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Le sfere di Dyson

Le sfere di Dyson sono enormi sfere artificiali concepite dal fisico britannico Freeman Dyson per intercettare l'energia emessa da una stella a favore di una civiltà tecnologicamente evoluta e intenzionata ad utilizzare questa energia per i suoi propri obiettivi.

Tale sfera può essere sostituita da un insieme di collettori (pannelli) solari, che avrebbero il vantaggio di poter costruire questo sistema energetico un pezzo alla volta. Basti pensare che una sfera di Dyson completa, con un raggio pari alla distanza Terra/Sole e spessa tre metri, richiederebbe più materia di tutta quella compresa nel sistema solare. Senza contare che tale sfera rischierebbe di collidere con la sua stella. Insomma servirebbe una tecnologia molto molto avanzata. Per concludere, una simile struttura è previsto che emetta una forte radiazione nello spettro dell'energia infrarossa. Studiando le stelle con una emissione "anomala" nell'infrarosso si potrebbero dunque scoprire, secondo Freeman Dyson, civiltà aliene con questo tipo di tecnologia.

La Stella di Boyajian

Ora, nel numero 587 di Le Scienze di Luglio 2017, pag.34, è uscito un articolo di due astronomi e astrofisici della Pennsylvania State University (USA), un uomo ed una donna, Kimberley Cartier (dottoranda) e Jason T. Wright (associate professor). L'oggetto del loro interesse è una stella del tutto normale, una stella "matura, di mezza età", lontana da noi tra i 1000 e i 1500 anni luce, non molto lontana in termini astronomici. Cioè sufficientemente vicina da essere indagata con gli strumenti di cui disponiamo. Le indagini che sono già partite riguardano la eventuale emissione di segnali radio artificiali a prova di civiltà tecnologicamente impegnate; la composizione del materiale che causa il parziale oscuramento della stella; la determinazione esatta della distanza della stella. La stella di cui parliamo si chiama "Stella di Boyajian", dal nome della astronoma-astrofisica Tabheta Bovajian che l'ha scoperta nel 2014 quando era post-doc alla Yale University. Ora è assistant professor alla Louisiana State University. Rientra tra le 150.000 stelle esplorate dalla sonda spaziale Kepler della Nasa alla ricerca di esopianeti, cioè di pianeti esterni al sistema solare. Kepler ha scoperto, in un rettangolo di cielo limitato a 150.000 stelle, migliaia di esopianeti una percentuale dei quali ha caratteristiche simili a quelle della Terra, compresa la possibilità di manifestazione di vita in un senso biologico simile a quello terrestre, con la presenza dell'acqua etc. In parallelo, all'interno del sistema solare, sono stati scoperti numerosi corpi celesti dove è verificata o ipotizzabile la presenza di acqua e di composti organici. L'ultimo della serie, nell'agosto 2017, è il pianetino Cerere, che è il più grande corpo celeste della fascia degli asteroidi tra Marte e Giove. Veniamo dunque alla Stella di Boyajian. Il titolo e sottotitolo dell'articolo di Le Scienze suona così: "Astrofisica - Probabilmente l'attenuazione della luce di questa stella a più di 1000 anni luce di distanza da noi non è causata da una tecnologia aliena. Ma spiegazioni alternative sono difficili da trovare".

Una ipotesi non "naturale"

L'articolo parte con una disamina delle possibili spiegazioni fisiche del fenomeno del parziale oscuramento della stella: un disco di polvere e gas che si frappone tra la stella e noi che la osserviamo; uno sciame di comete; una nube nel mezzo interstellare o nel sistema solare; variazioni stellari intrinseche; buchi neri. Viene infine proposta l'ultima ipotesi "Megastrutture aliene" sulla quale gli autori concludono con questa sofisticata e prudente affermazione: "Per il momento il nostro giudizio sull'ipotesi più sensazionale è che la sua plausibilità non è chiara: non ne sappiamo abbastanza neppure per assegnare una probabilità qualitativa alle azioni della ipotetica vita aliena". Ma il passaggio più significativo dell'articolo sta nella loro precedente affermazione: "L'ipotesi della megastruttura aliena dovrebbe essere considerata seriamente se verranno escluse tutte le ipotesi naturali". Questo è il punto di svolta. Per la prima volta viene assunta come ipotesi in una ricerca fisica una "ipotesi non naturale", la presenza di una "causa" ascrivibile alla attività intenzionale (e intelligente) di comunità sociali che utilizzano una loro "tecnologia" per modificare l'ambiente nel quale vivono. Ma questo su scala terrestre è esattamente quello che già fanno le scienze sociali come psicologia, sociologia, biologia comportamentale. È questa forse l'alba di una possibile integrazione tra le scienze "umane" e le scienze "naturali"? Lo spero sinceramente.

La sociologia terrestre

Esiste una branca della sociologia che si occupa di tecnoscienza, la sociologia della tecnoscienza. Con questo strumento si studia il tipo di comunicazione usato da scienziati e ricercatori, il loro ruolo nel contesto politico, economico e soprattutto ideologico, quanto l'educazione familiare e sociale, l'arte, la letteratura abbiano plasmato i nuclei ideologici che poi andranno a costituire le loro "teorie" ufficiali e formalizzate. Dal punto di vista della strategia comunicativa degli autori di questo articolo è evidente la preoccupazione di non urtare frontalmente l'establishment scientifico con una innovazione così profonda come quella che ho descritto: introdurre nella ricerca scientifica "naturale" di atronomia/astrofisica una ipotesi che definirei "socio-antropologica". Smantellano con cura una ad una le ipotesi naturali, lasciando per ultima quella di una "megastruttra aliena", sostenendo di non poterle assegnare "neppure una probabilità qualitativa". Ma così facendo si lasciano aperta la strada per il finanziamento di una ricerca "scientifica" di possibili segnali di vita intelligente dallo spazio presso il Green Bank Telescope in West Virginia. Da notare l'inizio quasi scettico dell'articolo sulla ipotesi della "megastruttura aliena" che poi propongono però come il più probabile, nel modo di cui si è detto. Dopo aver precisato che l'ipotesi è partita dal più alto in grado dei tre ricercatori: Jason T. Wright infatti è "associate professor", Tabheta Boyajian è da poco "assistant professor", Kimberley Cartier è solo "dottoranda" nella stessa università di Jason T. Wright. Potrebbe essere proprio lei a fare il lavoro "sporco" per conto degli altri due. Un gran lavoro e ben fatto, perchè smonta ipotesi su argomenti diversi e specializzati e perchè imposta, in termini correttamente scientifici, l'analisi delle stranissime oscillazioni della luce della stella KIC 8462852, la Stella di Boyajian. A mio parere il senso delle argomentazioni portate dagli autori dell'articolo è questo: una spiegazione adatta a spiegare le oscillazioni nella luce della stella è la prima illustrata, quella di un disco di polvere e gas. Precisando poi che non è possibile utilizzarla perchè "Ma la nostra stella è di mezza età, non più giovane, e apparentemente priva di un disco". L'ipotesi "Sfera di Dyson" si comporterebbe allora come un disco di polvere e gas, ma non sarebbe una "ipotesi naturale". Nella attuale astronomia/astrofisica il grado di simulazione e di misurazione è talmente raffinato che gli autori potrebbero aver calcolato con precisione gli effetti che potrebbero avere un "gran numero di pannelli solari" intorno alla stella come quello del disegno che non a caso apre con grande enfasi l'articolo di Le Scienze. Scoprendo magari che coincidono con i dati empirici delle "strane" oscillazioni nella emissione della luce della Stella Boyajian.

La questione Ufo

Per quanto riguarda la possibiltà di civiltà aliene e della loro eventuale interferenza con la Terra, vedi sempre su ortosociale:

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