Linguaggio della Dea
Da Ortosociale.
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Il Libro
"Il linguaggio della Dea" di Marija Gimbutas. Edito da Venexia Editrice, Viale dei Primati Sportivi 88, 00144 Roma, Tel. 06-45476421 Fax 06-5090166, orlandini@venexia.it www.venexia.it Selene Ballerini è la curatrice della versione italiana.
Il Linguaggio della Dea
Ho iniziato a leggere "Il linguaggio della Dea" di Marija Gimbutas, l'archeologa che ha studiato la preistoria recente scoprendo la civiltà chiamata "Europa Antica" estesa dalla Grecia all'Ucraina, e da lì in Scandinavia, Irlanda, Isole Britanniche, Bretagna, Spagna, Sardegna (la sua presenza in Sardegna è cospicua), Sicilia, Malta. Una civiltà che va dal 7000 al 3000 a.C. circa. Marija Gimbutas ha studiato anche (e per questo è più famosa) la civiltà dei proto-indoeuropei (i popoli dei kurgan) che hanno distrutto la civiltà dell'Antica Europa (ma in parte assimilandola) tra il 4200 e il 2800 a.C. Marija Gimbutas ha fatto un lavoro enorme. Oltre agli scavi da lei diretti in vari posti, dall'Europa centrale alla Puglia, ha comparato le mitologie storiche con i dati archeologici da lei raccolti. Il libro tratta dell'esame attento e comparato di 2000 reperti. Alcuni di questi risalgono alla notte dei tempi (500.000 a.C.) con una straordinaria continuità di temi e di simboli: la femminilità, la vita nel suo sbocciare, la terra nelle sue infinite manifestazioni. La lettura è emozionante. Un punto importante da chiarire è che la società delineata da Marija Gimbutas e Riane Eisler non è una società matriarcale con un potere della donna sull'uomo. Era una società con un rapporto paritario tra uomo e donna, quella che si chiama una società gilanica, contrapposta alla società androcratica che vede invece il dominio di un sesso sull'altro (nella fattispecie il dominio maschile). Questo tipo di società per l'importanza dell'elemento femminile nella spiritualità con cui viveva la sacralità della natura, si può anche definire matrifocale o matristica. A livello sociale la parità e l'armonia tra i sessi erano fuori discussione. Era una società pacifica che non conosceva la guerra nè all'esterno di sè nè al proprio interno.
Prefazione di Joseph Campbell
Un secolo e mezzo fa Jean-Francois Champollion attraverso la decifrazione della stele di Rosetta riuscì a stabilire un lessico di geroglifici di cui successivamente ci si avvalse per interpretare lo smisurato tesoro del pensiero religioso egizio dal 3200 a.C. al periodo tolemaico. Allo stesso modo Marija Gimbutas con questa sua raccolta, classificazione ed esegesi descrittiva di oltre 2000 manufatti simbolici rinvenuti in siti europei dell'Antico Neolitico (7000-3500 a.C. circa) è stata in grado non soltanto di elaborare un repertorio basilare di elementi figurativi ricorrenti quali chiavi interpretative della mitologia di un'epoca, mai prima documentata, ma anche di fissare, sul fondamento di questi segni decodificati, le linee peculiari e i principali contenuti di una religione che venerava sia l'universo in quanto vivente corpo della Dea-Madre Creatrice, sia tutto ciò che vive al suo interno perchè partecipe della sua divinità. Una religione - lo si capisce subito - che si pone in antitesi con le parole dette dal Padre-Creatore ad Adamo nel Genesi (3, 19): "con il sudore del tuo volto mangerai il pane; finchè tornerai alla terra, perchè da essa sei stato tratto: polvere tu sei e in polvere tornerai!"; in quella mitologia dei primordi la terra da cui tutti gli esseri viventi sono stati originati non è infatti polvere bensì vita, proprio come la Dea-Creatrice. Nella letteratura culturale europea il primo riconoscimento di un ordine matristico affermatosi prima delle forme storicizzate nel pensiero e nella vita dell'Europa e del Vicino Oriente apparve nel 1861 in <<Das Mutterrecht>> di Johann Jacob Bachofen, dove si dimostrava che nella normativa del diritto romano erano riconoscibili tracce residuali di una successione matrilineare nell'eredità. Negli Stati uniti 10 anni prima era uscito un saggio in due volumi su una società in cui era ancora individuabile un simile principio del "diritto della madre": <<The league of the Ho-dé-no-sau-nee or Iroquois>> di Lewis H.Morgan, il quale in seguito, attraverso un'analisi sinottica dei sistemi parentali in America e in Asia, aveva documentato come quest'ordinamento pre-patriarcale fosse diffuso fra quasi tutte le comunità del mondo. Bachofen verso il 1871 riconobbe l'importanza che per i suoi studi aveva avuto l'opera di Morgan, segnando un passaggio decisivo alla comprensione di tale fenomeno sociologico in ambito non più meramente europeo ma mondiale. Di conseguenza la ricostruzione svolta da Marija Gimbutas nel <<Linguaggio della Dea>> acquista una valenza storica assai più ampia di quella limitata all'Europa Antica dall'Atlantico al Dnjepr nel periodo 7000-3500 a.C. circa. Va anche aggiunto che - in contrapposizione alle mitologie delle tribù indoeuropee di allevatori che in varie ondate invasero i territori antico-europei a partire dal IV millennio a.C. e i cui pantheon, enfatizzati sul maschile, rispecchiavano ideali sociali, norme e istanze politiche dei loro gruppi etnici di appartenenza - l'iconografia della Grande Dea era sorta dall'osservazione e dalla venerazione delle leggi naturali. [Nota di Remo: questo punto è fondamentale, secondo me. Mentre gli invasori indoeuropei veneravano degli dei bellicosi che riflettevano la loro società e la loro stessa psiche, degli dei che erano la proiezione delle loro stesse paranoie, degli dei che avrebbero poi generato le attuali religioni "patriarcali", i popoli dell'Europa Antica amavano ed osservavano la Natura. Lo stesso amore e la stessa conoscenza che hanno portato alla nascita della scienza attuale. L'amore e la venerazione per la Grande Dea continua oggi con lo stupore con cui osserviamo e studiamo scientificamente l'Universo e la vita] Il glossario di Gimbutas sui segni pittorici di quel primordiale tentativo di parte dell'umanità di comprendere la bellezza e la meraviglia della Creazione e di viverci in armonia adombra, in termini di simbologia archetipale, una concezione della vita antitetica da ogni punto di vista ai meccanismi adulterati che si sono imposti all'Occidente in epoca storica. Non possiamo non percepire che <<Il linguaggio della Dea>> di Marija Gimbutas, apparso in questo scorcio di secolo, dia evidente rilievo all'esigenza, universalmente riconosciuta ai giorni nostri, di una trasformazione collettiva delle coscienze. Il messaggio del libro è che si inauguri un'epoca di armonia e di pace in consonanza con le energie creative della natura, com'è accaduto per tutti i 4000 anni di preistoria che hanno preceduto quell' "INCUBO" di 5000 anni - così lo ha definito James Joyce a causa dei suoi scontri d'interesse tribali e nazionali - dal quale è senz'altro giunta l'ora che il pianeta si svegli.
Introduzione di Marija Gimbutas
Introduzione a "Il linguaggio della Dea" di Marija Gimbutas.
Scopo di questo libro è presentare una sceneggiatura iconografata della religione della Grande Dea dell'Europa Antica, consistente in segni, simboli e immagini di Divinità. Sono queste infatti, le nostre fonti primarie per ricostruire tale scenario preistorico e sono vitali per qualunque comprensione autentica della religione e della mitologia occidentali. Quando una ventina d'anni fa iniziai a interrogarmi sul significato dei segni e delle figure ricorrenti sugli oggetti di culto e sulla ceramica dipinta del Neolitico Europeo mi resi conto, con stupore, che erano i pezzi di un gigantesco puzzle, del quale due terzi erano andati perduti. Via via che lavorava al suo completamento emergevano i temi principali delle concezioni dell'Europa Antica, primariamente attraverso l'analisi dei simboli e delle immagini e la scoperta del loro ordine intrinseco: costituiscono infatti la grammatica e la sintassi di una sorta di metalinguaggio attraverso il quale è stata trasmessa tutta una costellazione di significati e rivelano la visione del mondo diffusa nella cultura dell'Europa Antica (ossia pre-indoeuropea). E' raro che i simboli siano astratti in senso effettivo: mantengono forti legami con la natura, individuabili studiando contesto e associazioni. Soltanto così possiamo sperare di decifrare il pensiero mitico che la raison d'etre di quest'arte e il fondamento della sua forma.
Conclusione di Marija Gimbutas
La visione del mondo nella cultura della Dea. (conclusione di Marija Gimbutas a <<Il Linguaggio della Dea>>)
Motivo conduttore del modello di pensiero e dell'arte antico-europei è la celebrazione della vita. Non c'è stagnazione alcuna: l'energia della vita è in costante movimento, come un serpente, una spirale o un vortice. Si rammentino i vasi riccamente dipinti delle culture Cucuteni, Dimini, Butmir, Minoica e se ne percepisce l'energia raffigurata, che si muove, ruota, s'innalza, si scinde e cresce, con una meravigliosa combinazione di colori in cui predomina l'ocra rossa, il colore della vita [Nota di ortosociale.org: è vero. Ho visto a settembre 2008 una mostra sulla cultura di Cucuteni-Tripolye. Tutte le tesi della Gimbutas, morta nel 1994, sono ampiamente confermate] Colonne di vita [Nota di ortosociale.org: un tipo di composizione che rappresenta <<l'albero della vita>> poi ripreso da quasi tutte le religioni "storiche"], serpenti che si snodano verso l'alto, alberi frondosi, api e farfalle che sorgono da tombe, da grotte, da crepacci o dal potente utero della Dea. Una forma si dissolve dentro un'altra. La trasformazione da umano in animale, da serpente in albero, da utero in pesce, rana, porcospino e bucranio e da bucranio in farfalla era la percezione dell'energia vitale che riemerge in un'altra forma. Ciò non significa che la morte fosse trascurata. Nell'arte si manifesta in modo impressionante nella nudità dell'osso, nei segugi ululanti e nelle civette stridenti, negli avvoltoi in picchiata e nei pericolosi cinghiali. La questione della mortalità costituiva un'intima preoccupazione, ma la profonda percezione della ciclicità della natura fondata sui cicli della luna e del corpo femminile indusse a creare una robusta credenza nella rigenerazione istantanea della vita al momento critico della morte. Non c'era mera morte ma solo morte E rigenerazione. E fu questa la chiave dell'inno alla vita riflesso in tale arte. Le immagini e i simboli sacri, le Dee e gli Dei, i loro uccelli e animali - i misteriosi serpenti, i batraci, gli insetti - erano più reali degli effettivi eventi quotidiani. Ci rivelano il definitivo contesto in cui vissero le genti antico-europee. Questi simboli rimangono l'unico accesso reale a tale visione del mondo (rinvigorente, incentrata sulla terra, riverente verso la vita), perchè adesso siamo distanti e avulsi dalla società cui si deve questo immaginario. Freud l'avrebbe denigrato come "fantasie primitive". Jung l'avrebbe probabilmente valutato come "i frutti della vita interiore scaturiti dall'inconscio". In tutte le sue manifestazioni la Dea era simbolo dell'unità di tutta la vita in Natura. Il suo potere risiedeva nell'acqua e nella pietra, nella tomba e nella grotta, negli animali e negli uccelli, nei serpenti e nel pesce, negli alberi e nei fiori. Da qui la percezione olistica e mitopoietica della sacralità e del mistero di tutto ciò che esiste sulla Terra. Tale cultura trasse intenso piacere dalle meraviglie naturali di QUESTO mondo. La sua gente non produsse armi letali , nè costruì forti in luoghi inaccessibili - come avrebbero fatto i successori - neppure quando conobbe la metallurgia. Eresse invece magnifiche tombe-santuari, templi, case confortevoli in villaggi di modeste dimensioni e creò superbe ceramiche e sculture. Fu questo un duraturo periodo di notevole creatività e stabilità, un'età libera da conflitto. La loro cultura fu una cultura d'arte. Le immagini e i simboli in questo volume dichiarano che la Dea partenogenetica è stata la più persistente peculiarità nel repertorio archeologico del mondo antico. In Europa dominò per tutto il Paleolitico e per tutto il Neolitico e nell'Europa mediterranea per la gran parte dell'età del Bronzo. La fase successiva - che vide gli Dei guerrieri pastorali e patriarcali soppiantare o assimilare il pantheon matristico delle Dee e degli Dei - è il periodo che precedette il Cristianesimo e in cui si diffuse il rigetto filosofico di quel mondo. Si sviluppò un pregiudizio contro quella mondanità e, insieme, il rifiuto della Dea e di tutto ciò che rappresentava. La Dea gradualmente si ritrasse nelle profondità delle foreste o sulle cime dei monti, dove nelle credenze e nelle fiabe si trova tutt'oggi. Ne conseguì quell'alienazione umana dalle radici vitali della vita terrestre i cui risultati sono palesi nella nostra attuale società. I cicli tuttavia non cessano mai di girare e adesso scopriamo la Dea riemergere dalle foreste e dai monti, portandoci speranza per il futuro, restituendoci alle nostre più arcaiche radici.