Femminità

Da Ortosociale.

A cura di Angela Giuffrida
Potete scrivere ad info@ortosociale.org e corrispondere con Angela Giuffrida. La vostra corrispondenza sarà pubblicata in questa voce:


Indice

La razionalità femminile unico antitodo alla guerra

Mestre Venezia, 15 novembre 2011, presentazione del libro di Angela Giuffrida "La razionalità femminile", al Centro Regionale di Cultura Veneta "Paola Di Rosa Settembrini". Con la presentazione di Anna Pacifico ed una relazione del prof.Goisis - professore ordinario di Filosofia politica all’Università Ca’ Foscari di Venezia, vicepresidente del CIRDU (Centro di ricerca sui Diritti dell’uomo).

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La razionalità femminile unico antidoto contro la guerra

Presentazione

Il saggio porta alla luce un problema che caratterizza tutte le comunità androcentriche senza eccezioni e tuttavia rimane nascosto ed è invisibile ai più, malgrado sia di un’evidenza abbagliante. Tale problema è l’oblio del vivente e delle sue necessità. L’ignoranza di ciò che il vivente è sostanzia la singolare predilezione maschile per la distruzione e la morte, che si traduce in uno stato di guerra permanente e senza quartiere alla vita, di cui la guerra guerreggiata è solo l’aspetto più eclatante. Travalicando i campi di battaglia, la guerra impronta le organizzazioni sociali in ogni parte e ad ogni livello. Siamo sempre in guerra, come dimostrano l’universale, feroce repressione delle madri della specie, la politica del dominio, l’economia del profitto, l’insozzamento e la spoliazione dissennata della natura che ci alimenta. Elevando la guerra a fondamento dell’ordine sociale Michel Foucault conferma il suddetto assunto. I rinnovati inni alla sovrumana bellezza della guerra, da parte di Alessandro Baricco (Alessandro Baricco – Omero, Iliade – Feltrinelli 2004) e di James Hillman (James Hillman – Un terribile amore per la guerra – Adelphi Edizioni 2005), mettendo in scena senza veli la sinistra attrazione degli uomini per la distruttività, definita da Freud “istinto di morte”, scoprono la mancanza di significative cognizioni riguardanti il vivente. Infatti, si può definire bella, addirittura sublime la guerra solo omettendo le sofferenze e i lutti che essa comporta; ma una simile omissione è possibile a condizione di non riconoscere se stessi e gli altri né come umani né tanto meno come viventi, di considerare la propria e l’altrui vita un orpello insignificante, senza valore alcuno. Il pensiero filosofico registra tale carenza ignorando l’organismo che viene ridotto a mero contenitore della ragione. La domanda a cui bisogna prioritariamente e urgentemente dare risposta è, dunque, come mai il vivente sia assente nell’assetto cognitivo dominante. La teoria del corpo pensante, esposta estesamente in un precedente saggio (Angela Giuffrida – Il corpo pensa. Umanità o femminità? – Prospettiva Edizioni 2002) e ripresa nel primo capitolo di questo, è riuscita nell’intento, permettendo di comprendere l’origine dell’irragionevole, insana avversione maschile per la vita e dei meccanismi che rendono inevitabile il ricorso alla violenza. Ha potuto farlo perché ha attribuito convenientemente il pensiero all’organismo vivente, considerandolo un sistema cognitivo, capace di trasformare l’esperienza in conoscenza. La mente è un processo del corpo biologico che, pertanto, risulta il vero soggetto pensante, autore responsabile, nella sua interezza, della conoscenza. Il problema del sistema di pensiero dominante è che non coglie l’organismo come soggetto conoscente e agente. Il corpo e la ragione sono “cose” (non a caso Cartesio ha chiamato entrambe res) situate su poli opposti, perciò in conflitto tra loro. Non riconoscendo nel corpo vivente il produttore del pensiero, il soggetto diventa un essere immateriale - ragione, anima o spirito che dir si voglia – di cui si ignora l’origine, ma che assume l’esclusiva dell’individualità e del valore. La bizzarra sparizione dell’organismo dall’orizzonte concettuale maschile è dovuta al modo di intenzionare il mondo, che è diverso per donne e uomini in quanto deriva dall’esperienza riproduttiva, la più importante perché fonda la specie e ne permette l’esistenza. Gli uomini, in sintonia con l’esperienza del loro corpo, non recepiscono il reale complessivamente, ma fissano un singolo dato; privato del contesto, perciò assolutizzato ed entizzato, esso richiama il suo opposto che ha subito lo stesso trattamento. I due dati si misurano in uno scontro frontale, il cui esito non può che essere l’eliminazione dell’uno o dell’altro. Le donne assumono invece il reale nell’insieme, per cui scorgono tra i poli innumerevoli altre variabili che permettono di trovare soluzioni diverse. La tendenza a non radicalizzare i conflitti, salvaguardando i contendenti, deriva anche dal fatto che dall’esperienza materna esse ricavano la capacità di privilegiare le connessioni. Poiché lo costruiscono e se ne prendono cura conoscono l’organismo, che svanisce nella mente maschile frantumata, come tutta la realtà, in parti irrelate e appiattite su coppie di contrari in perenne conflitto. Descrivendo i meccanismi di tale mente, la teoria del corpo pensante è in grado di spiegare le incongruenze e le disfunzioni che fanno delle comunità androcratiche veri e propri manicomi a cielo aperto. Riesce laddove il pensiero dominante ha fallito, essendo quanto mai lontano “da una visione scientifica della guerra che risulti soddisfacente” (Theodor Ropp in Un terribile amore per la guerra, op. cit.). Motivando l’inclinazione maschile a decostruire e il piacere da essa derivante, ne rivela la tramutazione, attraverso la mescolanza con altri fattori, in quella violenza distruttiva di cui la guerra guerreggiata è solo l’espressione più vistosa. Mostrando, inoltre, i ferrei limiti che l’approccio cognitivo analitico impone al reale e la sua estrema pericolosità per gli organismi viventi, ne indica il superamento in un radicale cambio di prospettiva che solo le donne possono assicurare perché stanno al mondo e lo concepiscono in un modo affatto diverso. Il presente saggio è un’applicazione della superiore teoria. I meccanismi mentali che essa ha individuato sono fatti scaturire socraticamente da un dialogo ideale con le autrici e gli autori presi in considerazione, che avviene attraverso la discussione di stralci dei loro saggi, riportati estesamente per evidenziare le contraddizioni in cui il pensiero dominante si impantana, bloccato da insuperabili aporie. Il confronto serrato non avviene solo con chi fa discorsi rapiti sulla guerra, come i citati Baricco e Hillman, ma anche col variegato mondo della nonviolenza che, pur avvertendo la necessità e l’urgenza di un cambiamento, non vede che gli ideali di riconoscimento e rispetto dell’altro a cui si ispira, per essere concretamente realizzati, necessitano di un’altra impostazione mentale. Gli interlocutori sono Gandhi, Capitini, King, considerati i maggiori ispiratori dei movimenti nonviolenti, il cui idealismo rende inefficaci in radice gli onesti sforzi tesi a realizzare la pace perseguita. Anche il soggetto del loro pensiero, infatti, non è un organismo integro, ma uno spirito trascinato dal corpo in cui soggiorna verso il basso mondo della materia e degli istinti, che ostacola il raggiungimento di alte quanto imprendibili idealità. Come l’uomo neutro universale - l’incongruente concetto chiave del pensiero politico moderno - essendo inficiato da parzialità, astrattezza e genericità, non rappresenta gli esseri umani singoli e concreti. C’è da chiedersi quando mai potremo essere riconosciuti e rispettati, quando mai potremo vedere soddisfatte le nostre reali esigenze se non esistiamo nel pensiero unico che governa indebitamente il mondo . La permanenza nell’apparato concettuale dominante ha finora impedito anche alle donne di far irrompere nella sfera pubblica la viva esperienza umana. Uscite dal privato grazie al femminismo, la nascita, la sessualità, la malattia e la morte, non potendo essere attribuite al soggetto umano nella sua interezza, ne hanno seguito la parcellizzazione e la conseguente deformazione. Il pensiero femminista, non solo italiano, si affatica nella decostruzione dei modelli maschili senza aggredire la logica che li informa. Malgrado il fine dichiarato sia il superamento dell’economia binaria, le filosofe continuano ad occupare il polo opposto o a situarsi all’esterno rispetto alle categorie del logos, che inopinatamente rafforzano. Così la riduzione del soggetto metafisico di origine cartesiana nelle cosiddette personalità multiple e senza centro, portando alla sparizione dell’idea stessa di soggetto, approda nel mondo fantasmatico in cui brancoliamo da millenni. Per non essere irrigidito in un’astratta ipostatizzazione né smembrato in frammenti instabili, il soggetto deve essere incardinato sul corpo biologico che si trasforma e diviene senza perdere la sua stabilità. Ciò che bisogna cancellare, quindi, non sono i soggetti - cosa peraltro impossibile – ma le categorie maschili di riferimento. In questo momento storico, però, in generale il femminismo sembra impermeabile all’istanza di una messa in discussione globale del sistema di pensiero dominante, malgrado la sua inadeguatezza sia visibile ad occhio nudo e le sue ricadute scortichino letteralmente la nostra pelle. La teoria del corpo pensante è al momento l’unica in grado di far scaturire l’insufficienza del sistema direttamente dai suoi fondamenti. Numerose ricerche condotte in tutto il mondo - di cui nel saggio sono riportate le più significative - confermano la difformità mentale fra i due sessi, mostrando come siano le donne a possedere il tipo di razionalità funzionale alla vita, perché capace di comprendere quei sistemi aperti che vanno sotto il nome di viventi. Ritrovare il punto di vista femminile sul mondo è condizione necessaria per porre fine alle inutili stragi ed alle infinite, gratuite sofferenze, dovute ad un carente e disordinato ordine mentale.

Recensione di Anna Pacifico

Questa è la recensione di Anna Pacifico, Presidente dell'Associazione Lettere Arti e Scienze di Verona:
La filosofia non perde il suo carattere euristico se non la si chiude nella caverna delle illusioni. Dai tempi di Platone ad oggi, una è la filosofia, una è la verità: indagare sulla vita. Soltanto che a farlo, finora, è stata soltanto una parte dell‟umanità, quella maschile, essendosi impadronita di tutti gli strumenti cognitivi per costruire un sistema di pensiero e per propagandarlo. Ma, le "ombre‟ proiettate sul muro della mitica caverna sono rimaste, a ben vedere, la primordiale fuorviante visione propulsiva del pensiero filosofico occidentale, di fatto androcentrico. Così che la gran parte dei filosofi non è riuscita mai a liberarsi dalle metaforiche catene, oppure, qualcuno tra essi, una volta distolto lo sguardo dalle illusorie proiezioni, è rimasto così malamente abbagliato dalla luce da non poter né abbassare né alzare lo sguardo senza..."vedere doppio”. Sì, perché il mondo, risultato delle "visioni", risulta essere un mondo irreale, preda di fatto di innumerevoli sdoppiamenti; v'è il mondo dell‟apparenza" e quello della "realtà", dell'"essere" e del "pensiero", del "corpo" e dell"anima", celeste e terreno. Ne conseguono forme disparate di opposizioni logiche, generatrici di un inevitabile stato di guerra permanente. Un pensiero siffatto, di cui è impregnato ormai ogni aspetto della nostra vita, come non ammetterlo, ha dovuto, se non altro in nome della coerenza, produrre "razionali" giustificazioni a ogni genere di sopraffazioni e di dominio. A tanto bieco disegno si è assuefatta la Filosofia! Dove risiede, dunque, la declamata razionalità? Perché la mente maschile parla di pace e fomenta guerre, parla di salute e genera morte? Razionalità, questo termine di convalida del pensiero filosofico occidentale, che accredita i discorsi degli scienziati, sostiene ogni formula concettuale, garante del progresso e della cultura, assume un'ambigua quanto contorta amplificazione nel pensiero teoretico del novecento, fino a concretizzarsi negli orrori dello sterminio, dei più atroci delitti a danno dei viventi, come delle catastrofi ambientali (provocate per mano dell'uomo). Angela Giuffrida assume, per contro, la razionalità in quanto funzione conoscitiva precipua di una specie, quella umana, per differenziarla in quanto attività pensante propria del sesso femminile, ben distinta da quella maschile, foriera di altra diversa attività ordinatrice del pensiero e del mondo. L'analisi è condotta sulla base delle più recenti scoperte nel settore delle neuroscienze e completa il discorso svolto nel primo lavoro, "Il corpo pensa", del 2002. L'autrice snoda il filo delle riflessioni con abilità logica e senso realistico nel confutare le teorie dei maggiori pensatori che hanno segnato la storia del pensiero occidentale, per soffermarsi su alcune delle più recenti. Le donne, al pari della loro antenata "servetta tracia", pare abbiano sempre continuato a lavorare pensando, a studiare pensando, a procreare pensando, mai schiave del buio, né di illusorie ombre, sebbene impegnate nel loro costante lavoro di "cura", pur costrette a fare i conti con una reale schiavitù che le minava, e le mina tuttora, nel corpo e nella libera espressione del loro essere (fatta eccezione per i casi di devianza o patologici che appartengono ai singoli di ambo i sessi, è ovvio). Il risultato dell'indagine svolta da Giuffrida è pari, si può dire, a un grido d'allarme, e non può che convincere il lettore della necessità di un cambio di prospettiva, auspicabile quanto necessario, se desideriamo salvarci dalla distruzione totale. La filosofia razionale femminile si profila come un atteggiamento di pensiero, per natura predisposto a concepire l’essere vivente in quanto tale, non assunto come una cosa, un mero oggetto d'indagine. Da qui l'apertura a una nuova filosofia, superando, contenendole, le più illuminate riflessioni del pensiero femminile del secolo scorso, mai giunte a trarre conclusioni tanto audaci. La soluzione prospettata non è altro che un chiaro, concreto sostegno al vivente, e, nella sua evidente semplicità, risulta basilare per ogni possibile speculazione filosofica. Essa si inserisce, a mio modo di vedere, nel più ampio concetto da me definito filosofia per la vita, nel senso del fondamento e della continuità, contro ogni specismo, e soprattutto, contro ogni verità totalizzante, illusoria soluzione all"autistico" sdoppiamento di matrice maschile. Resta un problema: saranno gli uomini tanto responsabili e umili da contemplare questa "visione‟ del mondo quale conditio...? E un altro nodo si profila, forse più difficile da risolvere: sapranno innanzitutto le donne, relegate per secoli al ruolo di "serve‟, recuperare consapevolezza e orgoglio, sulla base del servigio che oggi finalmente la Scienza, pur restia a divulgare i risultati conseguiti, riconosce in merito alla loro naturale attività raziocinante? La razionalità femminile unico antidoto alla guerra è, di fatto, un saggio filosofico-scientifico dalla portata rivoluzionaria, che inciderà, io credo, in modo determinante sul pensiero del terzo millennio. Soltanto coloro i quali avranno il coraggio e l'onestà di affrontare senza preconcetti i presupposti filosofici che sottendono il discorso in esso contenuto potranno dirsi autentici "amanti del sapere".

La Maternità

Ortosociale è orgoglioso di presentare questa breve relazione di Angela Giuffrida sul concetto di Maternità perchè va alle radici culturali dei terribili problemi che la specie umana si trova a dover affrontare. La relazione ha una versione inglese pubblicata sulla rivista Bumerang. Di seguito la presentazione di Angela Giuffrida.


Bumerang – Giornale per la Critica del Patriarcato nasce nel Tirolo (Austria) da un gruppo di studiose mosse dalla necessità di capire “in modo nuovo, puntuale e onnicomprensivo” la storia della nostra civiltà, cioè la storia del Patriarcato, le cui scelte dissennate si stanno abbattendo su di noi proprio come un bumerang, mettendo a rischio la vita della specie e non solo. L’intento è quello di presentare la Teoria Critica del Patriarcato, sviluppata all’interno del pensiero eco-femminista, che comprende la tecnica e la tecnologia a partire dall’antica alchimia. Si vuole, inoltre, favorire una seria riflessione – al momento inesistente – sui gravi pericoli che ci minacciano, attraverso un dibattito teorico demistificante e al tempo stesso costruttivo, capace cioè di indicare un’alternativa praticabile. Il tema del n. 1 di Bumerang è La maternità nel Patriarcato. Il contributo che Il concetto di Maternità dà alla discussione sta nell’indicare la via da seguire per il definitivo superamento del patriarcato, suggerendo di attraversarlo fino a raggiungere la fonte da cui scaturisce, la ragione maschile che con le sue categorie e i suoi rigidi meccanismi produce ovunque distruzione e morte.

Rivista Bumerang

I video di Angela Giuffrida

Angela Giuffrida "La femminità è la razionalità della specie" intervento al Convegno E'Leos



Giuliana Musso attrice "La città ha fondamenta sopra un misfatto. Le società matriarcali" intervento al Convegno E'Leos


Il concetto di Comune e l'Economia del Dono

Attac

Gli articoli di Angela Giuffrida

I vari articoli di Angela Giuffrida li trovi qui:

Gli ultimi in ordine di tempo:
28 febbraio 2014. Rigurgiti di feroce misoginia

31 gennaio 2014. Hannah Arendt. In ricordo.

19 ottobre 2012. Il caso del bambino di Cittadella (Padova) strappato alla madre dal padre, sulla base di una sindrome psichiatrica inesistente. Questo "fattaccio" che coinvolge un piccolo umano mette a nudo le strutture profonde di questa società androcratica.

15 dicembre 2011 - Le richieste di sacrifici da parte dei vari governi non sono razionali.

20 ottobre 2011 - Articolo richiesto da Peppe Sini in occasione del 4 novembre e pubblicato nel notiziario n. 16 del 20 ottobre de La Non Violenza è in Cammino. L'articolo è apparso anche sul Paese delle donne il giorno 22 ottobre 2011.

5 ottobre 2011 - Inviato a Micromega che non l'ha pubblicato, a commento dell'articolo di Paolo Flores D'Arcais "Controversia sull'etica"

27 settembre 2011 - Pubblicato su Il Paese delle donne on line col titolo "La questione morale è una questione cognitiva"

24 luglio 2011 - Pubblicato su Il Paese delle donne on line col titolo "Abbandonare completamente la strada intrapresa dagli uomini" e su La nonviolenza in cammino n. 396 del 25.7.2011. Il dibattito sul blog di Lorella Zanardo attorno all’incontro senese di "Se non ora quando" evidenzia la necessità che le donne ritrovino quel comune denominatore che ha consentito loro di assicurare alla specie la sopravvivenza e la sua peculiare evoluzione.

2 luglio 2011 - Pubblicato come lettera all'Unità in risposta all'articolo di Luciana Castellina "L'uomo, la donna e la più grande bugia della storia". Il Neutro Universale.

La teoria de "Il Corpo Pensante"

Il Corpo Pensa

Il Libro di Prospettiva Edizioni:

La razionalità femminile unico antidoto contro la guerra

English Version

Versione Italiana

Sintesi

La validazione di una teoria si realizza attraverso il confronto assiduo con la realtà. Da tale confronto la teoria del corpo pensante esce rafforzata: non solo non ha perso la sua pregnanza nel corso degli anni, ma si conferma viepiù efficace ed imprescindibile strumento di comprensione del reale. Grazie all’ampliamento dell’orizzonte conoscitivo ed al potenziamento delle capacità connettive che essa comporta, l’organismo vivente va sempre più delineandosi nella sua integrità e concretezza come soggetto conoscente e agente [Di questo e di altri aspetti della Teoria del corpo pensante tratto nel mio saggio La razionalità femminile unico antidoto alla guerra, Bonaccorso Editore, marzo 2011]. Si consolida l’idea che la dimensione affettiva non solo non ostacola conoscenza e pensiero, ma ne costituisce il presupposto implicito: pensiamo non malgrado, ma proprio perché siamo senzienti. Pensare è la caratteristica propria del vivente, ma perché il pensiero evolva in senso razionale occorre uno sviluppo affettivo-cognitivo che coinvolga il sistema nel suo insieme. Il conflitto tra affettività e ragione è, infatti, sintomo di una carente evoluzione di entrambe. In questo quadro mentre l’empatia, emanando da eccellenti conoscenze sugli organismi, conferma la sua valenza eminentemente cognitiva, la razionalità oltrepassa da ogni parte l’angusto limite imposto dal pensiero calcolante, logico-deduttivo, assumendo nuovi caratteri di ampiezza, comprensività e flessibilità che la rendono funzionale alla vita. Ad una siffatta ragione si addice in modo particolare quella circolarità dello sguardo che le donne mutuano dal loro stare nel mondo con l’intero corpo e di percepirlo attraverso tutti i sensi. L’uomo, invece, si mette alla finestra e assume il mondo principalmente attraverso un solo senso, la vista, che coglie dati singoli inseguendoli linearmente. Così mentre la mente femminile riproduce il reale nella sua integrità, la mente maschile lo schiaccia su uno schermo immaginario dove si susseguono oggetti manipolabili a proprio arbitrio. Colui che conosce considera il suo stesso corpo oggetto, non fonte di conoscenza, come giustamente fa notare Hans Jonas, che, arrivando alle mie conclusioni, registra la singolare sparizione dell’organismo vivente dal pensiero filosofico [Hans Jonas – Organismo e libertà – Einaudi 1999]. Un essere immateriale - anima, ragione o spirito - diventa soggetto assoluto e soppianta gli individui in carne ed ossa che, retrocessi a cose, giustificano gli attacchi distruttivi commessi a loro danno. Poiché percepire e conoscere sono capacità che appartengono solo ai corpi viventi e senzienti, la loro cancellazione dal mondo del pensiero fa perdere a tutto il reale autonomia e consistenza.

Femminità

Perchè una nuova parola ?

Il termine femminità nasce dall'esigenza di superare lo stereotipo che la parola femminilità restituisce semplicisticamente di un universo ricco, complesso, in continuo divenire. L’insieme di caratteristiche attribuite dal pensiero dominante alla donna riduce, infatti, drasticamente gli aspetti, le capacità e le potenzialità che le appartengono. Opposto al modello virile, sinonimo di razionalità, forza e coraggio, sicurezza e risolutezza nell’azione, il femminile si distingue per emotività, assimilata dall’apparato cognitivo prevalente ad irrazionalità, debolezza, pavidità, insicurezza e passività. Il quadro rimanda l’idea di una donna dipendente dall’uomo, incapace di governare la propria vita, quindi inadatta a gestire la cosa pubblica. La perdita della qualità di soggetto ha giustificato la millenaria prigionia nella sfera domestica. Purtroppo i due stereotipi resistono ancora oggi, malgrado la seppur contenuta partecipazione femminile alla vita pubblica ne evidenzi l’intima inconsistenza peraltro confermata, al di là di ogni ragionevole dubbio, dalle ricerche scientifiche. Il loro superamento, attraverso una sistematica decostruzione, si pone pertanto, come inderogabile necessità.

Lo stereotipo femminile

Perché ci sia vera decostruzione non si può prescindere da un confronto costante e serrato con la realtà. Esaminiano prima lo stereotipo femminile. Le ricerche condotte in tutto il mondo evidenziano la priorità degli organismi in grado di riprodursi, quelli femminili appunto, che, applicandosi all’autocostruzione, hanno dato origine ciascuno alla propria specie. Secondo il concetto organizzativo elaborato dai biologi, quello femminile è il sesso di base mentre quello maschile è il sesso sviluppato in seguito. A tal proposito David Crews sostiene che il sesso maschile si sia sicuramente evoluto solo dopo la comparsa dei primi organismi autoreplicanti, quelli femminili, per cui quello femminile è il sesso ancestrale e quello maschile il derivato (La sessualità degli animali, in Le scienze n. 307, marzo 1994). I recenti esperimenti sulla clonazione, inoltre, indicano nella madre il soggetto che permette lo sviluppo e l’evoluzione della specie. In un’intervista al settimanale Panorama del 25 febbraio 1999, il professor Renato Dulbecco, Premio Nobel 1975 per la medicina, ha spiegato come il meccanismo della clonazione abbia evidenziato l’importante ruolo svolto dal citoplasma della cellula uovo nel ringiovanimento del nucleo ospite e nell’attivazione del processo di sviluppo. Sottolinea che il fenomeno ha un interesse filosofico oltre che biologico, perché mostra come già da principio il contributo materno sia fondamentale, infatti lo sviluppo dell’umanità è dovuto alle madri, non solo per lo sviluppo intrauterino e per la cura del neonato, ma anche nel dirigere l’attività dei geni verso lo sviluppo. Ma non basta, alcune ricerche collegano l’evoluzione cerebrale dei mammiferi allo sviluppo del comportamento materno (“Il cervello materno” in Le Scienze di marzo 2006), mentre altre attribuiscono alla madre la costruzione della corteccia cerebrale tout court (Keverne E. Barry, “Genomic Imprinting in the Brain” in Current opinion in Neurobiology, n. 7, 1997).I numerosi studi sul dimorfismo cerebrale tra donne e uomini, poi, presentano un cervello femminile più plastico, più attivo, più sviluppato nelle zone riservate ai processi superiori di elaborazione e al linguaggio e con una comunicazione interemisferica facilitata. Dal loro insieme emerge l’idea di un corpo femminile che reagisce complessivamente in modo più evoluto agli stimoli perché le donne riescono a discernere meglio le situazioni rispetto agli uomini. Sembra che abbiano, insomma, più testa, cosa confermata peraltro dalla civile attività quotidiana della stragrande maggioranza delle donne nel mondo, altamente razionale perché funzionale alla vita. Stando così le cose, non è errato affermare che sia stato il cosiddetto secondo sesso, come viene definito contro ogni evidenza il sesso femminile, a far compiere un deciso salto di qualità alla nostra specie differenziandola dalle altre. Può allora lo stereotipo definito sopra attagliarsi a colei che ha fondato la specie, permettendole non solo di sopravvivere ma di evolversi in modo tanto significativo?

Lo stereotipo maschile

Elisabeth Badinter esprime lo stereotipo maschile come meglio non si potrebbe quando afferma che l’uomo (vir) si vive come universale (homo), considerandosi il rappresentante più compiuto e il punto di riferimento dell'umanità. (XY L’identità maschile, Longanesi, Milano 1993). Suo carattere distintivo è la razionalità. La costante e puntigliosa valorizzazione del modello, portata avanti per millenni, compenetrando ad ogni livello ed in ogni parte tutti gli aspetti della vita associata, ha prodotto un’interiorizzazione forzosa e irriflessiva dello stesso. Così la valutazione positiva ha finito per coinvolgere anche gli aspetti negativi tipici di questo sesso, come la tendenza al predominio e alla prevaricazione, obiettivamente contradditori rispetto al principio che vuole l’uomo razionale, olimpico, spirituale. D’altronde l'inconsistenza del modello scaturisce in modo certo ed inequivocabile dalla generale irrazionalità e dalla diffusa disumanizzazione endemiche nelle comunità androcratiche. Oramai nessuna persona ragionevole può mettere in discussione l’inadeguatezza del sistema di pensiero che si picca di governare il mondo in solitaria. A quale superiore razionalità risponde l’impiego massiccio a livello planetario di risorse in attività militari che trasformano le energie accumulate direttamente in distruzione e rovina? Il compito di ogni stato dovrebbe essere garantire e gestire la vita dei suoi cittadini, non metterla a repentaglio. Malgrado sia possibile produrre beni per una popolazione mondiale doppia di quella che abita oggi il pianeta, si trova il modo di far morire di inedia circa un miliardo di persone. I bambini sono le maggiori vittime di tale dissennato governo del mondo: ogni 3 secondi un bambino muore di fame, mentre molti altri vengono uccisi nei conflitti armati dalle cosiddette bombe intelligenti e dalle mine antiuomo sparse intelligentemente sul territorio. Che dire, poi, della brutale oppressione di metà dell’umanità, proprio quella a cui la specie deve l'esistenza e la propria evoluzione? Poiché le donne costruiscono il vivente umano lo conoscono, poiché se ne prendono cura sanno che cosa gli serve per vivere; la cancellazione del sapere femminile ha prodotto attorno al vivente e ai suoi bisogni un’ignoranza abissale, in grado di mettere a rischio l’esistenza stessa della specie. L’irrazionalità del pensiero dominante diventa addirittura tangibile quando le scelte danneggiano palesemente anche l’uomo che le fa, come ad esempio quando si spende per rendere progressivamente inadatto alla vita il pianeta che lo ospita, ignorando il fatto che sta attentando alla propria sopravvivenza. Si potrebbero aggiungere innumerevoli altri esempi senza riuscire a completare l’infinita serie di nonsense che rende le società umane simili a manicomi. D’altra parte i risultati degli esperimenti funzionali in vivo sul cervello umano assestano un duro colpo all’immagine dell’uomo unico detentore della ragione con la erre maiuscola, perché delineano la fisionomia di un primitivo, portato ad agire impulsivamente, senza sottoporre le sue risposte al vaglio della ragione. Se dalle ricerche (v. ad esempio Paolo Pancheri, “La razza dei sessi”, in Giornale italiano di psicopatologia, n.4, vol.5, dicembre 1999) emerge la figura di un uomo tagliato più per il movimento che per la riflessione, più per l’azione istintiva che per il ragionamento attento e meditato, mentre la donna appare socialmente più evoluta, non risulta del tutto falsa la gerarchia fra i sessi data per scontata nelle società dei padri? Se, poi, l’encefalo femminile risulta più equilibrato e più plastico, avendo una rete organizzativa più omogenea, quindi con maggiori capacità di integrazione e di risposte (v. Umberto Dinelli, Il nostro cervello: viaggio dentro la conoscenza, i sentimenti, le emozioni, Marsilio, Venezia 2000), non dovrebbe tutta la specie far propria l’impostazione mentale delle donne per garantirsi la sopravvivenza e una buona qualità della vita?

La teoria del Corpo Pensante

Essendo organismi, le maggiori conoscenze femminili sui viventi dovrebbero tornare utili anche agli uomini; come mai essi non riconoscono tale elementare verità? Come mai da millenni ripetono lo stesso copione, modificandolo solo nella forma anche quando sanguinose rivoluzioni tenderebbero ad intaccarne i caratteri strutturali? Com’è possibile che la tanto glorificata ragione maschile, promossa ad unica e insuperabile detentrice delle superiori capacità della specie, sia refrattaria all’apprendimento, ma, soprattutto, com’è che si traduce in una macroscopica inadeguatezza a gestire razionalmente comunità di viventi quali noi siamo? La ragione femminile sembra al contrario adattiva per l’intera specie; la civile operosità della maggior parte delle donne nel mondo lo rivela e gli studi scientifici sopra ricordati lo confermano al di là di ogni ragionevole dubbio. I quesiti più pressanti, che esigono serie e irrinunciabili risposte, possono essere così formulati: una differenza tanto marcata nel modo di intenzionare il mondo da parte di donne e uomini dipende forse dal fatto che le une e gli altri sono organismi differenti? E ancora: che cos’è in realtà la mente? Poiché considera la mente un processo del corpo biologico la teoria del corpo pensante (vedi Angela GiuffridaIl corpo pensa – Umanità o femminità?, Prospettiva Edizioni, 2002), permette di rispondere ad entrambi gli interrogativi. Essa propone un sistema concettuale atto a comporre in unità tutto il reale, a partire dall'inscindibilità di corpo e mente. Si tratta di un nuovo paradigma conoscitivo che assimila la conoscenza all'intero organismo, facendo del corpo il vero soggetto pensante, capace di dare, attraverso la sua forma e la sua esperienza, forma al pensiero. La teoria nasce da un approccio critico al pensiero filosofico, che ha portato all'individuazione di alcuni meccanismi mentali costanti, e dalla percezione dell'intrinseca intelligenza e autonomia del vivente, che ne ha consentito l'attribuzione alla mente maschile. Se ogni organismo è un sistema che si auto organizza e si autoregola, dev'essere principalmente un sistema cognitivo; se è così, l'organismo femminile possiede per forza di cose un sapere altro, più vasto e comprensivo, dato che protrae la vita. Essendo strutturati in modo differente, donne e uomini fanno esperienze molto diverse e si sono, quindi, evoluti diversamente. Dall'esperienza materna la donna ricava una forma mentis contenitiva, capace di sopportare la complessità e la ricchezza del reale, propensa a costruire, connettere, combinare, quindi ad operare scelte favorevoli alla vita e alla crescita. L'uomo, invece, non contenendo l'altro nel suo corpo e percependosi come parte della madre, sviluppa uno sguardo parziale sia sul mondo che su di sé e, non essendo portato a cogliere connessioni fra le parti, adopera l'opposizione. Isolare un dato, separarlo dal contesto, opporlo agli altri dati costituisce la modalità tipica del suo rapporto col mondo, tant'è che non solo impronta le relazioni alla conflittualità e lacera tutto il reale in parti contrapposte, ma riproduce la dicotomia persino nella percezione di sé: l'anima confligge con il corpo, la logica con l'affettività e così via. Inoltre, siccome procrea fuori di sé, è proiettato verso l'esterno, perciò è incline a vivere fuori dal proprio corpo e a mettere l'accento sull'ideale-generale-astratto, privilegiando la ragione, una ragione che, sciolta da legami con il naturale-corporeo e priva di un adeguato sviluppo dell'affettività, non esercitata come quella femminile nel dare e sostenere la vita, si è evoluta in forme non omogenee di intelligenza settoriale. Il mondo atomizzato, conflittuale, astratto che l'uomo ci presenta è il suo mondo, ma viene confuso con la realtà tout court visto che la Weltanschauung maschile è stata attribuita all'intera specie.

Occorre un Nuovo Sistema Categoriale

Derivata da lunghi anni di studio del pensiero filosofico, la teoria del corpo pensante, avendo messo a fuoco i meccanismi mentali maschili, ne permette una facile individuazione a chiunque in ogni momento. Essa trova autorevoli conferme in diverse scienze quali biologia, antropologia, psicologia, mentre un incisivo sostegno viene dalla storia. La profondità e l'onnicomprensività della crisi contemporanea, in uno all'incapacità dell'intellighenzia di tutto il mondo di dare risposte significative, rivela l'insufficienza del sistema concettuale che organizza le comunità umane. Poiché la ragione maschile, "siderale" in quanto slegata dall'intelligenza affettiva, è stata imposta come l'unica possibile, anche le donne si servono delle sue categorie, nonostante abbiano un diverso modo di concettualizzare. Questo è il motivo principale della mancata emersione ed efficace affermazione del pensiero femminista e femminile, nonostante notevoli contributi provengano da tutte le parti del mondo. La concezione di conoscenza profonda, rivalutando il corpo come produttore di pensiero, rivaluta l'esperienza femminile e la situa al centro come fonte permanente di civilizzazione: mostrando, poi, l'effettiva differenza di funzionamento delle menti maschile e femminile, dà alle donne la possibilità di chiamarsi fuori dalle mille trappole del pensiero dominante e di elaborare un nuovo sistema categoriale, capace di restituire concretezza ed organicità al reale, ricomponendolo nella sua costitutiva unità. La permanenza nello schematismo del pensiero maschile può ostacolare l'immediata acquisizione della teoria, nonostante i suoi assunti siano sotto gli occhi di tutti. Il millenario deprezzamento della corporeità, ad esempio, rende difficile assimilare al corpo funzioni considerate superiori, mentre il recupero della centralità delle donne viene interpretato in chiave oppositiva, come riproposizione delle gerarchie in forma rovesciata, con il consueto corteo di emarginazione, persecuzione e sfruttamento dell'inferiore e del diverso. Ma la filosofia che pone al centro il corpo ha un'alta considerazione della dimensione naturale: il corpo che risulta da un approccio organicistico non è un mero involucro di massa e materia, è un organismo integro da cui promanano le più alte manifestazioni dello spirito. Matrismo e patriarcato, poi, non sono speculari, perché la naturale asimmetria tra donna e uomo si è tradotta in una diversa forma mentis: riconoscendo il figlio come parte di sé, la madre lo contiene nella propria mente. Non è vero il contrario, come dimostrano i rapporti pubblicati periodicamente da Onu e Unicef che riconoscono nella violenza contro le donne la violazione dei diritti umani più diffusa nel mondo. Le donne possono dar vita a comunità equilibrate dove ci sia posto per tutte e tutti.Possono farlo, però, a condizione di riconoscere senza infingimenti la differenza della loro mente e rivendicare con fermezza l'occupazione del fuoco delle comunità per affermare i valori femminili, centrati sul potere di generare e sostenere la vita, non sul potere di infliggere sofferenze e dare la morte. In fin dei conti le nostre madri preistoriche hanno potuto guidare il processo di civilizzazione della specie perché hanno usato le loro categorie mentali. Per riallacciare il filo con le antiche comunità materne, spezzato dall'avvento del patriarcato autoritario, bisogna ricostituire quella visione organica del mondo che permette l'integrazione di sé, dell'altro, della natura nella propria mente. Solo così si possono centrare le comunità sulla persona, su ogni singola persona, e organizzarle attorno al lavoro di sostegno e di cura, riportando i valori dal cielo della teoria alla pratica della vita quotidiana. La percezione di una intrinseca debolezza spinge il maschio umano alla ricerca continua di potere, non a caso il dominio è il centro propulsore delle società patricentriche. Sperare che organizzazioni della dominanza, la cui matrice è costituita da prevaricazione e sfruttamento, possano trasformarsi in sistemi sociali civili attraverso qualche riforma qua e là, è una pura illusione. D'altronde, la sistematica degenerazione autoritaria dei movimenti rivoluzionari dimostra che senza le madri nessun cambiamento è possibile perché, lasciati a se stessi, gli uomini autoalimentano, potenziandoli, i meccanismi perversi che stanno mettendo in discussione la sopravvivenza della specie e la vita stessa sulla terra. L'unica risposta alla deriva, altrimenti inevitabile, non può che essere l'elaborazione di uno stile di pensiero capace di superare la millenaria tradizione intellettuale parziale e riduttiva, attraverso il recupero di quelle prerogative sviluppate dalle madri della specie e divenute la sostanza stessa della civiltà.

Dalle Comunità Matriarcali un nuovo paradigma sociale

In Cina è viva e attiva una comunità di 50.000 persone che adottano un tipo di famiglia profondamente diverso dal quello patriarcale occidentale. E' stato descritto e studiato dalla professoressa Francesca Rosati che ha pubblicato un bel libro in merito. La descrizione dei Mosuo si trova anche su wikipedia. Quello che segue è l'intervento di Angela nel Forum di Francesca Rosati.

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