Sociologia85

Da Ortosociale.

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Di Remo Ronchitelli. La teoria del sistema-mondo di Immanuel Wallerstein e altri è basata sulla divisione delle nazioni del mondo in tre strati gerarchici: il Centro, la Periferia, e nel mezzo la semi-periferia (i cosiddetti "emergenti"). IW applica di suo il modello dei sistemi complessi e della teoria del caos, preso dalle scienze dure. Si tratta della principale e forse più usata teoria di sociologia storica. I commentatori geopolitici la usano ampiamente. Ma non mancano le critiche. Vedi "Logiche della storia - Eventi, strutture e cultura", di William H.Sewell Jr., Bruno Mondadori, 2008. La critica principale, nell'applicazione "stretta" di un modello preso dalle scienze "dure" anzichè dalle scienze sociali, sta nel suo "determinismo". Cioè nella previsione ''certa'' della conclusione di un processo, tipica appunto della fisica, della chimica, parzialmente della biologia (si può prevedere una svolta evolutiva?). In questo caso IW prevede con certezza la fine del capitalismo. Una posizione diversa è ritenerla "probabile", anzi "possibile e desiderabile per la gran parte dell'umanità". In altre parole nelle scienze sociali conta lo studio analitico di un processo (con statistiche, comparazioni storiche, studio dei testi) quanto le "intenzioni" espresse dagli attori che partecipano a quel processo. Per fare un esempio recente di storia contemporanea, pochi analisti valutano in modo appropriato le "intenzioni" espresse nel corso delle elezioni politiche italiane (e non). Pochi valutano che la maggioranza degli aventi diritto al voto ritengono inutile andare a votare, dimostrando la "intenzione passiva" della grande maggioranza di sfiducia nell'attuale sistema politico. Questa "intenzione" dovrebbe pesare nell'analisi storica contemporanea quanto e di più delle singole percentuali di voto o di spostamenti di voto. Per quanto concreta questa "intenzione" non porta a nessuna certezza "deterministica". E' una potenzialità di nuovi sistemi alternativi che vanno però concretamente costruiti sui piani intrecciati di cultura, economia, istituzioni politiche. Sempre in "Logiche della storia - Eventi, strutture e cultura", di William H.Sewell Jr, si propone un altro modello di sociologia storica, quello di Michael Mann, "The Sources of Social Power", [[Sociologia78|ampiamente discusso su ortosociale]].In questo modello, non-deterministico, vengono considerati i sistemi distinti di politica, economia, ideologia. Per cui non esiste "il capitalismo" (che secondo IW dovrebbe sparire in modo deterministico), ma vari "capitalismi", come quello cinese, o giapponese, o americano. E sempre secondo M.Mann esistono varie "globalizzazioni", come quella americana, o cinese ("La via della seta"), che naturalmente si intrecciano profondamente tra loro scambiandosi tecnologia e proprietà di titoli di stato (americani in dollari).
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Di Remo Ronchitelli. La teoria del sistema-mondo di Immanuel Wallerstein e altri è basata sulla divisione delle nazioni del mondo in tre strati gerarchici: il Centro, la Periferia, e nel mezzo la semi-periferia (i cosiddetti "emergenti"). IW applica di suo il modello dei sistemi complessi e della teoria del caos, preso dalle scienze dure. Si tratta della principale e forse più usata teoria di sociologia storica. I commentatori geopolitici la usano ampiamente. Ma non mancano le critiche. Vedi "Logiche della storia - Eventi, strutture e cultura", di William H.Sewell Jr., Bruno Mondadori, 2008. La critica principale, nell'applicazione "stretta" di un modello preso dalle scienze "dure" anzichè dalle scienze sociali, sta nel suo "determinismo". Cioè nella previsione ''certa'' della conclusione di un processo, tipica appunto della fisica, della chimica, parzialmente della biologia (si può prevedere una svolta evolutiva?). In questo caso IW prevede con certezza la fine del capitalismo. Una posizione diversa è ritenerla "probabile", anzi "possibile e desiderabile per la gran parte dell'umanità". In altre parole nelle scienze sociali conta lo studio analitico di un processo (con statistiche, comparazioni storiche, studio dei testi) quanto le "intenzioni" espresse dagli attori che partecipano a quel processo. Per fare un esempio recente di storia contemporanea, pochi analisti valutano in modo appropriato le "intenzioni" espresse nel corso delle elezioni politiche italiane (e non). Pochi valutano che la maggioranza degli aventi diritto al voto ritengono inutile andare a votare, dimostrando la "intenzione passiva" della grande maggioranza di sfiducia nell'attuale sistema politico. Questa "intenzione" dovrebbe pesare nell'analisi storica contemporanea quanto e di più delle singole percentuali di voto o di spostamenti di voto. Per quanto concreta questa "intenzione" non porta a nessuna certezza "deterministica". E' una potenzialità di nuovi sistemi alternativi che vanno però concretamente costruiti sui piani intrecciati di cultura, economia, istituzioni politiche. Sempre in "Logiche della storia - Eventi, strutture e cultura", di William H.Sewell Jr, si propone un altro modello di sociologia storica, quello di Michael Mann, "The Sources of Social Power", [[Sociologia78|ampiamente discusso su ortosociale]].In questo modello, non-deterministico, vengono considerati i sistemi distinti di politica, economia, ideologia. Per cui non esiste "il capitalismo" (che secondo IW dovrebbe sparire in modo deterministico), ma vari "capitalismi", come quello cinese, o giapponese, o americano. E sempre secondo M.Mann esistono varie "globalizzazioni", come quella americana, o cinese ("La via della seta"), che naturalmente si intrecciano profondamente tra loro scambiandosi tecnologia e proprietà di titoli di stato (americani in dollari). Il Modello IEMP di Michael Mann è di derivazione weberiana e attribuisce un ruolo fondamentale alla "Cultura" che qui viene definita ''Ideologia''. Nell'analisi di IW restano validi le strategie a cortissimo termine adottate dai vari attori politico-economici, stati nazioni, multinazionali, strutture ideologiche. Questo comporta cambiamenti di alleanze repentini e casuali, tali da giustificare il modello caotico. Quanto alla Cina, la sua "Rivoluzione" è nata nelle grandi città, negli strati urbani che difendevano l'autonomia della Cina e delle sue èlites dalle potenze occidentali che la umiliavano, alleate all'epoca coi marxisti del nascente Partito Comunista Cinese. Le vicende poi della guerra e della spaccatura tra élites nazionaliste (favorevoli ad uno sviluppo capitalistico simile ma non uguale a quello occidentale) e marxisti, hanno portato i comunisti cinesi a cercare l'alleanza dell'immensa massa dei contadini cinesi che vivevano ancora in una oppressiva struttura feudale. Questo permetteva la vittoria della Lunga Marcia e l'affermarsi di un paese "socialista" che a dufferenza della URSS di Stalin e Lenin consentiva ai contadini cinesi una certa libertà ed il possesso della terra. Le Comuni di Mao, la Rivoluzione Culturale, la brutale politica del figlio unico, spezzavano questa unità. La soluzione del "glorioso" PCC è stata quella di tornare alla soluzione "nazionalista" di Chang-Kai-Scheck ed importare il modello capitalista occidentale. Bombardando l'isola di Formosa o Taiwan ove si erano rifugiati i nazionalisti cinesi creando una floridissima economia. Ma la grande trasformazione è stata la migrazione dei contadini cinesi verso le fabbriche e i servizi delle città. Si parla di 500 milioni di persone. Oltre al terribile inquinamento delle zone industrializzate, si è creato il problema di una mancata autosufficienza alimentare, che il PCC tenta di risolvere con il "land grabbing", ossia con l'acquisto di enormi appezzamenti di terreno soprattutto in Africa, da far coltivare agli autoctoni o a detenuti cinesi.
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Versione delle 09:14, 6 nov 2017

Commento No. 460, 1 Novembre 2017

Indice

Che dire della Cina?

Molto spesso, quando scrivo sulla crisi strutturale del moderno sistema-mondo e, quindi, del capitalismo come sistema storico, ricevo obiezioni dicendo che ho trascurato la forza della crescita economica cinese e la sua capacità di servire come sostituto economico per la forza decisamente diminuita degli Stati Uniti e dell'Europa occidentale, il cosiddetto Nord. Questo è un argomento perfettamente ragionevole, ma che fallisce nell’individuare le difficoltà fondamentali del sistema storico esistente. Inoltre, dipinge un quadro più roseo delle realtà della Cina rispetto a quello giustificato da uno sguardo più attento. Permettetemi di affrontare questa domanda in due parti: uno, lo sviluppo storico del sistema-mondo [N.d.T.: per "sistema-mondo" si intende la teoria, cui IW ha dato il principale contributo, di sviluppo dell'attuale sistema globalizzato capitalistico a partire dal 1500 dC] come un tutto, e due, la situazione empirica della Cina al momento attuale.

L'analisi di ciò che definisco la crisi strutturale del sistema-mondo moderno è quella che ho fatto molte volte, in questi commenti e nei miei altri scritti. È comunque opportuno ripeterla in forma condensata. Ciò è tanto più necessario in quanto persino le persone che dicono di avere molta simpatia per il concetto di crisi strutturale sembrano tuttavia in pratica resistere ad accettare l'idea di una scomparsa del capitalismo, per quanto questo sia evidente.

Ci sono un certo numero di elementi dell'argomento da mettere insieme. Una è l'affermazione che tutti i sistemi (qualunque sia il loro campo di applicazione e senza eccezione) abbiano una vita e non possano essere eterni. La spiegazione di questa eventuale caduta di qualsiasi sistema è che i sistemi operano con ritmi ciclici e tendenze secolari.

I ritmi ciclici si riferiscono alle oscillazioni costanti lontano da e di ritorno a equilibri in movimento, una realtà perfettamente normale. Quando però vari fenomeni si espandono secondo le loro regole sistemiche e poi si contraggono, non tornano dopo essersi contratti esattamente dove si trovavano prima del turno ciclico verso l'alto. Ritornano invece a un punto più alto. Questo è il risultato della resistenza [dei sistemi] alla perdita dei guadagni conseguiti nella fase di salita [N.d.T.: i sistemi dopo un ciclo verso l’alto mantengono parte dei guadagni conseguiti]

Ne consegue che la loro curva nel lungo periodo è verso l'alto. Questo è ciò che intendiamo come tendenza secolare. Se si misura questa attività sull'ascissa, oppure sull'asse y del grafico, si vede che nel tempo si avvicinano asintoticamente al 100 per cento, che non può essere attraversato. Sembra che quando i fattori importanti raggiungono un punto precedente di circa l'80% sull'ascissa, cominciano a ondeggiare in modo irregolare.

Quando le curve cicliche [N.d.T.: le curve che descrivono un sistema] arrivano a questo punto, cessano di utilizzare i cosiddetti mezzi normali per risolvere i vincoli costanti nel funzionamento del sistema e quindi entrano in una crisi strutturale del sistema stesso. Una crisi strutturale è caotica. Ciò significa che al posto dell’insieme standard di combinazioni o alleanze precedentemente utilizzate come norma per mantenere la stabilità del sistema, si spostano costantemente queste alleanze in cerca di guadagni a breve termine. Questo peggiora solo la situazione. Riconosciamo qui un paradosso - la certezza della fine del sistema esistente e l'intrinseca incertezza di ciò che eventualmente lo sostituirà per creare così un nuovo sistema (o nuovi sistemi) che possano stabilizzare le realtà. Durante il periodo piuttosto lungo di crisi strutturale, osserviamo una biforcazione tra due modi alternativi di risolvere la crisi - uno sostituendolo con un sistema diverso che in qualche modo conserva gli elementi essenziali del sistema morente e uno che lo trasforma radicalmente.

In concreto, nel nostro attuale sistema capitalista, ci sono coloro che cercano di fondare un sistema non capitalistico che tuttavia mantiene i peggiori aspetti del capitalismo: gerarchia, sfruttamento e polarizzazione [N.d.T.: per “polarizzazione” si intende il processo per cui i ricchi diventano sempre più ricchi e i poveri diventano sempre più poveri, divaricando al massimo le condizioni culturali, economiche, politiche degli individui]. E ci sono coloro che desiderano istituire un sistema relativamente democratico ed egualitario, un tipo di sistema storico che non è mai esistito prima. Siamo in mezzo a questa battaglia politica.

Ora, guardiamo al ruolo della Cina in quello che sta succedendo. Nei termini dell’attuale sistema, la Cina sembra guadagnare un grande vantaggio. Affermare che ciò significa la continuazione del funzionamento del capitalismo come sistema equivale fondamentalmente a (ri)affermare la tesi sbagliata che i sistemi sono eterni e che la Cina sostituisce gli Stati Uniti allo stesso modo in cui gli Stati Uniti hanno sostituito la Gran Bretagna come potere egemonico. Se fosse vero, in altri 20-30 anni, la Cina (o forse l'Asia nord-orientale) potrebbe stabilire le sue regole per il sistema-mondo capitalistico.

Ma ciò sta succedendo davvero? Innanzitutto, il vantaggio economico della Cina, pur mantenendosi maggiore di quello del Nord [N.d.T.: Stati Uniti ed Europa Occidentale], sta diminuendo notevolmente. E questo declino presto potrebbe benissimo amplificarsi, poiché cresce la resistenza politica ai tentativi della Cina di controllare i paesi limitrofi e di attirare (cioè di "comprare") il sostegno di paesi lontani. Questo sembra stia avvenendo.

Può la Cina allora dipendere dall'allargamento della domanda interna per mantenere il suo vantaggio globale? Ci sono due motivi per rispondere di no. Le autorità cinesi si preoccupano che uno strato sociale medio si possa allargare [N.d.T.: si tratta di quella che molti politici o sociologi chiamano "classe media", classe che si allargherebbe ulteriormente con l'incremento dello sviluppo economico e della urbanizzazione che ha portato centinaia di milioni di cinesi dalle campagne alle grandi metropoli] compromettendo il loro controllo politico e cercano di limitare questa espansione [N.d.T.: il problema politico della élite cinese è il controllo della nuova classe media]. La seconda ragione, più importante, è che gran parte della domanda interna è il risultato di un prestito sconsiderato da parte delle banche regionali che si trovano ad affrontare l'incapacità di sostenere i propri investimenti [N.d.T.: vedi le recenti restrizioni all’acquisto di squadre calcistiche italiane ed europee]. Se collassano, anche parzialmente, questo potrebbe porre fine all'intero vantaggio economico della Cina.

Inoltre, ci sono state, e continueranno ad esserci, brusche oscillazioni nelle alleanze geopolitiche. In un certo senso, le zone chiave non sono nel Nord, ma in settori come la Russia, l'India, l'Iran, la Turchia e l'Europa sudorientale, tutti settori che perseguono i propri ruoli in un gioco i cui fronti cambiano ripetutamente. La conclusione è che, sebbene la Cina abbia un ruolo molto importante nel breve periodo, tale ruolo non è importante come la Cina desidera e che il resto del sistema-mondo teme. Non è possibile per la Cina fermare la disintegrazione del sistema capitalista. Può solo cercare di assicurare il proprio posto in un futuro sistema-mondo.

di Immanuel Wallerstein

Considerazioni di ortosociale

Di Remo Ronchitelli. La teoria del sistema-mondo di Immanuel Wallerstein e altri è basata sulla divisione delle nazioni del mondo in tre strati gerarchici: il Centro, la Periferia, e nel mezzo la semi-periferia (i cosiddetti "emergenti"). IW applica di suo il modello dei sistemi complessi e della teoria del caos, preso dalle scienze dure. Si tratta della principale e forse più usata teoria di sociologia storica. I commentatori geopolitici la usano ampiamente. Ma non mancano le critiche. Vedi "Logiche della storia - Eventi, strutture e cultura", di William H.Sewell Jr., Bruno Mondadori, 2008. La critica principale, nell'applicazione "stretta" di un modello preso dalle scienze "dure" anzichè dalle scienze sociali, sta nel suo "determinismo". Cioè nella previsione certa della conclusione di un processo, tipica appunto della fisica, della chimica, parzialmente della biologia (si può prevedere una svolta evolutiva?). In questo caso IW prevede con certezza la fine del capitalismo. Una posizione diversa è ritenerla "probabile", anzi "possibile e desiderabile per la gran parte dell'umanità". In altre parole nelle scienze sociali conta lo studio analitico di un processo (con statistiche, comparazioni storiche, studio dei testi) quanto le "intenzioni" espresse dagli attori che partecipano a quel processo. Per fare un esempio recente di storia contemporanea, pochi analisti valutano in modo appropriato le "intenzioni" espresse nel corso delle elezioni politiche italiane (e non). Pochi valutano che la maggioranza degli aventi diritto al voto ritengono inutile andare a votare, dimostrando la "intenzione passiva" della grande maggioranza di sfiducia nell'attuale sistema politico. Questa "intenzione" dovrebbe pesare nell'analisi storica contemporanea quanto e di più delle singole percentuali di voto o di spostamenti di voto. Per quanto concreta questa "intenzione" non porta a nessuna certezza "deterministica". E' una potenzialità di nuovi sistemi alternativi che vanno però concretamente costruiti sui piani intrecciati di cultura, economia, istituzioni politiche. Sempre in "Logiche della storia - Eventi, strutture e cultura", di William H.Sewell Jr, si propone un altro modello di sociologia storica, quello di Michael Mann, "The Sources of Social Power", ampiamente discusso su ortosociale.In questo modello, non-deterministico, vengono considerati i sistemi distinti di politica, economia, ideologia. Per cui non esiste "il capitalismo" (che secondo IW dovrebbe sparire in modo deterministico), ma vari "capitalismi", come quello cinese, o giapponese, o americano. E sempre secondo M.Mann esistono varie "globalizzazioni", come quella americana, o cinese ("La via della seta"), che naturalmente si intrecciano profondamente tra loro scambiandosi tecnologia e proprietà di titoli di stato (americani in dollari). Il Modello IEMP di Michael Mann è di derivazione weberiana e attribuisce un ruolo fondamentale alla "Cultura" che qui viene definita Ideologia. Nell'analisi di IW restano validi le strategie a cortissimo termine adottate dai vari attori politico-economici, stati nazioni, multinazionali, strutture ideologiche. Questo comporta cambiamenti di alleanze repentini e casuali, tali da giustificare il modello caotico. Quanto alla Cina, la sua "Rivoluzione" è nata nelle grandi città, negli strati urbani che difendevano l'autonomia della Cina e delle sue èlites dalle potenze occidentali che la umiliavano, alleate all'epoca coi marxisti del nascente Partito Comunista Cinese. Le vicende poi della guerra e della spaccatura tra élites nazionaliste (favorevoli ad uno sviluppo capitalistico simile ma non uguale a quello occidentale) e marxisti, hanno portato i comunisti cinesi a cercare l'alleanza dell'immensa massa dei contadini cinesi che vivevano ancora in una oppressiva struttura feudale. Questo permetteva la vittoria della Lunga Marcia e l'affermarsi di un paese "socialista" che a dufferenza della URSS di Stalin e Lenin consentiva ai contadini cinesi una certa libertà ed il possesso della terra. Le Comuni di Mao, la Rivoluzione Culturale, la brutale politica del figlio unico, spezzavano questa unità. La soluzione del "glorioso" PCC è stata quella di tornare alla soluzione "nazionalista" di Chang-Kai-Scheck ed importare il modello capitalista occidentale. Bombardando l'isola di Formosa o Taiwan ove si erano rifugiati i nazionalisti cinesi creando una floridissima economia. Ma la grande trasformazione è stata la migrazione dei contadini cinesi verso le fabbriche e i servizi delle città. Si parla di 500 milioni di persone. Oltre al terribile inquinamento delle zone industrializzate, si è creato il problema di una mancata autosufficienza alimentare, che il PCC tenta di risolvere con il "land grabbing", ossia con l'acquisto di enormi appezzamenti di terreno soprattutto in Africa, da far coltivare agli autoctoni o a detenuti cinesi.

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