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Da Ortosociale.

Una domanda decisiva su come realizzare la cittadinanza femminile
di Angela Giuffrida
Articolo apparso sul n. 909 de La nonviolenza in cammino del 24.5.2005

  • Col suo articolo "Interrogativi dopo le elezioni" [riprodotto nel n. 903 di questo foglio] Giancarla Codrignani da' un contributo davvero interessante alla riflessione circa la strana afasia che impedisce la realizzazione della cittadinanza femminile. Individua il punto nodale della questione nella difficolta' a riconoscere che gli uomini non sono alleati delle donne nella lotta per la liberta' di genere e, secondo me, ha perfettamente ragione. Nondimeno, perche' "la consapevolezza di essere sole" serva da propellente per l'affermazione di se', occorre porsi una domanda che le donne esitano a formulare, nonostante si imponga per forza propria. Provo a farla sorgere "spontaneamente". Scrive Giancarla: "i partiti sono al massimo disposti a rinunciare a qualche posto per attribuirlo alle donne, purche' nessuna si sogni di modificare il modello delle politiche e la qualita' dei diritti". Come reagiscono le donne di fronte alla irragionevole pretesa maschile di continuare ad "occupare" la societa' e a dettare legge "in solitaria"? Prendono la parola ovunque ma "con misura e mai in chiesa", e le stesse amministratrici si limitano ad erogare "i benefici di qualche legge e qualche tutela in piu'... nelle regole dei pubblici poteri". Stando cosi' le cose e' impossibile produrre differenza e autorevolezza femminili, impensabile "produrre voce".
  • A conclusione dell'articolo "Condizione donna", pubblicato sul n. 6 de "Il foglio del paese delle donne", in cui riporta dati impressionanti circa le violenze subite dalle donne in tutto il mondo, Luciana Parise dice: "La battaglia è ancora lunga, ce ne vorrà prima che nella coscienza degli uomini si faccia strada l'idea che questa ferocia non è un diritto maschile ma la violazione di un diritto umano, e che la violenza sulle donne è universale, ma non è inevitabile". A parte il fatto che assimilare la ferocia a un diritto è una contraddizione in termini, se gli uomini considerano la violenza sulle donne un loro diritto e tale convinzione è universale, non è legittimo porsi qualche interrogativo circa il percorso evolutivo compiuto dal genere maschile? Se nella conferenza di Pechino è stato necessario mettere per iscritto che i diritti delle donne sono diritti umani, non vuol dire che gli uomini non sono in grado di riconoscere nelle donne delle umane? La cosa non dovrebbe suscitare qualche perplessità dato che gli uomini sono senza alcun dubbio ed eccezione figli delle donne? Comunque la mettiamo, emarginare, sfruttare, violare, uccidere sono atti criminali, il fatto che nelle comunità androcratiche siano considerati normali non è fortemente irrazionale? Certo è che millenni di patriarcato ci hanno assuefatto all'irrazionalità, ma se l'irrazionalità è la norma, volendo considerare norma all'interno delle società umane ciò che è proprio e degno di una specie che si vuole evoluta, a non essere "normali" sono gli uomini.
  • La disumanità e la barbarie dilaganti parlano un linguaggio inequivocabile e per fermarle e farsi ascoltare bisogna semplicemente cambiare registro: a fronte del gran blaterare sulla grandezza del male e la solenne bellezza della guerra, bisogna mostrare con fermezza l'intrinseca illogicita' di una mente che si spende per distruggere ed uccidere anziche' per sostenere la vita. Ma per riuscire in questa impresa occorre un altro modello cognitivo che ponga al centro il vivente, percio' non possiamo discutere "dopo" del sistema di pensiero che governa il mondo, nè è possibile separare la teoria dalla prassi, come Marx ha insegnato. Una filosofia che non e' in grado di informare i pensieri e le azioni della gente che filosofia è? D'altronde qualunque scelta, sia in campo politico che nella quotidianità, deve per forza avere alla base una qualche filosofia. Il problema sta solo nella scelta di quelle filosofie capaci di traghettarci al futuro. Ora possediamo formidabili strumenti per elaborarle.
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