eletta dal popolo dei ventidue cantoni, e di un Consiglio esecutivo composto da sette membri nominati dall'Assemblea. I membri dell'Assemblea e del Consiglio federale sono nominati per tre anni: poiché la costituzione federale può essere revisionata in ogni momento, le loro attribuzioni sono, come le persone, revocabili. Cosicché il potere federale è, in tutto il significato del termine, un mandatario messo nelle mani dei suoi committenti, ed il cui potere varia secondo la loro volontà. (c) Il diritto pubblico federativo solleva parecchie questioni difficili. Per esempio, uno Stato che ammette la schiavitù può fare parte di una confederazione? Sembra di no, come non lo può uno Stato assolutista: la schiavitù di una parte della nazione è la negazione stessa del principio federativo. Da questo punto di vista, gli Stati uniti del Sud avrebbero tanto più ragione a chiedere la separazione in quanto non rientra nell'intenzione di quelli del Nord di accordare, almeno per qualche tempo, ai Negri emancipati il godimento dei diritti politici. Tuttavia noi sappiamo che Washington, Madison e gli altri fondatori dell'Unione non sono stati di questo parere ed hanno ammesso al patto federale gli Stati schiavisti. E' anche vero che noi vediamo attualmente questo patto contro natura in crisi e gli Stati del Sud, per conservare il loro sfruttamento, tendere ad una costituzione unitaria, mentre quelli del Nord, per mantenere l'unione, decretano la deportazione degli schiavi. La costituzione federale Svizzera, riformata nel 1848, ha risolto la questione nel senso dell'eguaglianza; il suo articolo 4 dice: Tutti gli svizzeri sono uguali innanzi alla legge. Nella Svizzera non vi ha sudditanza di sorta, né privilegio di luogo, di nascita, di famiglia o di persona; dalla promulgazione di quest'articolo, che ha purgato la Svizzera di ogni elemento aristocratico, si data la vera costituzione federale elvetica. In caso di contrasto d'interessi, la maggioranza confederata può opporre alla minoranza separatista l'indissolubilità del patto? Il no è stato sostenuto nel 1846 dal Sunderbund, contro la maggioranza elvetica; ed oggi lo sostengono gli Stati del Sud dell'Unione americana contro i federalisti del Nord. Quanto a me, ritengo che rientri nel pieno diritto chiedere la separazione, se si tratta di una questione di sovranità cantonale non prevista nel patto federale. Così non è dimostrato che la maggioranza abbia ricavato il suo diritto contro il Sunderbund dal patto: la prova è che nel 1848 la costituzione federale è stata riformata, proprio in vista dei litigi a cui aveva portato la formazione del Sunderbund. Ma può verificarsi, per delle considerazioni di comodo ed incomodo, che le pretese della minoranza siano incompatibili con i bisogni della maggioranza, che inoltre la scissione comprometta la libertà degli Stati; in questo caso la questione si risolve col diritto di guerra, ciò significa che la parte più considerevole, quella a cui la rovina comporterebbe il più grande danno, deve prevalere sulla più debole. E' ciò che ha luogo in Svizzera e che potrebbe ugualmente praticarsi negli Stati Uniti, se, negli Stati Uniti come in Svizzera, non si trattasse che di un'interpretazione o di un'applicazione migliore dei principi del patto, come sarebbe per esempio elevare progressivamente la condizione dei Negri a livello di quella dei Bianchi. Disgraziatamente, il messaggio di M. Lincoln non lascia alcun dubbio a questo proposito. Il Nord, come il Sud, non intende parlare di una vera emancipazione e ciò rende la difficoltà insolubile, anche con la guerra, e minaccia di annientare la confederazione. Nella monarchia, tutta la giustizia emana dal re; in una confederazione essa emana, per ogni Stato, esclusivamente dai suoi cittadini. L'istituzione di un'alta corte federale sarebbe dunque, in via di principio, una deroga al patto. Sarebbe come una Corte di cassazione, poiché, essendo ogni Stato sovrano e legislatore, le legislazioni non sono uniformi. Tuttavia, siccome esistono degli interessi federali e degli affari federali; siccome possono essere commessi dei delitti e dei crimini contro la confederazione, ci sono, per questi casi particolari, dei tribunali federali ed una giustizia federale.

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