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Da wiki2.

Passeggiata a Due Carrare – 18 novembre 2012

A cura di Annachiara Capuzzo

SANTO STEFANO

La parrocchiale di S.Stefano a Due Carrare

La chiesa di Santo Stefano è stata costruita sopra una precedente chiesa sotterranea dedicata a Sant’Andrea e risalente al 910 d.C. Nel 1027 il longobardo Litolfo da Carrara fece una generosa donazione di terreni e possessioni all’abbazia, permettendo così la costruzione di una nuova chiesa, stavolta dedicata a Santo Stefano, e del campanile, datato 1293. Nel 1405 i Veneziani sconfissero i Carraresi e requisirono tutti i loro possedimenti. Nel 1779 l’intera l’abbazia fu acquistata da Nicolò Erizzo, nobile veneziano che ne decise la demolizione per rivendere il materiale da costruzione. Dell’intero complesso abbaziale si salvò la chiesa, la sagrestia, il campanile, la casa del vicario e quella del campanaro, grazie all’acquisto compiuto dall’abate Pietro Ceoldo. L’interno è a una sola navata, vi si trova il sarcofago di Marsilio da Carrara collocato su due mensole con leoni che lo sorreggono. Il pavimento musivo risale all’XI secolo ed è stato riscoperto durante i lavori di assestamento e conservazione della chiesa.

PONTE DI RIVA

Un libro contro la guerra

È un ponte medioevale in laterizio a una sola arcata. La località Ponte di Riva nasce intorno a questo ponte sul Vigenzone. Quando i fiumi e i canali erano le vie di comunicazione principali, il canale era un tratto del percorso che legava i Colli Euganei a Venezia per il trasporto della trachite. Le barche erano trainate dalle rive da cavalli, talvolta da buoi, ma giunte al ponte che tagliava il canale in due, bisognava staccarle dai cavalli e farle passare sotto il ponte per riattaccarle successivamente. Si approfittava per fare una sosta agli animali, ma anche ai cavallanti e ai barcari, che avevano guidato la barca lungo le numerose anse e secche del canale, ed è così che proprio qui probabilmente è nata la prima osteria e poi via via l’intera contrada con altre botteghe funzionali al passaggio delle barche.

IL VIGENZONE

Il Vigenzone, nel tratto che attraversa il nostro territorio da Chiodare al Biancolino, presenta un’interessante copertura prativa con specie ormai assenti nelle campagne, come l’orchidea screziata, il timo selvatico o la salvia prativa. Si tratta di un biotopo seminaturale, in quanto l’uomo interviene con lo sfalcio regolare, ed è proprio questa pratica, utile e importante, che garantisce il mantenimento di questa biodiversità. Diversamente, lasciandolo completamente naturale, l’argine si trasformerebbe in una boscaglia, dove avrebbero la meglio il sambuco e la robinia (Robinia pseudoacacia), quest’ultima particolarmente invasiva. La biodiversità a Due Carrare è rimasta solo lungo i fiumi, in qualche tratto di fosso, nei residui di siepe e sul Monticello. La presenza di molti corsi d’acqua nel nostro territorio garantisce e preserva i biomi naturali e diventa quindi importante anche dal punto di vista naturalistico. Al di fuori di queste aree, l’agricoltura convenzionale ha ridotto in modo estremo la biodiversità delle campagne, sia per l’utilizzo di diserbanti e pesticidi che avvelenano i corsi d’acqua e le loro sponde, sia per l’uso di fertilizzanti che portano eutrofizzazione, sia infine per l’eliminazione di siepi spondicole (lungo fossi e scoli) che avevano la funzione di depurare in certa misura l’acqua e offrivano un habitat per molte specie animali.

VILLA CA’ ERIZZO

Un libro contro la guerra

Si tratta di una Villa veneziana del 1500 con annessi rustici, recentemente restaurata nel rispetto dei canoni architettonici dell’epoca. Questa parte di territorio apparteneva nel Medioevo ai Carraresi, ma in seguito alla vittoria dei Veneziani nel 1405, la tenuta diventò proprietà della Serenissima e fu poi venduta, nella seconda metà del 1700, alla famiglia Erizzo, che dominò per quasi un secolo il paese di Carrara Santo Stefano e che intendeva promuovere un intenso sfruttamento della campagna circostante.

IL PAESAGGIO

La tutela del paesaggio è strettamente connessa al consumo di suolo. In Italia si consumano più di cento ettari di suolo agricolo o naturale al giorno. In Veneto negli ultimi 20 anni si è consumata una quantità di suolo agricolo superiore all’intera provincia di Vicenza, cioè circa 28.000 ettari. Sono state costruite case per ospitare circa 1.000.000 di persone (supponendo 150 mq a testa) ma in realtà la crescita è stata di circa 500.000 persone. Anzi, nel secondo semestre del 2011 il Veneto ha perso 70.000 abitanti. Anche per quanto riguarda l’edilizia industriale, a fronte di moltissimi capannoni sfitti, si è continuato a costruirne di nuovi. Conseguenze: 1)Perdita dei terreni agricoli e naturali, frammentazione del paesaggio. 2) Riduzione della vegetazione e perdita della biodiversità, discontinuità delle reti ecologiche 3) Compattazione del terreno, degrado del suolo. 4) Aumento del rischio di inondazioni. Rimedi. La Commissione Europea ha pubblicato le linee guida per la riduzione del consumo di suolo e per ridurne l’impermeabilizzazione, proponendo di: 1) ridurre la trasformazione del territorio agricolo e naturale in edificabile e sostituirlo con il riuso delle aree già urbanizzate. 2) salvaguardare dallo sviluppo urbano aree agricole di elevato valore paesaggistico. 3) mitigare, qualora il consumo del suolo risulti inevitabile, gli effetti negativi dell’impermeabilizzazione, ad esempio usando superfici permeabili nei parcheggi. 4) compensare gli interventi inevitabili con interventi ‘ecologici’. Il governo nazionale ha recentemente predisposto un disegno di legge che, se approvato, prevede drastici vincoli ad ogni ulteriore consumo di suolo e che non consentirà più l’utilizzo degli oneri di urbanizzazione derivanti dalle nuove lottizzazioni per la spesa corrente delle amministrazioni comunali. Molti Comuni, sull’esempio di Desio e di Udine, stanno rivedendo i propri piani regolatori non solo evitando nuove espansioni, bensì anche tagliando milioni dei metri cubi già autorizzati dai precedenti piani regolatori. I cittadini e le Associazioni hanno costituito recentemente il Forum SALVIAMO IL PAESAGGIO, con lo scopo di fermare il consumo di suolo in atto. Il Forum ha inviato a tutti i Comuni italiani un Censimento degli immobili sfitti, invitandoli ad utilizzarli al posto di costruirne di nuovi. Il Forum sta promuovendo a Padova l’istituzione del “Parco Agro-Paesaggistico tra la Brenta e il Bacchiglione”, con lo scopo di conservare il territorio agricolo nel Comune di Padova e limitrofi. Il Parco è suscettibile di ampliamenti arrivando a comprendere anche Maserà e Due Carrare, stante la volontà dei cittadini. A Due Carrare la Superficie Agricola Utilizzata è del 68%, una percentuale abbastanza elevata che costituisce senz’altro un elemento di ricchezza paesaggistica e naturalistica che va mantenuta il più possibile intatta.

IL BIANCOLINO

Un libro contro la guerra

Il Biancolino è un canale artificiale che attualmente inizia il proprio corso da Mezzavia, prendendo le acque del Canale di Battaglia attraverso le chiaviche, e termina nel Vigenzone (in località Cagnola), che a sua volta confluisce poi nel Bacchiglione. L’area golenale del Biancolino è riconosciuta come un biotopo da proteggere per il suo alto valore naturalistico dalla Provincia di Padova, che l’ha classificata come ‘area ad elevata naturalità già sottoposta o da sottoporre a regime di protezione. Per dette aree i comuni devono predisporre norme che favoriscano ‘la tutela e la valorizzazione delle forme vegetali esistenti per un aumento della biodiversità e per la creazione e il mantenimento di zone rifugio per la fauna e l’avifauna’ nonché per la ‘creazione di percorsi e itinerari naturalistici per il tempo libero e la valorizzazione di percorsi storico culturali…’ Il tratto golenale è lungo complessivamente 1800 metri per un totale di 11 ettari. I boschetti riparali sono costituiti da Salice comune (Salix alba), Pioppo (Populus sp.), Robinia (Robinia pseudocacia), Platano comune (Platanus hybrida), Acero oppio (Acer campestre), Olmo comune (Ulmus minor), Gelso comune (Morus alba), con presenza di sporadiche piante di Noce comune (Juglans regia); nel sottobosco sono presenti le tipiche piante arbustive; sono presenti soprattutto uccelli passeriformi. Recentemente si sono osservate nidificazioni di corvi, caso molto raro in Italia; nei suoi alvei bassi si trova la Vallisnera spiralis, una pianta acquatica ossigenante, indice di acqua non ancora del tutto compromessa.

PONTEMANCO

Un libro contro la guerra

Il territorio di Pontemanco faceva parte del feudo dei Da Carrara fin dalla sua origine, nel X secolo. Tra le prerogative dei feudatari vi era la proprietà delle acque e il diritto al loro sfruttamento e i Carraresi ben presto costruirono a Pontemanco una chiusa e dei mulini. Il testamento di Marsilio da Carrara, del 1338, cita due poste di mulini che macinavano granaglie. Furono però i Veneziani a creare le condizioni per lo sviluppo del borgo. Con la vittoria di Venezia su Padova nel 1405 tutti i possedimenti dei Da Carrara furono requisiti e messi all’asta. Pontemanco fu acquistata dalla famiglia Morosini. In quell’anno i mulini erano due, uno per ogni riva del canale, ciascuno aveva quattro ruote e case in muratura, ma nel corso dei secoli vennero aggiunte altre ruote, fino a un massimo di dodici, nel 1539. Da una mappa del 1477 si ricava che il borgo di Pontemanco era costituito da un significativo agglomerato di case dove si praticavano attività ‘industriali’ connesse ai mulini. La ricchezza del borgo nel XV secolo è testimoniata nelle mappe anche dalle strutture esistenti: le case erano in muratura con tetto in coppi, persino i casoni erano in muratura con il solo tetto in paglia. I ponti di legno vennero ricostruiti in muratura. In ciascuna riva del canale si trovava un mulino (ciascuno con sei ruote), una villa (oggi Grimani-Fortini e Sperandio) e le case a schiera. La chiesa ora è presente solo sulla riva sinistra, ma la mappa del 1477 attesta che ce n’era una anche sulla riva destra. Questa disposizione simmetrica è dovuta al fatto che la località era divisa tra due proprietari. Negli anni ’50 del Novecento Pontemanco contava solo 500 abitanti ma l’attività molitoria aveva attivato un folto indotto di attività economiche, sia di tipo artigianale che di servizio. Vi si trovavano non solo i servizi più comuni, ma anche servizi ‘rari’ come il macello comunale, la ghiacciaia, la farmacia, il medico, la levatrice, che indicano il ruolo centrale che Pontemanco assumeva nell’economia di Carrara San Giorgio. Con la cessazione della macinazione, poco per volta la maggior parte delle attività si sono trasferite o hanno chiuso. Oggi Pontemanco non ha più un ruolo economico, ma storico, culturale e paesaggistico, grazie all’atmosfera di borgo antico, alle ville, ai resti del mulino e alle case a schiera, alcune delle quali ben restaurate.

Bibliografia e fonti

  • AA.VV. – Guida alla Padova carrarese – Edibus– Vicenza 2011
  • M. L. PANAJOTTI, G. VIVIANETTI - Pontemanco, storia di un territorio - Comune di Due Carrare
  • Quatro Ciàcoe – Settembre 2010
  • MONTECCHIO F. - I biotopi della Bassa Padovana - Provincia di Padova – Padova 2001
  • ARPAV; Piano territoriale del conselvano; ISTAT; ISPREA; Legambiente Padova; R. Masin.

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Il discorso di Capo Sealth

Questo discorso fu fatto da Capo Sealth (americanizzato in Seattle) all’Assemblea Tribale del 1854, in risposta ad una offerta di acquisto che il “Grande Capo” di Washington fece per una vasta area di territorio indiano in cambio di una riserva per il popolo indiano. La risposta del Capo indiano Seattle rimane ancor oggi il più bello e profondo documento ecologico mai scritto!

“Il Grande Capo a Washington ci manda a dire che desidera comprare la nostra terra. Il Grande Capo ci manda anche parole di amicizia e di buona volontà. Questo è gentile da parte sua perché noi sappiamo che egli ha poco bisogno della nostra amicizia in cambio. Ma noi prenderemo in considerazione la sua offerta. Perché sappiamo che se noi non vendiamo la nostra terra l’uomo bianco può venire con i fucili e prendersela.

Come è possibile comprare o vendere il cielo, il tepore della terra? L’idea è estranea a noi. Se noi non possediamo la freschezza dell’aria e lo scintillio dell’acqua sotto il sole, come potete voi comprarli?

Ogni zolla di questa terra è sacra al il mio popolo. Ogni lucente ago di pino, ogni riva sabbiosa, ogni lembo di bruma dei boschi ombrosi, ogni radura ed ogni ronzio di insetti è sacro nella memoria e nell’esperienza del mio popolo. La linfa che scorre nel cavo degli alberi reca con sé la memoria dell’uomo rosso.

I morti dell’uomo bianco dimenticano la loro terra natale quando vanno a passeggiare tra le stelle. I nostri morti non dimenticano mai questa terra meravigliosa, perché essa è la madre dell’uomo rosso. Noi siamo parte della terra e la terra è parte di noi. I fiori profumati sono nostre sorelle; il cervo, il cavallo, la grande aquila sono nostri fratelli; le creste rocciose, il profumo delle praterie, il calore dei pony e l’uomo, tutti appartengono alla stessa famiglia. Per questo, quando il Grande Capo di Washington ci manda a dire che vuole comprare la nostra terra, ci chiede molto. Il Grande Capo ci manda a dire che ci riserverà uno spazio ove muoverci affinché possiamo vivere confortevolmente fra di noi. Egli sarà nostro padre e noi saremo i suoi figli. Prenderemo, dunque, in considerazione la sua offerta. Ma non sarà facile. Questa terra è sacra per noi. Quest’acqua scintillante che scorre nei torrenti e nei fiumi non è solo acqua, è il sangue dei nostri padri. Se vi venderemo la nostra terra, dovete ricordarvi che essa è sacra e dovete insegnare ai vostri figli che essa è sacra e che ogni riflesso spirituale nell’acqua chiara dei laghi parla di avvenimenti e di ricordi nella vita del mio popolo. Il mormorio dell’acqua è la voce del padre di mio padre. I fiumi sono nostri fratelli, essi ci dissetano quando abbiamo sete. I fiumi trasportano le nostre canoe e nutrono i nostri figli. Se vi venderemo le nostre terre, dovete ricordarvi ed insegnarlo ai vostri figli, che i fiumi sono i nostri e i vostri fratelli e dovete usare per essi le stesse gentilezze che usereste per un fratello. L’uomo rosso si è sempre ritirato di fronte all’uomo bianco che avanzava, come la foschia delle montagne corre prima del sole del mattino. Ma le ceneri dei nostri padri sono sacre. Le loro tombe sono suolo sacro, e così queste colline, questi alberi, questa parte di terra è per noi consacrata. Sappiamo che l’uomo bianco non comprende i nostri costumi. Per lui una parte di terra è uguale ad un’altra, perché è come uno straniero che irrompe furtivo nel cuore della notte e carpisce alla terra tutto quello che gli serve. La terra non è suo fratello ma suo nemico e quando l’ha conquistata passa oltre. Egli abbandona la tomba di suo padre dietro di sé e ciò non lo turba. Rapina la terra ai suoi figli, e non si preoccupa. La tomba di suo padre, il patrimonio dei suoi figli cadono nell’oblio. Egli tratta sua madre, la terra, e suo fratello, il cielo, come cose da comprare, sfruttare, vendere come si fa con le pecore o con le perline luccicanti. La sua ingordigia divorerà la terra e lascerà dietro di sé solo deserto. Io non so. I nostri modi sono diversi dai vostri. La vista delle vostre città provoca dolore agli occhi dell’uomo rosso. Ma forse ciò è perché l’uomo rosso è selvaggio e non capisce. Non c’è nessun posto silenzioso nelle città dell’uomo bianco. Nessun luogo ove percepire lo schiudersi delle gemme a primavera, o ascoltare il fruscio delle ali di un insetto. Ma forse è perché io sono un selvaggio e non comprendo. Un assordante frastuono sembra insultare le orecchie. E quale significato ha vivere in quei posti se l’uomo non può ascoltare il grido solitario del caprimulgo o il chiacchierio delle rane attorno ad uno stagno? Io sono un uomo rosso e non capisco. L’indiano preferisce il suono dolce del vento che si slancia come una freccia sulla superficie di uno stagno, e l’odore del vento reso terso dalla pioggia meridiana o profumato dal pino pignone. L’aria è preziosa per l’uomo rosso, giacché tutte le cose condividono lo stesso respiro: gli animali, gli alberi, gli uomini tutti condividono lo stesso respiro. L’uomo bianco non sembra dare importanza all’aria che respira; come un uomo in agonia da molti giorni egli è intorpidito dal puzzo. Ma se noi vi venderemo la nostra terra dovrete ricordarvi che l’aria per noi è preziosa, che l’aria condivide il suo spirito con tutto ciò che essa fa vivere. Il vento che diede il primo alito ai nostri nonni è lo stesso che raccolse il loro ultimo sospiro. E il vento deve dare anche ai nostri figli lo spirito della vita. E se noi vi venderemo la nostra terra voi la dovete custodire divisa come sacra, come un luogo dove anche l’uomo bianco può andare ad assaggiare il dolce vento che reca le fragranze della prateria. Così prenderemo in esame la tua offerta di comprare la nostra terra. Se decideremo di accettare io porrò una condizione: l’uomo bianco dovrà trattare gli animali di questa terra come suoi fratelli. Io sono un selvaggio e non conosco altro modo. Ho visto migliaia di carcasse di bisonti imputridire sulla prateria abbandonati dall’uomo bianco che gli ha sparato da un treno in corsa. Io sono un selvaggio e non comprendo come il “cavallo di ferro” fumante possa essere più importante del bisonte, che noi uccidiamo solo per vivere. Che cos’è l’uomo senza gli animali? Se tutti gli animali scomparissero, l’uomo morirebbe per la grande solitudine del suo spirito. Perché quello che accade agli animali, presto accadrà all’uomo. Tutte le cose sono collegate tra loro. Dovrete insegnare ai vostri figli che il suolo che calpestano è la cenere dei nostri nonni. Affinché i vostri figli rispettino la terra, dite loro che essa si arricchisce con la dipartita dei nostri congiunti. Insegnate ai vostri figli quello che noi abbiamo insegnato ai nostri figli: che la terra è la madre di tutti noi. Tutto ciò che accade alla terra, accade ai figli della terra. Se gli uomini sputano sulla terra essi sputano se stessi. Così noi sappiamo. La terra non appartiene all’uomo; l’uomo appartiene alla terra. Così noi sappiamo. Tutte le cose sono collegate come i membri di una famiglia sono legati dallo stesso sangue. Tutte le cose sono collegate. Tutto ciò che accade alla terra accade ai figli della terra. Non è l’uomo che tesse la trama della vita: egli ne è soltanto un filo. Tutto ciò che egli fa alla trama lo fa a sé stesso. Persino l’uomo bianco, il cui Dio cammina e dialoga con lui come amico con amico, non può sottrarsi al destino comune. Dopo tutto, possiamo essere fratelli. Vedremo. Una cosa noi sappiamo che forse l’uomo bianco scoprirà un giorno: il nostro Dio è lo stesso Dio. Voi forse pensate che lo possedete come volete possedere la nostra terra; ma non lo potete. Egli è il Dio dell’uomo, e la Sua misericordia è uguale per l’uomo rosso e per l’uomo bianco. La terra è a Lui preziosa e nuocere alla terra è accumulare disprezzo sul suo Creatore. Anche i bianchi passeranno, forse prima di tutte le altre tribù. Continuate a contaminare i giacigli dei vostri focolari e una notte soffocherete nei vostri stessi rifiuti. Ma nel morire risplenderete luminosamente, infiammati dalla forza del Dio che vi ha portato in questa terra e per qualche motivo speciale vi ha dato il dominio su questa terra e sull’uomo rosso. Questo destino è per noi un mistero, perché non capiamo quando tutti i bisonti vengono massacrati, i cavalli selvaggi domati, i luoghi più segreti delle foreste violati da molti uomini e la vista delle colline fiorite rovinata dai fili che parlano. Dov’è il bosco? Andato. Dov’è l’aquila? Andata. Come dire addio all’agile pony e alla caccia? E’ la fine della vita e l’inizio della sopravvivenza. Così prenderemo in considerazione la tua offerta di comprare la nostra terra. Se saremo d’accordo dovrai assicurarci la riserva che ci hai promesso. Là, forse, potremo finire i nostri brevi giorni come desideriamo. Quando l’ultimo uomo rosso sarà scomparso dalla terra e la sua memoria sarà solo l’ombra di una nube attraverso la prateria, queste spiagge e queste foreste conterranno ancora gli spiriti del mio popolo. Perché essi amano questa terra, come il neonato ama il battito del cuore di sua madre. Quindi se noi vi venderemo la nostra terra amatela come noi l’abbiamo amata. Abbiatene cura come noi ne abbiamo avuta. Conservate nella vostra mente la memoria della terra come è quando la prendete. E con tutta la vostra forza, con tutta la vostra mente, con tutto il vostro cuore, preservatela per i vostri figli e amatela … come Dio ama tutti noi. Una cosa noi sappiamo. Il nostro Dio è lo stesso Dio. Questa terra è preziosa per Lui. Nemmeno l’uomo bianco può essere esonerato dal comune destino. Possiamo essere fratelli, dopo tutto. Vedremo.”

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