PoesiaLM10
Da Ortosociale.
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Versione delle 21:35, 5 mar 2010
FLAVIA
Flavia sente ripetere il suo nome poche volte, in certi giorni mai.
Possiede una bella voce da soprano, la coltiva in gorgheggi serali,chiusa nel suo monolocale semi vuoto. Pochi mobili, quelli indispensabili, un vecchio mangianastri sempre acceso e il telefono che non squilla.
Molto tardi quando la sera si consolida al di là dei vetri tenta di telefonare ai pochi amici, quasi mai risponde qualcuno. Il silenzio del telefono la atterrisce. Nutre da pochi giorni un pensiero. Il pensiero che ha sempre scacciato e aborrito, ora le si sta insinuando subdolo e consistente per stravolgere le sue giornate solitarie. Un pensiero che potrebbe essere la soluzione delle sue tante tristezze.
Un pensiero che le mette apprensione.
I suoi lunghi capelli coprono inutilmente le larghe spalle.
Partirà ancora una volta.
" Ciao Roberta che fai ? dove sei ? A quale indirizzo invierò questa lettera ancora non so, dovrò chiederlo a mamma nella abituale telefonata serale: lei è l'unica che conosce i nostri recapiti sempre nuovi. La frastorniamo con le cronache di continui trasferimenti. Mi chiedo quale sortilegio fu fatto durante i parti che ci videro nascere perché,invero, ce ne siamo andati via tutti e per strade diverse che mai si sono incontrate. Né penso ci incontreremo quando saremo fermi del tutto. Però Roberta, sai, che adesso penso che potrei tornare in Italia ?
Questa idea mi è nuova ma è insistente. Chissà che non sia risolutivo
tornare alla noia della nostra lontana città dove non succede niente dove tutti ci conosciamo e poco ci piaciamo ma dove ciò che succede è indefinibile, e il sonno del dopopranzo è fatto di sogni profondi e il risveglio condito di troppi sbadigli, dove un amore è anche un fatto tragico, una passeggiata è piena di inutili pettegolezzi e gli sguardi sono avidi. Pure vorrei tornare per mettere fine al silenzio di un telefono che è come spento, vorrei riempire i miei fatidici monolocali di mobili, vorrei conservare del tutto i bauli che tu conosci bene quanto me, per non riprenderli mai più, vorrei dare una casa vera alla mia rossa Pucci che dorme accucciata tutto il giorno e non ha dimora, neanche lei.I miei capelli sono sempre più lunghi,più inutilmente lunghi,anche loro raccontano una storia di viaggi ridicoli, mete mai raggiunte,gente vista e poi perduta, uffici situati in ogni angolo del mondo, a volte troppo caldi a volte dalle pareti gelide, di gente incontrata per caso; avrei voluto amici, amori e non tragedie sorrisi e non noie devastanti.
I tuoi capelli sono invece sempre più corti, sorellina mia cara, su di un viso che si sta avvizzendo, perdona la crudeltà, al freddo di una città che prima o poi abbandonerai ne sono certa -perché ti so simile a me.
Non ti chiedo di seguirmi.
Tornerò a casa, mi porterò il vecchio mangianastri, i libri raccolti negli anni e le poche cose che tu sai bene conviene portare quando ci si trasferisce.
Tornerò una mattina, mi piacerebbe giungere all'alba, quando le strade del mondo sono tutte uguali, hanno o stesso odore di pulito, sono umide e l'aria è tersa. Il freddo del primo mattino sarà una sciabolata sul mio viso e non avrò il tempo di pentirmi. "
" E allora Flavia torni ?
ci avrei giurato che tu avresti, alla fine - ma quale fine ?- deciso di tornare a casa,che è poi la casa dei nostri genitori che ci attendono, si annoiano e quando finalmente ci vedono vorrebbero ce ne andassimo
perché siamo caciaroni, ingombranti, nervosi, ostinati,ingarbugliati, pigri,scontenti e irrispettosi.
Sono tranquilla Flavia, qui, nel mio ultimo appartamento attorniato dalla neve.Fuori c'è il solito giardino dei campus, ben costruito ben curato, con le solite foglie secche e fradice che tu conosci perché li conosci questi posti, anzi li hai visti prima di me. Ma io ci vivo bene: il mio telefono squilla garbatamente e gli amici mi cercano.
Ascolta Flavia, ascoltami ,io ormai ho più di ciquanta anni, il mio viso come dici tu si sta avvizzendo, i miei capelli sono sempre più corti e imbiancano velocemente, il corpo si è arrotondato troppo, porto occhiali da presbite, le palpebre cominciano ad abbassarsi sui miei occhi nocciola, sorrido sempre meno e ricordo poche risate, sai quelle larghe e piene risate che prima mi piacevano. Nondimeno fuggo ; prima quando stavamo insieme in Italia ed eravamo due ragazzette con le gonne a pieghe e con lunghi calzettoni di lana, stavamo a cercare i paesi sconosciuti sull'atlante, ti ricordi ? conoscevamo mille luoghi e attaccavamo le figurine delle raccolte sugli albums, le belle figurine colorate e lucide che riproducevano le piazze dei nostri sogni, certi notturni sui fiumi, ponti slanciati, monumenti troppo carichi di riccioli, chiese che si stagliavano su cieli fortemente azzurrati. Si faceva sera sulle nostre teste chinate, mamma accendeva le luci di casa, il telefono squillava e noi non rispondevamo ; c'erano i lampioni del vecchio ponte che emanavano una luce fioca sulla vallata che si scuriva.
Siamo partite, prima tu poi io, poi gli altri fratelli e ora dovrei tornare ?
Preferisco il vociare dei ragazzi le loro divise, i loro capelli lisci e biondi, i loro occhi turchini quasi sempre un po' sbiaditi, il rigore e la volontà.
Lascia che io viva ancora qui,poi chissà,cambierò neve e alberi alla finestra,fuori ci sarà un tiepido sole,prati verdissimi, riccioli neri.
Tornerò a vederti questa estate nella nostra casa sulla vallata e ci daremo un saluto definitivo perché una simile decisione vuole una specie di addio.
Ma addio a cosa ? "
Roberta apre il portoncino,scende i due scalini con cautela,rabbrividisce nel maglione pesante, alza gli occhi nocciola in cerca di un cielo che non si vede. La neve è bianchissima -pulita - nella serata troppo nera.
Ritorna dentro, prende la lettera appena scritta, tenta di rileggerla e improvvisamente la strappa.
I pezzetti di carta si appiccicano sulla neve trasformatosi in ghiaccio, così, in poco tempo.