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Da Ortosociale.

La concezione maschile della Natura

di Angela Giuffrida, 24 dicembre 2016. Versione Italiana

Il capitalismo, lo sappiamo, ha ridotto a merce la Natura in tutte le sue manifestazioni e i suoi aspetti, facendone terra di conquista, di sfruttamento e di saccheggio. Sappiamo, però, che già dagli esordi il Patriarcato autoritario le aveva fatto perdere la buona reputazione di cui godeva nelle società matriarcali, dove veniva rispettata, onorata e addirittura sacralizzata. Priva dei suoi caratteri peculiari, in special modo dell’autonomia creativa, la Natura ha smarrito la propria fisionomia e la reale consistenza, trasformandosi in blocco in natura morta da cui non spira un alito di vita.La Scienza moderna ha confermato e rafforzato la superiore visione, considerando il mondo un meccanismo che può essere studiato e compreso attraverso l’uso esclusivo dello strumento matematico. Adatto a gestire, grazie alla ricerca tecnologica, un universo di macchine, apparecchi, meccanismi vari, tale strumento è uscito indebitamente dal suo ambito specifico ed è assurto a modello unico di conoscenza vera, estendendo i suoi principi e i suoi metodi a tutti i rami dello scibile. Il matematismo imperversa, informando di sé persino la Biologia, le Neuroscienze e le Scienze sociali che, pertanto, trattano la natura vivente alla stregua della materia morta. Lo stesso ricercatore si sdoppia cartesianamente in una Ragione auto fondata e in un corpo alieno, ridotto a cosa tra le cose da conoscere. Un trattamento siffatto snatura la natura. Poiché ne dà un’immagine illusoria, non corrispondente alla realtà, la trasforma in fantasma, puro prodotto di fantasia. In questo singolare assassinio della Natura Claudia von Werlhof ravvisa un preciso progetto che il Patriarcato porta pervicacemente avanti, servendosi dell’ausilio della scienza e della tecnologia. Tale progetto, già presente nel pensiero alchemico patriarcale, prevede la creazione di un mondo artificiale che dovrebbe migliorare e in prospettiva sostituire l’imperfetto mondo naturale. Si tratta di una sorta di anti-mondo tendente alla perfezione e all’assolutezza, che può realizzarsi attraverso l’eliminazione della natura e la riduzione a niente della vita. Un’idea così assurda ha alla base la mancata accettazione della capacità generativa delle madri, che assicura loro una primarietà evidente e universale in quanto presente ovunque in natura. Soltanto un puro spirito connotato al maschile può sostituire la potenza materna e assicurare ai “padri” quel potere del quale essi si servono per liberarsi dalla dipendenza – evidentemente ritenuta insopportabile - dalla madre e dalla natura. L’elevata creazione maschile di un mondo migliore, poiché prescinde dalla realtà concreta a cui vuole imporre, attraverso indebite manipolazioni, le sue leggi, si concreta in un processo distruttivo e violento. Claudia definisce “il Patriarcato come il progetto bellicoso…di una ‘creazione dalla distruzione’, che si sforza di mettersi al posto delle creazioni di madri umane e di Madre Natura’”, diventando in tal modo un progetto “non di ‘miglioramento del mondo’, bensì al contrario di annientamento del mondo” [Nota 1. Claudia von Werlhof – Nell’età del boomerang – Edizione Unicopli – pag. 57]. Le superiori affermazioni nascono dalla constatazione che “la scienza si è letteralmente applicata alla ‘eliminazione’ o ‘sostituzione’ della vita, della morte e della riproduzione della vita, dell’essere umano, della donna e della madre, ma anche del suolo, delle piante e degli animali, nonché di ogni sostanza naturale data”. Il tentativo di “dimostrare la forza creatrice maschile o la produttività maschile – non in cooperazione con quella delle donne e della natura esterna, ma contro di loro –, proprio nell’ambito delle nuove tecnologie, e cioè l’‘alchimia nucleare’, la biochimica, le nanotecnologie, le tecniche di riproduzione e l’ingegneria genetica, rivela chiaramente di che cosa si tratta. La macchina come primo tentativo di sostituzione dell’essere umano (macchina per uccidere, per lavorare, per il sesso, per procreare) e della natura, nel frattempo viene integrata da una sorta di macchinizzazione (Maschinisierung) della natura stessa. La macchina espansa fino a diventare sistema aperto non ‘sostituisce’ più la natura/l’essere vivente direttamente con un apparecchio, ma la/lo costringe dal di dentro a far ciò che comanda l’‘informazione’ geneticamente modificata o indotta su base nucleare chimica o meccanica”. [Nota 2. Ibidem pag. 96] Ma “appare chiaro che sarà impossibile produrre alla fine l’essere umano immortale, migliore, superiore, più nobile e perfetto e una ‘vita’ altrettanto perfetta in questo modo violento, distruttivo per tutti i cicli e i nessi naturali sia interni che esterni – così come viene propagandato. I piani per fabbricare una vita ‘trans’ o perfino ‘post-umana’ ci indicano infatti che l’essere umano, non potendo essere fabbricato artificialmente, dovrà allora venire appunto ‘superato’ oppure dovrà essere abolito del tutto!”[Nota 3. Ibidem]. Parole sante! viene da esclamare. Qualificando come “delirante” [Nota 4. Ibidem pag. 26] l’idea che sostiene tutta la costruzione e dubitando che alla sua origine ci sia solo “l’invidia del partorire” [Nota 5. Ibidem], a mio avviso Claudia mette l’accento sul vero nodo da sciogliere. L’invidia della potenza creatrice del corpo materno è infantile sia perché nasce nell’infanzia, quando il bambino si accorge che solo le madri partoriscono, sia perché dovrebbe essere superata in età adulta e sostituita dalla matura accettazione del posto che il maschio occupa nell’ordine naturale. Il fatto che l’intera storia del Patriarcato trasudi invidia da tutte le parti mostra che qualcosa non ha funzionato nel percorso evolutivo maschile, soprattutto se si tiene conto della crescente pericolosità che essa ha via via assunto. Il desiderio di sostituirsi alla madre e a madre natura è comprensibile se limitato all’infanzia o se comunque resta confinato nel mondo onirico, nella pura fantasia. Il problema nasce quando da adulti si pretende di iscrivere il sogno nella realtà, stravolgendola, cosa che marca lacune conoscitive non da poco. Da tali lacune scaturisce l’ideazione del mortifero progetto di trasformazione del mondo di cui sopra. Scopriamone alcune: Il misconoscimento dell’autonomia del reale da fantasie, desideri e ambizioni personali è ciò che consente agli uomini di manipolare persone e cose e compiere ogni sorta di misfatti, costringendo la realtà ad aderire alle idee che frullano nelle loro teste, sordi alle sue istanze, anche quando li riguardano personalmente. L’incapacità di discriminare una persona da una cosa, un vivente da un non vivente, è responsabile della vituperata reificazione dell’altra/o, endemica nelle società maschiocentriche, e del tentativo peregrino di trasformare un mondo di vivi in un mondo di morti. Un essere vivente che vuole deliberatamente fare a meno della madre e della natura a cui deve la vita, e si illude che potrà continuare a vivere sottoforma di macchina o di fantasma, cioè da morto, o è “un’anomalia, uno scherzo di natura” [Nota 6. Luigi De Marchi – Scimmietta ti amo – Longanesi – pag. 211], o manca di conoscenze adeguate. Difatti, se non si accorge che la guerra alla natura e alla vita è una guerra contro se stesso, dato che è natura e vita anche lui, in tutta evidenza non sa di essere vivente e che cosa un vivente sia. L’impossibilità di cogliere insiemi complessi e di percepire il groviglio di connessioni che li caratterizza, come determina l’individualismo e la conflittualità esasperata sempre presenti nelle organizzazioni sociali androcratiche, così permette di entrare a gamba tesa nei delicati equilibri che regolano gli organismi al loro interno e dall’esterno e la natura in generale. L’approccio analitico al reale induce l’inclinazione a decostruire e direziona lo sguardo maschile verso la distruttività.

A questo punto è indispensabile e urgente: a) riconoscere le suddette carenze che provocano scelte irragionevoli, contraddittorie e altamente nocive per l’intero pianeta e i suoi abitanti b) attribuirle al pensiero maschile dominante c) indagare la causa che le determina, causa rimasta finora inspiegabilmente inspiegata.

Nel mio saggio "Il corpo pensa" [Nota 7. A. Giuffrida – Il corpo pensa. Umanità o Femminità? – Prospettiva Edizioni] sono risalita alla fonte di produzione della diffusa irrazionalità che caratterizza il governo maschile del mondo. Ho attribuito all’esperienza riproduttiva la capacità di dare forma al pensiero, mostrando come essa abbia plasmato allo stesso tempo l’apparato riproduttivo di femmine e maschi e le rispettive menti. Nell’articolo precedente [Nota 8. Il concetto di maternità pubblicato su Bumerang n. 1] ho spiegato la mia teoria che riprendo qui brevemente per mostrare meglio la vera scaturigine dei problemi che ci affliggono. Protagonista-depositaria della storia della vita sulla terra, la donna ha sviluppato una forma mentis atta a contenere il reale nella sua complessità e a privilegiare nessi creativi e costruttivi, che riproducono all’esterno l’attività interna del suo corpo che crea, stimola e sostiene il vivente. Per quanto riguarda l’uomo invece, la limitata funzione nella riproduzione, circoscritta unicamente al concepimento, si è tradotta inevitabilmente in una visione parziale del mondo e di sé, che ha determinato un modo particolarissimo di osservare il reale fissando un solo dato per volta. Vedere uno ha conseguenze pressoché infinite che si concatenano le une alle altre e si riversano a pioggia sulla realtà, sfigurandola. Intanto l’attenzione focalizzata sul dato singolo, facendo sparire l’insieme a cui è connesso, lo trasforma, qualunque sia la sua natura, in un ente assoluto che si oppone al suo contrario – un altro ente assoluto – in un conflitto volto necessariamente alla sua esclusione-eliminazione. Il mondo maschile, composto da atomi isolati e sconnessi, appiattito su poli opposti in perenne conflitto, è astratto perché non corrisponde alla realtà, soprattutto a quella vivente, che è invece connessa e complessa. Il suddetto schema cognitivo che il maschio applica al mondo esterno deriva dalla percezione di sé come di un individuo senza legami, in lotta contro tutto e tutti, e lacerato in se stesso. La separazione cartesiana tra res cogitans, una ragione immateriale, soggettiva e autonoma, e res extensa, un corpo visibile e quantificabile, assimilato alla materia morta, è paradigmatica per tutte le coppie di contrari che affollano la mente maschile. La polarizzazione, che confina l’altra/o nell’angusto ruolo di nemico, reca in sé la gerarchizzazione, ad esempio tra la ragione e il corpo, alla prima è attribuito tutto il valore dell’essere umano in quanto generatrice di alti e nobili ideali, l’altro è visto come vile corruttore della purezza della ragione, a causa dei suoi bisogni e dei suoi istinti. Da qui nasce la tanto vituperata “cosalizzazione” degli esseri umani e dei viventi in generale che giustifica le nefandezze commesse ai loro danni, da qui il disprezzo per la natura e la donna e l’assurdo, autolesionistico progetto - ben descritto da Claudia - di risolvere i legami che tengono avvinti gli organismi al processo biologico della vita. La volontà invidiosa di distruggere e sostituire la donna e la natura, costituisce una miccia che non potrebbe essere accesa se il maschio umano avesse contezza dell’integrità-unitarietà dell’organismo vivente, quindi della sua incommensurabile differenza dagli oggetti inanimati. L’idiosincrasia nei confronti della vita nasce dal fatto che l’uomo percepisce il suo proprio corpo come cosa inanimata. Cartesio lo dice come meglio non si potrebbe quando descrive il procedimento seguito per affermare il famoso “cogito ergo sum”: “Io mi consideravo dapprima come avente un viso, delle mani, delle braccia, e tutta questa macchina composta d’ossa e di carne, così come essa appare in un cadavere: macchina che io designavo con il nome di corpo” [Nota 9. Cartesio - Meditazioni metafisiche] La concezione meccanicistica della vita, che porta difilato alla celebrazione di un mondo artificiale, riposa dunque sull’assenza di sapere di sé, ma non è dovuta solo alla più volte ricordata visione “monistica” del reale che, incapace di abbracciare la complessità, non permette di cogliere l’organismo, quanto di più complesso vi sia al mondo. Procreare fuori di sé determina una pronunciata estroversione dell’energia psichica che, impedendo al maschio di “sentire” dal di dentro il proprio corpo, gliene interdice l’accesso. L’uomo vive tutto proteso all’esterno, fuori dal proprio organismo, che per di più è soggetto ad ulteriori suddivisioni. La scienza lo considera infatti come un insieme di cose - gli organi - e colloca la mente nel cervello, percepito a sua volta come cosa altra. Trasformato in un miscuglio di cose, snaturato e svilito, l’organismo smarrisce la sua interezza e la sua qualità di soggetto conoscente e agente. “Nonostante sia egli stesso un vivente, i viventi restano inaccessibili al maschio umano che pretende tuttavia di gestire un mondo a lui sconosciuto, utilizzando strumenti che si stanno rivelando inadatti persino per la comprensione della realtà inorganica da cui sono mutuati. Per di più la sparizione del corpo a favore di una ragione separata, l’alata testa d’angelo di cui parla Schopenhauer[Nota10. Schopenhauer – Mondo come volontà e rappresentazione], trascina con sé tutto il reale, producendo dubbi sulla sua concreta esistenza. Come l’organismo vivente, qualsiasi oggetto scompare se, ridotto alle sue parti costitutive, smarrisce la sua unità. Percepite una alla volta, le parti danno origine a singole rappresentazioni che, unite in un secondo momento, generano un oggetto fittizio, non corrispondente all’originale in quanto risultato di un’aggregazione i cui nessi sono imposti artificiosamente dal soggetto conoscente. La tendenza a concentrarsi su un’unica motivazione, solitamente il conseguimento di un potere che consenta di acquisire l’agognata primazia, rafforza la scomparsa dell’interezza e autonomia del reale. Il maschio umano fa smarrire l’integrità e la possibilità di un’esistenza indipendente alle cose e alle persone del mondo, considerandole semplici mezzi per realizzare i suoi bisogni, ma si volatilizza con esse dal momento che riduce drasticamente ad una sola le innumerevoli e complesse istanze di cui è portatore in qualità di vivente. Questo è il motivo per cui continua imperterrito a fare scelte del tutto irrazionali ed autolesioniste che lo trascinano, direttamente o indirettamente, nelle rovine da lui generate” [Nota 11. A. Giuffrida – La razionalità femminile unico antidoto alla guerra – Bonaccorso Editore] Già Nietzsche aveva compreso quanto esiziale sia stato per l’uomo “incamminarsi verso l’angelo” per allontanarsi dalla sua “bruta” natura corporea, sostituita da un ente astratto chiamato anima o coscienza, “il più miserevole e ingannevole dei suoi organi” [Nota 12. Nietzsche – Genealogia della morale] Il filosofo incolpava la morale di questa indebita sostituzione, ma non è così, il maschio umano identifica il suo vero essere in un’entità astratta perché la sua mente accoglie la realtà solo sottoforma di idea. Ribadisco che egli avverte la sua stessa corporeità, la donna e in genere la natura vivente come inferiori, cattive e peccaminose perché intaccano la perfezione di ciò – ragione, anima o spirito – che considera la sua essenza. Il pensiero maschile deforma e capovolge il reale, privandolo delle sue concrete radici, perciò si ispira sempre all’Idealismo e questo è un grosso problema in quanto “il reale, per essere effettivamente compreso, deve mantenere la sua consistenza, la sua specificità e la sua autonomia, non potendo ridursi a mero prodotto del pensiero e del desiderio umani. D’altronde, quale che sia l’interpretazione che ne diamo, un autentico progresso conoscitivo è reso possibile solo dalla capacità di confrontare con il reale i nostri schemi interpretativi e di modificarli tutte le volte che si rivelano inadeguati. Sappiamo però che gli uomini seguono un cammino inverso: è il reale a doversi modellare secondo gli schemi prodotti dalla loro mente”[Nota 13 Il corpo pensa – pag. 174], la qualcosa conferisce al loro mondo decisi caratteri di finzione. La prova è data dalla formalità dei principi democratici. La finzione omologante del principio di uguaglianza, ad esempio, non garantisce l’uguaglianza sostanziale solo alle donne, che restano costitutivamente diverse, ma a chiunque presenti differenze rispetto al modello proposto: maschio bianco, adulto e proprietario. Ora “se la logica alla base del principio è quella del “come se” – le donne sono incluse come se fossero uomini, i neri come se fossero bianchi, i poveri come se fossero ricchi – essa rende gli uomini simili a pargoletti che fingono nel gioco identità diverse. Il problema è che gli uomini non sono bambini e non si limitano a rappresentare le contraddizioni e l’incoerenza della loro mente sul piano della mera finzione, ma pretendono di gestire la vita della specie come se si trattasse di un gioco” [Nota 14. La razionalità femminile pagg. 379, 380] Se poi il gioco si spinge fino a forzare la natura vivente e non vivente a trasformarsi fisicamente in ciò che non è e non potrà mai essere, bisogna convenire che la distruzione della vita è “la logica pensata fino alla fine” del pensiero unico dominante, il quale sta conducendo la specie ad approdare al puro nulla perché può accedere alla vita solo nella forma della sua negazione. La violenza è una caratteristica strutturale del sistema cognitivo maschile perciò la guerra non è solo quella “guerreggiata”, ma si configura come modalità tipica di rapportarsi al mondo. La domanda da porsi a questo punto è se la guerra che gli uomini conducono inopinatamente contro la donna e la natura sia consapevole oppure no. Secondo me la consapevolezza riguarda i fini che essi perseguono - appropriarsi della loro funzione creativa oscurandole o meglio cancellandole del tutto – e le strategie per metterli in atto. Cosciente è insomma solo il progetto, il cui concepimento è però reso possibile da una marchiana inconsapevolezza riguardante il mondo della vita. All’ignoranza si aggiunge l’impossibilità di vedere le implicazioni che l’insano disegno e le scelte conseguenti comportano persino per la loro stessa persona, impossibilità dovuta alla limitatezza dello sguardo che, come sappiamo, mette a fuoco e segue un solo dato per volta.

Una peculiare forma di conoscenza – comune a tutti gli uomini senza eccezioni - determina dunque i guasti riscontrabili nelle comunità a guida maschile. Essi, pertanto, non sono imputabili al patriarcato, al capitalismo, al liberismo, alla scienza e alla tecnologia, né tampoco alle religioni monoteiste che non posseggono la qualità di autonomi soggetti pensanti. La vera responsabile è la mente che li partorisce, ma siccome la mente non esiste fuori dal corpo biologico, occorre considerare l’intero organismo maschile, la sua esperienza e il modo in cui essa si traduce in pensiero. Ciò comporta che gli uomini - anche coloro che sono incapaci di fare male intenzionalmente - condividono in solido la responsabilità del malgoverno del mondo, in quanto sono tutti portatori delle stesse categorie e meccanismi mentali inadatti a comprendere la realtà qual è e quindi a governarla correttamente. La permanenza forzosa all’interno dell’apparato cognitivo maschile, da millenni imposto come l’unico possibile, fa sì che anche le donne tendano a mettere i prodotti della mente al posto dei soggetti in carne ed ossa e a tenere separate teoria e prassi. In tal modo stentano ad attribuire le scelte alla mente che le pensa, anche quando si tratta della loro. Faticano altresì a riconoscere che l’immensa differenza esistente tra comportamenti femminili e maschili – evidente nella civile quotidianità della stragrande maggioranza delle donne del mondo e soprattutto nella gestione delle comunità matriarcali - non può che scaturire da un’altrettanto immensa differenza mentale. La Weltanschauung della donna “non può essere opposta a quella maschile né può costituirne un complemento: viceversa essa è portatrice di un’altra conoscenza, di una modalità di stare al mondo, di interpretarlo e di gestirlo affatto diversa”. [Nota 15. A. Giuffrida – La razionalità femminile unico antidoto alla guerra – Bonaccorso Editore – pag. 18] Dopo millenni di devastazione patriarcale a noi donne tocca recuperare la nostra visione del mondo e ricostituire l’assetto categoriale corrispondente. Siccome il fallimento planetario del “meccanicismo idealistico” della mente maschile, che appare oggi in tutta la sua gravità, rende urgente e non più rimandabile la sua definitiva sostituzione con una ragione aperta, operante a tutto campo, occorre mettersi all’opera. Le modalità di funzionamento del pensiero dominante sono state scoperte e descritte [Nota 16. Nel cap. 3 de Il corpo pensa c’è la descrizione dettagliata dei meccanismi della mente maschile, ma anche l’altro saggio e tutti i miei scritti consolidano tale conoscenza] e i suoi meccanismi sono riscontrabili ovunque perché organizzano il mondo, si tratta perciò di imparare a riconoscerli fuori e dentro di noi e prenderne le distanze. Non mi nascondo la difficoltà dell’operazione che dovrà vincere, prima delle resistenze maschili, quelle opposte dai millenari schemi concettuali da noi stesse interiorizzate, ma non vedo altra via se vogliamo fare qualcosa che superi le denunce, sacrosante ma vane, in quanto non scalfiscono la sicumera e la millantata superiorità maschili. Solo l’acquisizione e l’uso di strumenti critici atti a far irrompere la realtà vera nel mondo falso apparecchiato dagli uomini, può immetterci sulla strada giusta e darci la forza di aprire quantomeno una breccia nel rigido monolite del sistema di sapere e potere maschile. Non so se ce la faremo, ma so per certo che il futuro della specie dipende dalla possibilità di rimettere nelle nostre sapienti mani la guida del mondo.

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