Sociologia69

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Indice

Religioni Storiche e Spiritualità Tradizionale

Dopo aver affermato come inarrestabile un generale processo di secolarizzazione, i sociologi e gli antropologi parlano da alcuni anni di una forte ripresa di tutte le religioni storiche e di nuove "religioni" sincretiche. Tra le religioni storiche includiamo come religioni diverse tra loro quelle cristiane, in concorrenza e a volte in conflitto tra loro: cattolici, le varie sette protestanti, gli ortodossi, ed altre chiese come i neo-pentecostali, i mormoni e i Testimoni di Geova. Ci sono poi gli induisti, i musulmani, i buddisti, divisi anche loro tra sette diverse come ad esempio tra i musulmani gli sciiti e i sunniti. Queste religioni hanno la caratteristica di essere vere e proprie chiese, con un corpus di dottrine codificate e non modificabili, un linguaggio e un simbolismo rituale specifici e ben definiti, una casta di sacerdoti o di "esperti" che veicolano riti, precetti, verità simboliche, assistenza spirituale e taumaturgica. Vi sono poi altre forme di spiritualità non istituzionalizzata come il neo-paganesimo, e tutte le pratiche magico-simboliche dei popoli sottomessi dalla colonizzazione europea, documentate dagli antropologi ed oggi fatte rinascere dalle popolazioni native che ritrovano la loro identità e le loro radici culturali, la loro visione del cosmo, la loro specificità qualitativa. È importante sottolineare questa profonda differenza tra i due tipi di spiritualità. Nel primo caso le religioni si fondono dopo un certo periodo di gestazione con strutture politico-statali che ne determinano l'evoluzione e lo stesso contenuto dottrinale, come nel caso del cristianesimo e dell'imperatore romano Costantino. In altri casi come nell'Islam fondano direttamente esse stesse un potere politico-militare sin dall'inizio. Nel secondo caso, nel caso della spiritualità tradizionale, l'individuo rimane libero di percepire e ricercare la sua propria "visione" del cosmo che va ad arricchire le esperienze magico-spirituali della comunità a cui appartiene. In parole semplici, vi sono delle credenze ma non vi sono dei "dogmi" veicolati da una casta sacerdotale che li fa "rispettare" da un potere politico-militare. Le prime religioni istituzionali erano religioni basate sul culto di una o più divinità specifiche di quella città-stato. Le città stato erano in guerra tra loro per conto ed in nome delle rispettive divinità. Lo stesso processo vale quando queste città-stato evolvono in "monarchie" (regni con più città) e poi in "imperi" (conglomerati di regni o sotto-regni). La guerra diventa una guerra tra divinità come ai tempi di Davide tra Israeliani e Filistei, tra Jahvè e (sembra) Dagon padre di Baal.

Il Revival religioso e le crisi politico-militari

Il successo del razionalismo illuminista e della scienza positivista e neo-positivista del 1900 aveva messo in un angolo le credenze religiose, sia quelle magico-spirituali della tradizione dei popoli nativi sia quelle delle religioni storiche organizzate in chiese. Oggi assistiamo ad una forte rinascita di entrambe. Ma mentre la spiritualità tradizionale ha un volto pacifico, che nella quasi totalità dei casi mira alla realizzazione terrena e ultraterrena della persona umana, nel caso delle religioni storiche si ha un loro diretto coinvolgimento in guerre tradizionali, in guerre "etniche", oppure in quel tipo particolare di guerra che è il moderno terrorismo. Se non si tratta di guerre si tratta comunque di un completo allineamento alla politica statale come nel caso della chiesa ortodossa russa. Dice Enzo Pace (2008), citato di seguito: "In molti angoli del pianeta, il conflitto aperto, violento e radicale fra opposti sistemi di credenza religiosa ha ripreso vigore da almeno vent'anni...Spesso la retorica religiosa si offre alla politica come l'ultima possibilità per rendere credibile il diritto di uccidere l'altro". Nascono partiti politici di ispirazione religiosa che forniscono la loro versione della religione storica e che riescono a prendere il potere politico e dirigere il paese. Come in Israele, in Iran, in India. Nascono movimenti come Al Qaida e poi Daesh che si proclamano gli eredi dell'Islam. Enzo Pace, professore di sociologia della religione all'Università di Padova e presidente della Società Internazionale di Sociologia della Religione (SISR), ha trattato questo aspetto nel suo "Perchè le religioni scendono in guerra?", Editori Laterza, Roma-Bari, 2008. Enzo Pace sceglie con cura dei casi emblematici:

  • La guerra civile tra cingalesi buddisti e tamil induisti a Ceylon;
  • Le lotte tra ebrei con l'assassinio di Rabin in Terra Santa e la lotta tra ebrei ed arabi per la Terra Santa;
  • La lotta tra le varie religioni nella dissoluzione cruenta della ex-Jugoslavia;
  • Il genocidio dei Tutsi in Rwanda dove entrambe le etnie si richiamano al cattolicesimo;
  • Il martirio come atto religioso di guerra nel conflitto scatenato nel 1980 da Saddham Husssein contro l'Iran; e il terrorismo come metodo di guerra;

Le conclusioni di Enzo Pace sono chiare: "A conclusione, dunque dell'analisi dei casi prescelti si può affermare che le religioni entrano in guerra, quando diventano la lingua sacra dell'identità collettiva, di un popolo o di un gruppo umano, che si sentono minacciati nella loro stessa sopravvivenza fisica e morale". La rigenerazione della memoria operata dal linguaggio sacro delle religioni porta a rivendicare il Territorio legato alla Memoria come sacro e spettante di diritto alla comunità che si identifica con quella religione.

Perchè la violenza?

La spiegazione di Enzo Pace chiarisce molto bene il processo che si avvia quando una comunità si sente minacciata. Ma resta da chiarire perchè sorge questa minaccia di prevaricazione di una comunità sull'altra e perchè questa prevaricazione si fondi sulle religioni storiche reinterpretate ad hoc. Quello che emerge con chiarezza è che si avvia un processo di "modernizzazione" delle religioni tradizionali che si lega ad obiettivi intramondani di sviluppo sociale. Emblematico il caso del movimento revivalista hindu degli Arya Samaj che ha portato in tempi recenti alla vittoria elettorale del Bharatiya Janata Party "contro l'affermazione di uno stato ritenuto troppo secolare", come quello previsto dai padri della patria Gandhi e Nehru proprio per tenere insieme le varie etnie, culture e religioni (hindu, sikh, musulmani, cristiani). Questa caduta della laicità dello stato ha portato alla persecuzione delle altre minoranze religiose come i sikh e i musulmani. Analogamente nella dissoluzione della ex Jugoslavia venivano atrocemente eliminate le enclave delle religioni diverse da quella dell'etnia dominante. Crollavano non solo la convivenza e la tolleranza reciproca prevalse sino ad allora. Ma si dividevano anche famiglie con membri di religioni diverse. Si passava improvvisamente da una fusione interreligiosa, basata anche su un certo disinteresse verso le pratiche di culto, a vere e proprie "pulizie etniche" basate sulle differenze religiose. I gruppi che promuovevano questa trasformazione utilizzando le religioni storiche erano gruppi politici tout court come nel caso della ex Jugoslavia, o gruppi politico religiosi come nel caso dell'Iran e dell'India. La fusione o il corto circuito tra network politico-militari e network ideologico-religiosi portava alla formazione di un stato moderno in senso europeo ma controllato da una ideologia religiosa che non lascia spazio a non credenti, agnostici, seguaci di altre religioni o forme di spiritualità. La religione autorizza lo stato, weberianamente inteso, ad esercitare il monopolio della violenza all'interno del territorio definito in termini di simboli religiosi. Ma il successo politico, elettorale, il consenso di massa di questi partiti politico-religiosi necessitano di una spiegazione che vada in profondità. Una possibile ipotesi sta nella radice di questi processi: la formazione di nuovi stati dopo l'avvio della decolonizzazione europea e le lotte di liberazione contro le potenze occidentali come Gran Bretagna, Francia, Belgio, Portogallo, e Stati Uniti. Difficilmente i confini dei nuovi stati riflettevano le comunità primeve con il loro complesso carico di memorie, di rapporti con il territorio, di equilibri storici tra gruppi ed etnie micro-differenziate. L'ipotesi che fanno molti storici è che le "nazioni", cioè le comunità che si riconoscono su una base culturale, ideologica, religiosa, linguistica, siano in realtà il risultato di una attività di omogeneizzazione culturale da parte dello stato o del nuovo stato appena formatosi. Questa attività statale per funzionare ha bisogno delle religioni tradizionali che nei secoli hanno supportato l'attività degli stati o che sono nate con essi. La teoria dello "scontro di civiltà" va dunque ridimensionata ad una teoria di "scontro tra stati" dove le religioni mettono in gioco la loro esperienza storica, rituale, ideologica al servizio del network politico-militare, sia all'esterno sia all'interno nei confronti delle minoranze "diverse".

Il riformismo buddista

Seguiamo sempre la traccia del testo citato di Enzo Pace. Per omogeneità di discorso non si fanno qui altri riferimenti bibliografici, assumendo come validi quelli di E.Pace. Ogni situazione storica è diversa dalle altre, ma possiamo studiare come emblematico il caso del riformismo buddista a Ceylon che ha determinato la politica statale della maggioranza cingalese (di etnia arya) nei confronti della minoranza Tamil (di etnia pre-arya). Cito Enzo Pace (pag.9): "Il termine riformismo allude al fatto che la circolazione delle nuove idee, promosse dai centri monastici [buddisti], è il risulato in parte anche del contatto con la cultura occidentale, importata e imposta dalle potenze colonialistiche hanno dominato nel Sud asiatico sino alla seconda metà del XX secolo...L'impatto della colonizzazione va tenuto presente per capire l'accumulazione del capitale di violenza collettiva, repressa per lungo tempo, cui oggi attingono gli attori sociali e politici protagonisti del conflitto. Inoltre, il contatto prolungato tra dominati e dominanti ha avuto l'effetto di favorire l'emergere di un nuovo ceto di intellettuali locali, i quali hanno cercato di dare sostanza al bisogno di liberazione dalla potenza coloniale, tenendo conto però dei mutamenti che lo straniero aveva finito per provocare nel campo sociale, economico e politico. Secondo uno dei maggiori studiosi del buddismo [theravada] cingalese (Oberyesekere, 1975), anche in campo religioso è accaduto che sotto il protettorato britannico, la religione di nascita (il buddismo) abbia finito per guardare alla religione del dominatore come un modello non solo da temere, ma in parte anche da imitare. Perciò si è arrivati a parlare di un <<buddismo protestante>>".Il maggior mutamento politico indotto dalle potenze coloniali è sicuramente la forma statale che le elite autoctone ereditano e condividono. L'economia si re-inserisce nel network economico basato sul mercato e l'ideologia, come abbiamo visto, rimane la stessa solo in superficie. "Il buddismo è così visto come un'etica puritana capace di generare energie collettive e spirito di cooperazione in funzione di un decollo socio-economico" (pag.13). La "democrazia", basata su uno stato parlamentare alla europea e variamente coniugata, è comunque spietatamente intesa, con il supporto del network religioso ed economico costruito dai monaci buddisti riformisti, come una dittatura della maggioranza sulla minoranza. Questo esempio dimostra l'inconsistenza delle tesi sullo "scontro di civiltà" à la Samuel P. Huntington. Dimostra la profonda permeabilità delle culture nei network politico-economico-ideologico. Dimostra che è sciocco parlare di una "religione", ad esempio del buddismo, quando questa "religione" sono "molte" religioni profondamente divise al loro stesso interno tra una visione universalista-pacifica ed una particolaristica tesa al dominio di una verità astratta e di una fazione politica concreta. Lo "scontro", in questa prospettiva, non ha dunque bisogno di faglie culturali essendo permeata dalla stessa logica "dello scontro" che muove la civilizzazione indo-europea che si è propagata a tutti i paesi e culture. Una logica che Norbert Elias aveva descritto nel suo Processo di Civilizzazione. Una logica che ancor meglio ha tratteggiato sino agli anni recenti Michael Mann con il suo modello di sociologia storica IEMP (Ideologia, Economia, Militare, Politico). Michael Mann affronta gli stessi problemi di storia moderna che affronta Enzo Paci nel suo "The Dark Side of Democracy - Explaining Ethnic Cleansing".

Il riformismo islamico

Riprendiamo il discorso di Enzo Paci, volume citato pag.115: "Fino all'emigrazione del 622, il Profeta aveva vissuto un'intensa esperienza mistica di predicazione religiosa, d'estasi e di rivelazioni: egli era stato fin d'allora un riformatore religioso, innamoratosi dell'idea dell'unicità di Dio e coerentemente contro le forme tradizionali di politeismo dei suoi conterranei nella penisola araba. Strappato da questo suo ruolo originario dalla violenta opposizione delle maggiori famiglie di Mecca, Muhammad deve apprendere a Medina nuove funzioni: quella di guida politica e anche di capo militare, organizzando un piccolo esercito per rispondere agli attacchi dei meccani. Egli deve perciò trasformare i suoi fedeli della prima ora, che lo avevano seguìto sino a Medina, in combattenti pronti a difendere sino al sacrificio della propria vita le ragioni di Dio contro quelle dei miscredenti. È in questo preciso ambito storico e politico che Muhammad presenta ai suoi un insieme di regole etico-religiose che il vero credente deve seguire quando è costretto a combattere, ad uccidere il nemico, insomma a scendere in guerra. perchè la guerra è in ogni caso cosa odiosa, come risulta ad una lettura attenta del Corano (sura II, versetto 216): un male necessario che occorre affrontare quando si è aggrediti da chi vuole negare la vera fede (nel caso specifico i politeisti della Mecca). Di conseguenza chi, combattendo sulla via di Dio, cade in battaglia , - dice il Corano - non è veramente morto, ma è vivo, perchè Dio gli aprirà le porte del Paradiso, per aver egli testimoniato la fede assoluta in Dio. Colui che testimoia la fede è lo shahid...Il combattimento sulla via di Dio rientra nella tipologia dello jihad: essa comprende sia lo sforzo interiore per combattere il male che c'è in ognuno di noi sia la guerra difensiva in senso proprio (non di conquista o di aggressione, dunque). Quest'ultima perciò non è mai santa, perchè è pur sempre una guerra, scelta di uccidere l'altro; è comandata da Dio solo quando si tratta di contrastare tutti coloro che in Lui credono". Da qui segue un vero jus belli, con almeno due limitazioni: arrestarsi se il nemico mostra segni di ravvedimento, e non eccedere nella violenza perchè è scritto nel Corano "Dio non ama i prevaricatori" (sura II, versetto 190). L'altro è il divieto assoluto di rivolgere la violenza contro donne, bambini e in genere persone inermi (diremmo oggi le vittime civili). "La distanza che separa la figura dello shahid dalle figure dei nuovi martiri di Allah è molto grande. In mezzo c'è una lunga storia dell'islàm e del suo complesso rapporto con l'Occidente europeo. In mezzo c'è, dopo il declino dei grandi imperi musulmani di Damasco, Baghdad, Cordoba e la fine del potente impero ottomano, la penetrazione coloniale europea in molti paesi di tradizione e cultura musulmana, da cui essi si sono liberati relativamente da poco, nel respiro corto della storia contemporanea, fra gli anni Quaranta e Sessanta del secolo appena trascorso". Prosegue Enzo Paci: "Per almeno due generazioni nel mondo arabo e nel Medio Oriente si è guardato con simpatia o al modello nazionalista o a quello socialista, di volta in volta schierandosi o a fianco dell'Unione Sovietica o degli Stati Uniti oppure cercando la via del non allineamento con i due blocchi imperiali. L'inversione di rotta si ha vesro il 1978-1979. È questo il bienno mirabile nel mondo musulmano, quando in più punti movimenti collettivi politico-religiosi si lasciano mobilitare dall'utopia dello Stato islamico, attratti dal sogno di riscattare l'identità musulmana colonizzatat culturalmente dall'Occidente, da un lato, e di poter tornare, d'altro lato, alla purezza della città-stato, modellata dal profeta Muhammad a Medina (Guolo, 2002). Un'idea che appare rivoluzionaria sia perchè antitetica alla modernità delo Stato all'occidentale sia perchè elaborata e portata a compimento da un nuovo ceto di esperti in cose sacre, i quali o inventano di sana pianta una forma di stato, a mezza strada tra il modello repubblicano e il dominio del clero (come nel caso della Costituzione della Repubblica islamica dell'Iran) oppure contestano apertamente il tradizionale ceto dei sapienti e degli esperti in legge coranica, esprpriando loro di autorità e competenze, e assumendo la funzione di nuove guide politico-religiose della protesta (com'è avvenuto in Algeria, in Sudan e in Egitto, solo per citare i casi più clamorosi. Il 1979 è lanno della rivoluzione iraniana: la sperimentazione di uno stato integralmente etico inizia in quel laboratorio chiamato Iran (Nesti, 2003)". Per concludere, è evidente il ruolo della colonizzazione europea (compresa quella della ex Unione Sovietica che, con gli Stati Uniti, costituiva secondo E.Paci uno dei due blocchi imperiali che il risveglio islamico voleva combattere) nello scatenare l'esigenza "politico-religiosa" di un riformismo religioso "ad hoc", che ricostruisca la dottrina tradizionale rimasta praticamente immobile per secoli, ad opera di nuovi ceti di studiosi e mistici che esautorano i ceti tradizionali. Un esempio per tutti: i Fratelli Mussulmani in Egitto. Ma l'influenza europea è comunque presente nella formazione dei nuovi stati islamici e nei modelli di vita urbani, creando ibridi difficili da classificare. Le costanti che si possono cogliere sono una fortissima rivendicazione della propria identità culturale e religiosa, della propria autonomia politica, il tentativo di fondere entrambi gli aspetti in una città-stato etica e perfetta. Questa intima compenetrazione tra la fonte del potere sociale religioso e la fonte del potere sociale politico-militare non ci dev stupire: è il meccanismo della nascita dei primi stati, delle prime città-stato (vedi Michael Mann, "The Sources of Social power", I Volume). La colonizzazione europea ha portato alla formazione di nuovi tipi di stato, anche là dove esistevano comunità organizzate socialmente secondo quella che Enzo Pace chiama "solidarietà organica". Stati come quello libico di Muhammar Gheddafi si potevano definire come "stati tribali" pur essendo formalmente "moderni". Stati che tentavano di costruire una loro identità anche "copiando" l'Occidente, ma opponendosi in modo veemente contro di esso. Lo stesso risveglio politico-religioso di Israele, con la rivendicazione da parte dei coloni della Terra Santa dei Patriarchi e delle loro Tribù (vedi cap.II del libro citato di Paci), può essere letta come una riaffermazione di identità negata per secoli e culminata nell'orrore della Shoah. Identità minacciata dalla ricerca di identità dei musulmani che vedono in Israele un alleato dell'Occidente."Il vero limite che questa civilizzazione [musulmana] ha incontrato nel corso della sua storia è stato l'infarto del pensiero religioso, che si è avuto a partire dal IX secolo: i testi sacri non sono più stati interpretati alla luce della ragione credente, ma sono divenuti fonte di diritto e di pensiero da seguire e in modo ripetitivo. L'arresto della ricerca del senso da attribuire alla verità rivelata, alla luce dei cambiamenti storici e sociali, ha finito per fissare nella mente stessa di intere generazioni di musulmani l'idea che la <societas islamica> fosse stata già realizzata, prima dal Profeta a Medina e poi dalle dinastie imperiali, che si erano succedute dal VII secolo alla seconda metà del XIII secolo. La voglia di riaprire la porta dell'interpretazione si è manifestata, non a caso, in epoca moderna e si è radicalizzata in tempi recenti con il sorgere del pensiero fondamentalista. L'uscta dal colonialismo ha fatto il resto. L'Islam è apparso così una bandiera ideologica per tutti quei popoli che volevano scrollarsi di dosso definitivamente il retaggio, che i colonizzatori europei avevano lasciato, non solo nelle infrastrutture ma, soprattutto, nelle menti delle persone. L'islàm per i movimenti riformisti radicali e fondamentalisti è in fondo uno schermo che permette di prendere distanza dal passato coloniale e di frapporre una forza morale endogena, di resistenza nei confronti della superiorità, che manifesta in tutti i campi, quel complesso degli Stati che sommariamente definiamo e sono definiti, anche nella retorica fondamentalista, come <l'Occidente>" (Enzo Pace, citato, pag.128).

La ritualità del sacrificio

"Gli studi sul sacrificio (Eliade, 1986, 1999; Grottanelli, 1999) e sulla violenza sacra (Girard, 1980) hanno dimostrato come la dimensione <sanguinaria> caratterizzi i riti di molte religioni; che si tratti di sacrifici umani o animali, che poi si passi a forme meno cruente o a metafore che ricordano il sacrificio di un salvatore dell'umanità, poco cambia. Resta la dimensione del dramma che il rito celebra. Con il sacrificio o con la violenza esercitata su una vittima sacrificale si compie un atto rituale d'uccisione per ottenere un qualche beneficio collettivo (Valeri, 1985). Spargere il sangue realmente o metaforicamente è un atto di purificazione per mettersi in condizioni di ottenere un beneficio (una grazia) dalla divinità a vantaggio di tutta la comunità: non a caso in molti riti ci si cosparge del sangue oppure si mangiano parti della vittima sacrificale. Ora si dà il caso che, in molti movimenti radicali moderni, ci si trovi di fronte a vere e proprie procedure rituali che, solo in apparenza, possono essere ricondotte agli schemi cerimoniali tradizionali. In realtà spesso esse si presentano come nuove forme rituali, reinventate e rielaborate per adattarle alla situzione storica del momento, alla dinamica di un conflitto preciso e circoscritto...Il martire [sta parlando dell'attentato suicida di un giovane palestinese] segue un corso di preparazione, il giorno prima si fa riprendere da una videocamera, davanti alla quale testimonia la sua fede in Allah e nella patria, passa tutta la notte in preghiera per prepararsi a compiere un gesto che sa come andrà a finire: metterà a morte se stesso assieme alle altre vittime del campo nemico. Una doppia vittima sacrificale, dunque. Il sangue versato dalla vittima, consapevole ed armata, si mescolerà a quello delle altre vittime, ignare e indifese. La ritualità dell'atto consiste proprio nel fatto che la vittima sacrificale – il così detto martire che si fa saltare in aria assieme a delle vittime innocenti – uccide e si fa uccidere per ottenere drammaticamente due effetti: lavare con il suo sangue la terra calpestata dai suoi nemici e far spargere sangue nemico per indurre terrore e insicurezza tra le fila avversarie. La sua vita è offerta come atto sacrificale di rivendicazione della sacralità della Terra, che altri – le vittime uccise – pretendono di abitare arbitrariamente" (Enzo Pace, citato, pag.45). Come in uno specchio, segue la descrizione dello sterminio di musulmani raccolti in preghiera presso le Tombe dei Patriarchi da parte del medico israeliano Baruch Goldstein, ucciso a sua volta dalla folla di palestinesi accorsi sul posto dove egli aveva compiuto la strage. Quando si enuncia la verità che “la violenza genera violenza” bisogna far l'ipotesi che tutti gli atti di violenza omicida sono preceduti da rituali precisi. In questo senso le guerre, i progrom, le torture, gli abusi sulle minoranze, le pene capitali, sono rituali che scateneranno, potenziandoli, “sacrifici incrociati”. Il nesso tra religioni storiche, pratiche magiche, spiritualità e rituali sacrificali va attentamente indagato.

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