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Approfondimenti

Per ogni tema trattato verranno indicati i testi principali usati come fonte di ispirazione. Questi testi contengono a loro volta amplie bibliografie che si potranno utilizzare per indagare su aspetti più profondi di ogni tema trattato. I testi citati sono in una buona armonia tra di loro loro e in alcuni casi si richiamano direttamente ed esplicitamente. Senza questa armonia le tesi sostenute non avrebbero coerenza. È nelle fonti che vengono trattati i punti critici e i problemi aperti, nonchè linee alternative di ricerca su cui verificare la coerenza complessiva. Il criterio seguito è quello di trovare le teorie più libere da vecchi condizionamenti culturali come l'ingenua credenza in un progresso irreversibile e necessario presente nelle teorie fin qui dominanti. Questo per avere gli strumenti concettuali minimi per affrontare le crisi che oggi ci troviamo davanti. Sia nel testo precedente che negli approfondimenti non c'è alcuna pretesa di stabilire "cosa si deve fare" o "quale sia la verità". Nè leggi naturali nè leggi storiche indicano in modo autoritativo ed univoco cosa si "deve" fare. Ogni singola tesi o fatto citato può essere criticato, rivisto, reinterpretato. Le tesi e le fonti citate servono solo come una tavolozza di possibilità per affrontare in modo organizzato e alla radice le grandi crisi che, queste sì, "dobbiamo" affrontare. Sia l'Antica Europa che le società non industriali erano fatte di uomini reali, con le loro pulsioni e la loro violenza, e non vanno mitizzate come un eden perduto. Ma possono aiutarci a ritrovare una relazione più saggia tra noi stessi e tra noi e la Natura. Come in un albero, ogni tema trattato nelle fonti citate parte dal tronco e da pochi rami principali per arrivare alle foglie e alle radici. Inoltre per qualsiasi argomento o voce, wikipedia è attendibile quanto l'Enciclopedia Britannica. Se ne consiglia l'uso, è uno strumento cooperativo.

C'era una volta l'Antica Europa

Autorevoli esperti sostengono che le tesi di Marija Gimbutas, archeologa all'università americana di Berkeley ma di origine lituana, rappresentino un svolta rivoluzionaria nel modo di considerare la civiltà nella quale oggi viviamo, il nostro passato, il rapporto tra donne e uomini, il rapporto tra l'umanitá e il nostro pianeta. Marjia Gimbutas ha studiato nei Balcani e nell'area del Danubio una civiltà assolutamente originale che presenta caratteristiche opposte a quella che sarà la civiltà indoeuropea, che oggi è "la civiltà". La civiltà dell'Antica Europa sposta migliaia di anni indietro la comparsa di culture sofisticate, complesse, che si espandevano con l'arte e la speculazione intellettuale, pacifiche, amanti della bellezza e dell'armonia, con una cosmogonia centrata sulla figura della "dea". Questa civiltà era basata su un rapporto di genere, tra maschio e femmina, che vedeva la donna al centro della spiritualità e delle pratiche sacrali, e la natura come origine e arrivo del processo vitale secondo il ciclo nascita-morte-rinascita. La presa d'atto documentaria dell'esistenza stessa di questa civiltà smentisce la favoletta storica che vede l' umanità progredire in modo meccanico e lineare da una condizione di barbarie e di estrema semplicità di vita ad una sempre più complessa e raffinata. In realtà culture molto avanzate e complesse sono sparite, a volte misteriosamente, a volte perchè sopraffatte da altre culture più semplici e rozze ma aggressive ed efficienti nella loro aggressività. La complessità nasce dal fatto che queste culture scomparse vivano in realtà negli strati profondi della memoria collettiva, riemergendo a volte appena le condizioni ideologiche o le scoperte storiche lo permettano, come dimostra il libro seguente di R.Eisler. Fonte: "Il calice e la spada", Riane Eisler, Frassinelli, 2006. Introduce alle teorie di M.Gimbutas e delinea il passaggio dal culto di forze spirituali femminili a quello di personaggi maschili portatori di una cultura molto diversa. Vedere a pag.349 la mappa delle invasioni indoeuropee disegnata apposta da M.Gimbutas per R.Eisler. Importante l'introduzione di Mauro Ceruti che riassume le conoscenze acquisite sul nostro passato e spiega l'utilità di queste scoperte per costruire il nostro futuro. Fonte:"La civiltà della dea", Marija Gimbutas, Stampa Alternativa, Volume 1, 2012, e Volume 2, 2013, traduzione e cura di Mariagrazia Pelaia. È l'opera fondamentale sulla civiltà denominata "Antica Europa" che si espande da un primo nucleo sud orientale verso Nord e Occidente. La Gimbutas unifica popolazioni e culture nel segno di una Grande Dea creatrice che guida i popoli verso una convivenza pacifica ed egualitaria. Uno scenario supportato da una poderosa mole di dati e dal meticoloso e puntuale esame della religione, della scrittura, della struttura sociale, che si conclude con l’analisi del suo declino attribuito alla comparsa degli indoeuropei Kurgan, bellicosi e patriarcali. Fonte: "Il linguaggio della dea", Marjia Gimbutas, Venexia, 2008. È l'unico esempio di archeoreligione , o archeomitologia, iniziato con lo studio dei simboli e delle rappresentazioni artistiche scoperte nei numerosi siti dell 'Antica Europa che si sono diffuse verso l'intera Europa continentale. Il libro contiene una bibliografia esaustiva, anche delle opere della Gimbutas stessa. Fonte: "Cucuteni Trypillia - Una grande civiltà dell'Antica Europa", Vaticano, Palazzo della Cancelleria, Roma, Catalogo della Mostra, 16 settembre - 31 ottobre 2008 . A cura del complesso museale nazionale "Moldova" di Iasi, Romania. La mostra è stata organizzata sotto l'alto patrocinio del ministero della cultura e degli affari religiosi della Romania, del ministero della cultura e del turismo di Ucraina, e con un contributo della repubblica di Moldova. A pag 40 una breve descrizione delle conclusioni degli studiosi sul tipo di civiltà portata alla luce a Cucuteni e Trypillia: "Non vi erano differenze tra le varie tipologie abitative. Dunque non è possibile stabilire quali case appartenessero a persone ricche e quali a persone povere. Le variazioni nelle dimensioni delle abitazioni potrebbero essere attribuite al numero dei membri della famiglia che vi risiedeva, o dipendere dalle tecniche di costruzione delle case. Pertanto, non è possibile parlare di ineguaglianza sociale [come nelle società in cui vigeva la schiavitù], ma solo dell'esistenza di una naturale gerarchia all'interno di ciascuna comunità. Come non si può sostenere che esistesse una categoria di guerrieri, in quanto la maggior parte degli abitanti era dedito all'agricoltura. Gradualmente, iniziarono ad emergere gli artigiani (ceramisti, addetti alla lavorazione dei metalli, intagliatori del legno e della pietra, costruttori), così come dei personaggi con un ruolo specifico nel campo della religione. L'abbondanza di statuine antropomorfe femminili e la parallela scarsità di sculture a soggetto maschile sembra suggerire l'importanza del ruolo delle donne all'interno di queste comunità". Qui si tocca il punto centrale della gerarchia definita "naturale", cioè della naturale differenza tra gli esseri umani contrapposta alla "artificiale" gerarchia costruita sulla cristallizzazione ereditaria di queste differenze. Si ipotizza anche la nascita di nuove attività sociali che potrebbero aver generato dei ruoli diversi. Ma il ruolo principale, se si parla di ruoli o gerarchie, era quello della Madre, divinizzata, e della donna. Fonte: "Gli indoeuropei e le origini dell'Europa - Lingua e storia", Francisco Villar, Il Mulino, 1997. Vedere Parte Prima, cap.III, pag.93, "La Vecchia Europa" e Parte Seconda cap.I, pag.131, "Una società guerriera" (quella indoeuropea). Collega le manifestazioni storiche delle varie civiltà europee allo sviluppo del linguaggio e della scrittura. Fonte: "L'America dimenticata - I rapporti tra le civiltà e un errore di Tolomeo", Lucio Russo, Mondadori Education, 2013. Il par.2.3, pag.27-32, "Dai Balcani alla Mongolia", è un ottima introduzione al tema delle relazioni tra le civiltà, ed alla Antica Europa, termine introdotto da Marija Gimbutas in "The Goddesses and Gods of Old Europe: Myth and Cult Images (6500-3500 B.C.)", Thames and Hudson, London, 1974. Dice L.Russo a pag.27: "Nel VI e V millennio a.C. La cultura che è stata detta 'Antica Europa' (Old Europe), localizzata nella penisola balcanica, era la più ricca e complessa dell'Eurasia.". Vedi anche fig.7 pag.29. Sempre in questo libro di L.Russo c'è un'ottima panoramica delle teorie e dei fatti storici e protostorici che mettono in dubbio la tesi di un progresso lineare irreversibile dalla "semplicità" alla "complessità" (complessità di cui manca una definizione credibile). Vedi par.5.1, "Dalla fede nel progresso alla moda dei collassi", pag.71-75. Vi si citano Mario Liverani e Joseph Tainter, citati qui di seguito.

Noi e gli altri Mentre la sociologia tratta in genere le società moderne, l'antropologia culturale tratta le società che sono sempre state considerate fino a tempi più recenti come "società arretrate". In tutte le definizioni di queste società appare il prefisso "pre" : pre-industriali, pre-statali, pre-istoriche, pre-moderne. Questa impostazione è stata ufficialmente abbandonata dagli antropologi attuali. L'evoluzione biologica, culturale e storica segue numerosi corsi che si intrecciano, ognuno dei quali non si può definire come "migliore" e "a misura di tutti gli altri". Per iniziare è necessario mettere a fuoco gli elementi fondamentali dell'antropologia culturale, dell'antropologia economica, dell'antropologia politica, dell'antropologia della violenza. Sono queste le quattro fondamentali attività IEMP intorno a cui i gruppi umani si organizzano nel perseguire i propri obiettivi, cioè la ricerca consapevole del significato delle proprie esperienze, la sopravvivenza nell'ambiente naturale, la gestione dei rapporti e degli equilibri di potere all'interno dei gruppi e tra i gruppi, l'uso della violenza letale per la difesa, la predazione, il controllo del territorio. Fonte: "Dizionario di sociologia", Luciano Gallino, UTET, 2006. Pag.16: "Altro generalizzato". Pag.19: "Altro significativo". Da collegare a "La civiltà delle buone maniere" di N.Elias citato negli Approfondimenti al paragrafo “La stratificazione sociale e l'organizzazione”, perchè vi si indicano i ruoli che cambiando nel corso della storia cambiano la struttura della nostra psicologia. Dice G.H.Mead: "Noi non possiamo essere noi stessi se non siamo anche membri di una società in cui esiste una comunanza di atteggiamenti che regola gli atteggiamenti di tutti. Non possiamo avere dei diritti se non abbiamo degli atteggiamenti comuni. Ciò che abbiamo acquisito come persone autocoscienti ci rende appunto membri della società e costituisce il nostro Sé. I Sé possono esistere solamente in rapporti bene definiti con altri Sé. Non si può tracciare una stabile linea di demarcazione tra i nostri Sé e i Sé degli altri dal momento che i nostri stessi Sé esistono ed entrano in quanto tali nella nostra esperienza solo in quanto esistono anche i Sé degli altri, che entrano in quanto tali nella nostra esperienza. L’individuo possiede un Sé solo in relazione ai Sé degli altri membri del suo gruppo sociale e la struttura del suo Sé esprime e riflette il generale modello di comportamento del suo gruppo sociale, allo stesso modo della struttura del Sé di tutti gli altri individui appartenenti allo stesso gruppo sociale” (Mead, "Mente, sé e società dal punto di vista di uno psicologo comportamentista", 1934, pp. 177 – 178 – 179). L'individuo umano come organismo biologico ha un ruolo estremamente attivo in questa interazione simbolica con i gruppi con cui entra in relazione, famiglia, amici, istituzioni sociali costituite da ruoli codificati. È una costruzione di identità, una costruzione del suo Sè, che parte da un nucleo attivo che Mead chiama "io". È questo nucleo che costruisce gli altri Sè presenti come Altro Generalizzato. Sulla base di questi presupposti Mead fonda anche la sua concezione della società ideale quale comunità democratica integrata, pluralistica e cooperativistica, in cui gli individui sono membri di numerosi gruppi sociali, differenziati funzionalmente all’interno di una stessa totalità sociale. Condizione fondamentale per realizzare una società cooperativa, non conflittuale e sufficientemente differenziata, è che sussista un’adeguata organizzazione degli atteggiamenti comuni. Un importante approfondimento del concetto di "altro generalizzato" è "altro significativo" ("Carattere e struttura sociale", H.Gerth e C. Wright Mills, 1969, Torino) dove viene evidenziato il ruolo speciale nella formazione della psiche individuale di alcune persone, in primis le figure autoritarie. Fonte: "Corso di sociologia", Arnaldo Bagnasco, Marzio Barbagli, Alessandro Cavalli, il Mulino, 2007. Nel cap. VI, "Identità e socializzazione", pag.139, tratta della funzione dei ruoli sociali nella formazione della psiche individuale. Cita gli studi di G.H.Mead a pag.146 su "l'altro generalizzato.". Fonte: "Antropologia culturale - Un'introduzione", Amalia Signorelli, McGraw-Hill, 2007. Il manuale della allieva del più grande antropologo italiano, Ernesto De Martino, è una buona introduzione ai temi dei rapporti umani e delle varie culture che le società hanno elaborato nel corso del tempo nei vari ambienti geografici. Il cap.2 "La costruzione degli altri da noi" tratta in una sessantina di pagine tutti i temi che tratta anche il paragrafo "C'era una volta l'Antica Europa". È importante la premessa da cui parte la trattazione delle differenze tra esseri umani: "Abbiamo ripetuto più volte che la diversità tra gli esseri umani non è un dato ontologico, quanto un prodotto mutevole delle relazioni tra esseri umani: la diversità è storica, relazionale, dinamica.". Segnaliamo i paragrafi "Raccoglitrici e cacciatori", "I diversi interni" (anche se Mario Liverani in "Uruk, la prima città" sostiene ipotesi "conflittuali” diverse che completano quelle di A.Signorelli), "Gli indoeuropei", "I colonizzati". Il cap.4 " La ricognizione delle diversità: sistemi di sostentamento, strutture e istituzioni sociali, insediamenti" riprende sempre in una sessantina di pagine i temi del cap.2 : da un lato l'economia del dono e della reciprocità dei cacciatori-raccoglitori, dall'altro le forme del potere degli imperi agrari e la stratificazione sociale apparsa con capi, sovrani, re. Pag.219: "La struttura sociale adottata da questi grandi imperi (non solo quelli del Medio Oriente e della Valle del Nilo, ma anche quelli orientali e quelli americani) ha segnato un cambiamento di estrema rilevanza nelle forme di organizzazione delle società: è in queste grandi formazioni economico-sociali che le società assumono una struttura stratificata. In altre parole, nasce qui la stratificazione sociale, vale a dire l'organizzazione della società in strati, di cui la condizione servile è lo strato più basso.". Pag.224, al paragrafo "Ubbidienza, consenso, egemonia": "I sistemi sociopolitici rappresentano casi esemplari di contraddizione, nella misura in cui sono, tutti, basati su rapporti di comando e ubbidienza, di dominio e subalternità, di sopraffazione e sottomissione. Perchè alcuni esseri umani comandano? Perchè altri, in genere molto più numerosi, ubbidiscono? La spiegazione funzionale suggerisce che si ubbidisce perchè si riconosce la validità, la razionalità, la convenienza personale e collettiva dei comportamenti imposti da chi comanda. Questo può essere vero in alcuni casi, ma è del tutto insufficiente per spiegare perchè milioni e milioni e milioni di esseri umani hanno accettato e accettano di vivere nella condizione femminile di sottomissione, nella condizione servile di schiavitù, nella condizione lavorativa di sfruttamento e alienazione, nella condizione militare di destinati a morire, nella condizione di consumatori di un'esistenza mercificata.". La risposta di A.Signorelli sta nella produzione del consenso attraverso l'egemonia culturale esercitata sulle masse dalle élite di potere. Questo avviene sicuramente ma solo perchè le masse percepiscono che non hanno alternative. È questo meccanismo che le costringe ad accettare sul piano culturale l'egemonia dei ceti dominanti. Secondo Michael Mann “la gente non è stupida”. La mancanza di alternative, e la mancanza di alternative culturali, deriva dai meccanismi che hanno originato i primi stati e che poi si sono propagati e cristallizzati diventando enormi sistemi socio-economici come gli imperi con le loro periferie e colonie, dai quali non si può scappare e nei quali non si possono costruire economie o culture diverse da quelle che attualmente occupano tutti gli spazi geografici e culturali disponibili. È questa la teoria dello "ingabbiamento" che spiega l'origine dei primi stati, sostenuta da Robert L. Carneiro e ripresa da Michael Mann. Nel primo caso, nell'ipotesi che queste relazioni di dominio dipendano in primis dall'egemonia culturale delle élite, per liberarsene basterebbe una presa di coscienza culturale di massa, basata su educazione e autoeducazione. Così predicano quasi tutti i partiti e movimenti politici di opposizione, compresi i partiti di orientamento marxista (in forte declino come partiti di opposizione ma saldamente rimasti al potere come partito unico di governo in alcuni stati importanti). Nella seconda ipotesi invece, per uscire dalla gabbia che è ideologica, politica, economica e militare, è necessario ricostruire in modo diverso tutte le condizioni sociali di esistenza IEMP che si sono strettamente intrecciate e sintonizzate tra loro nel corso di secoli e secoli.

È questa la mia proposta. Per far questo non è sufficiente “pensare” ma è necessario anche “agire” quotidianamente nel proprio contesto di vita. Questa seconda ipotesi, che vede molto più oneroso il lavoro di costruzione di una società alternativa, è però l'unica realistica. È stata sostenuta nel passato dai socialisti definiti "utopisti" che sarebbe più corretto definire "socialisti sperimentali". Il collasso della ex URSS e dei paesi satelliti conferma la necessità di guardare in modo realistico, storicizzato, sperimentale e partecipativo al lavoro di costruzione collettiva di società umane diverse, libere, differenziate.

Fonte: "Gli argonauti del Pacifico Occidentale. Riti magici e vita quotidiana nella società primitiva", Bronislaw Malinowski, Bollati Boringhieri, 2004. Pubblicato nel 1922, questo libro è il frutto di una ricerca sul terreno condotta nelle isole Trobriand (Papua-Nuova Guinea), presso società di orticoltori che praticavano anche la pesca e l'allevamento di maiali a fini cerimoniali. Centrale nello studio di Malinowski è il sistema di scambi detto "Anello di Kula" che si svolgeva - e si svolge ancora - tra una trentina di isole, stabilendo rapporti di partenariato tra individui appartenenti a società diverse. Oggetto dello scambio sono collane e braccialetti privi di utilità pratica, ma carichi di valore simbolico. Il richiamo agli Argonauti dell'Antichità classica nel titolo si riferisce ai viaggi compiuti su canoe decorate che stabiliscono i contatti tra donatori e donatari. È uno studio esemplare, al di là del tempo trascorso, grazie al fatto che Malinowski indagava società ancora vitali e indipendenti nella loro indentità culturale. Fonte: "Un grosso sbaglio. L'idea occidentale di natura umana", Marshall Sahlins, Elèuthera, 2010. Molto prima di Hobbes e fino ai nostri giorni, fra miti, religioni, filosofia e scienza, la civiltà occidentale è stata ossessionata dallo spettro di una natura umana così avida e litigiosa, cosi "bestialmente" egoista, che deve essere tenuta a bada da un pugno di ferro istituzionale da cui traggono la loro giustificazione gerarchie e diseguaglianze sociali. È il paradigma di "Homo homini lupus". Questa visione presuppone una contrapposizione fondante tra natura e cultura che antropologia e paleontologia invece contraddicono. La natura dell'Homo sapiens è la sua cultura, anzi le sue culture. E la stessa idea che siamo schiavi delle nostre inclinazioni animali non è altro che una creazione socio-storica, cioè culturale. Un'idea non proprio felice, visti i risultati. Thomas Hobbes, autore del "Leviathan", una teoria della nascita dello stato come di una costruzione volontaria collettiva e spontanea, utile al mantenimento della pace interna ed esterna, è stato definitivamente smentito dalla evidenza storica di millenni indagati con precisione e pazienza nei dettagli più intimi. È lo stato e la costellazione di stati che chiamiamo impero che hanno portato la violenza all'interno ed all'esterno. Non ha portato la pacificazione, altrimenti oggi vivremmo in condizione di sicurezza e di pace. Certo questa spirale, una volta innescata, è stato impossibile fermarla. Niccolò Machiavelli invece non aveva molto interesse alle costruzioni collettive spontanee quanto piuttosto all'azione di un singolo principe. Machiavelli consigliava l'uso della violenza letale e dell'inganno spacciato per astuzia, il comportamento del leone e della volpe, al fine lecito (come i mezzi per raggiungerlo) della costruzione di un principato, di uno stato, di un impero. Sia Hobbes che Machiavelli vedevano come totalità unica i reticoli del potere militare e politico. Non vedevano il reticolo ideologico della religione, della morale, dell'arte. Vedevano poco anche il reticolo economico proprio mentre Venezia, Genova, Firenze e Milano inventavano il primo capitalismo. Machiavelli non arriva a capire, prendendonsela con la "fortuna", l'importanza che aveva avuto per Valentino Borgia il potere ideologico-religioso del padre che era il papa Alessandro VI, morto il quale il povero principe-cardinale faceva in breve tempo una fine ingloriosa. Quanto a Hobbes, costui azzera la natura culturale dell'uomo riducendolo ad una massa di istinti animali, secondo una concezione puramente negativa e spregiativa (gerarchica) del mondo animale. Ignorava che l'essere umano da due milioni di anni aveva sviluppato, senza re e senza stati, un formidabile apparato simbolico e "culturale" che erano diventati ormai la sua "natura", come la moderna antropologia evoluzionista insegna. La soluzione di Hobbes è la burocrazia coercitiva dello stato. Il principe di Machiavelli si ispira invece al prototipo antropologico del "leader carismatico" teorizzato dal grande sociologo Max Weber, un conservatore liberale che aveva teorizzato anche sulla burocrazia. La sua teoria del "Fuhrerprinzip" purtroppo negli anni 1920 trovava nella sua Germania una sgradita inaspettata incarnazione in Adolf Hitler. Un principe, un condottiero capace di costruire un "reich" della durata di soli ventanni. Hobbes era nato nel 1588 quando l'impero spagnolo e la sua "invincibile armata" minacciavano di invadere l'Inghilterra. Machiavelli aveva vissuto il nascente imperialismo francese di Carlo VIII minacciare con le “horrende” guerre italiche l'autonomia degli stati regionali italiani. Entrambi osannati per il loro "realismo" e la loro "modernità", la loro profonda conoscenza della natura umana, non avevano capito il processo monopolistico della costruzione degli imperi, costituito da guerre, conquiste, distruzioni, omologazioni e standardizzazioni religiose, economiche, militari e politiche che avrebbero cambiato la psiche umana. In sostanza Hobbes e Machiavelli non avevano capito che la logica del potere distributivo ("quello che io guadagno è quello che tu perdi", oppure più crudamente "mors tua vita mea") porta ad una concorrenza distruttiva dove il più forte costruirà culturalmente uno più forte di lui che lo destituirá. Questo in genere avviene negli interstizi IEMP o nelle marche di frontiera. I vincitori governano su un cumulo di macerie in attesa del loro declino. Così ci si è trovati dopo la fine della II guerra mondiale, conclusa nel 1945 dC con Hiroshima e Nagasaki, epilogo attuale di questa storia di imperi sempre più estesi. La II guerra mondiale è stata una enorme distruzione a cui è seguita nel dopoguerra, sì certo, una temporanea ricostruzione basata sul petrolio ma durata solo trent'anni di relativo benessere caratterizzati dal terrore di una minaccia nucleare. Il vincitore URSS è collassato poco dopo. L'altro vincitore, gli USA, tentano in ogni modo, lecito o illecito, morale o immorale, pacifico o letale, democratico e non, di contrastare il loro lento declino. Fonte: “Economia dell'età della pietra - Scarsità e abbondanza nelle società primitive”, Marshall Sahlins, Bompiani, 1980. Tratta delle culture dei cacciatori raccoglitori, della loro “economia” intesa come organizzazione sociale della sopravvivenza, del confronto di questa economia con l'economia moderna. Secondo Sahlins le società dei cacciatori raccoglitori si possono considerare una vera società dell'abbondanza (affluent society), poiché realizzavano con il minimo sforzo la massima efficienza nel procurarsi il necessario per vivere. Si calcola che questo fosse loro possibile “lavorando” in media due ore al giorno nel corso dell'anno. I cacciatori raccoglitori consumano pro capite meno energia di qualsiasi altro gruppo umano conosciuto. Quanto al loro stile di vita, era uno stile di vita “non materialistico” che dava priorità alle relazioni sociali, alle speculazioni culturali ed estetiche sulla natura, al semplice piacere di vivere. Fonte: "L'anarchia selvaggia", Pierre Clastres, elèuthera, 2013. Pierre Clastres era un etnologo e antropologo allievo di Claude Levi-Strauss di cui ricordiamo in particolare "Il pensiero selvaggio" nel quale CLS sostiene la pari dignità cognitiva di questa forma di esperienza rispetto al pensiero scientifico occidentale. Il volumetto racchiude quattro saggi di cui segnaliamo in particolare "Archeologia della violenza: la guerra nelle società primitive", e "Età della pietra, età dell'abbondanza" che è la prefazione francese all'opera di M.Sahlins "Economia dell'età della pietra". M.Sahlins, Pierre Clastres e Claude Levi-Strauss hanno lavorato insieme a Parigi per un certo periodo condividendo studi e analisi pur avendo posizioni distinte. Il volumetto è utile perchè contiene tutta la bibliografia di Pierre Clastres, il cui lavoro è magistrale per semplicità, chiarezza, creatività, capacità di vedere i problemi rovesciando prospettive date-per-scontate. Pierre Clastres denuncia la pretesa di spiegare le società "selvagge" dal punto di vista della cultura occidentale moderna, come se si trattasse di società che non hanno "ancora" raggiunto la "perfezione" occidentale "moderna" secondo un modello meccanicistico e deterministico di evoluzione storica unilineare. Si tratta invece di società diverse e dinamiche che seguivano dei percorsi evolutivi diversi finchè ciò gli è stato permesso. Questa pretesa è espressa in modo uniforme sia dagli economisti classici sia dai teorici marxisti, accomunati dalla stessa fede in un processo storico basato esclusivamente sulle "forze produttive" che vede il capitalismo o il socialismo (o entrambi come in Cina) rappresentare il compimento necessario della storia umana. La critica di Pierre Clastres è particolarmente efficace verso l'antropologia marxista definita una "etnologia della miseria" che si risolve in una "miseria della etnologia". Pierre Clastres, morto tragicamente in giovane età, quando non insegnava a Parigi viveva come etnologo assieme agli indiani amazzonici Guayakí, Guaraní, Chulupi. Fonte: "La società contro lo stato - Ricerche di antropologia politica", Pierre Clastres, ombre corte/culture, 2003, Verona. Pag.149: "Non c'è dunque re nella tribù, ma un capo che non è un capo di Stato. Che cosa significa? Semplicemente che il capo non dispone di alcuna autorità, di alcun potere coercitivo, di alcun mezzo per impartire un ordine. Il capo non comanda, la gente della tribù non ha alcun dovere di obbedienza. Lo spazio della chieftanship non è il luogo del potere, e la figura assai mal nominata del "capo" selvaggio non prefigura sotto nessun aspetto quella di un futuro despota. Non è certo dalla futura chieftanship che si può dedurre l'apparato statale in generale." Le società "selvagge" erano il luogo di una intensa attività intellettuale e di una raffinata filosofia politica. Ispirate agli stessi principi di difesa dei diritti di eguaglianza, libertà e autonomia individuale scoperti in occidente dopo i viaggi nelle Americhe, e proclamati nel corso delle rivoluzioni inglese, americana, francese.

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